ATTENTATO A FALCONE E tu dov'eri?

ATTENTATO A FALCONE E tu dov'eri? Un mese dopo: 16 palermitani ricordano come reagirono alla notizia ATTENTATO A FALCONE E tu dov'eri? EPALERMO A bomba {scoppiò alle 17,58 dello;scorso sabato 23 maggio! un'ora «libera», in meato a un weekend. La notizia impiegò due ore a prendere forma punitiva. Oggi ancora ci ricordimo bene, ma tra qualche annobilisse se saremo così sicuri cheawenne di sabato e non di domenica; di maggio e non di giugo). Negli Stati Unti, per anni divenne un'abitudpe, tra persone che si conoscevano per la prima volta, domanda|e: «Tu dov'eri, quando ucciseroil Presidente?». Era un modo di fare amicizia, di sondare un dolore comune, di affinare la memoria. Ho domandato a diversi palemitani che cosa hanno fatto, checosa hanno pensato quando hemo saputo dell'attentato a uovanni Falcone. Queste le loro ijfeposte. a il collega e ;asa, a Roma. Mi io figlio, aveva Mi ha detto ito". Ho fatto il sul telefonino: o provato due o Giuseppe l'amico: «Ero ha telefonato visto televid "Giovanni è suo numero 0337890131 tre volte, davdsempre occupato. Ho chiamato p questura di Palermo. Poi è sprillato il mio telefonino e una mce - non ho ancora saputo diJthi - mi ha detto: "Giuseppe? dovanni è morto". Ho buttato vra il telefonino, ho cercato un aereo per Palermo». Pina Grassi, vedova di Libero Grassi, senatrice dei Verdi: «Ero a Roma, ero fcata a Villa Borghese con nipoti e nipotine, uno dei primi pomerggi rilassanti. A casa ci hanno c'ato la notizia. Dicevano sette norti. Ho avuto un mancamenti [interno, come ogni volta, per mesta sequenza troppo vicina diielitti». Vincenzo Consolo, scrittore, era in treno tra Torino e Milano. «A casa ho povato un messaggio nella segheria telefonica. Ho provato cisternazione, smarrimento. Non credevo a tanto, non credevo nepiche che Falcone potesse essale così esposto. Mi chiedevo: «endetta di mafia? Ma la mafia, L pudici li colpisce prima, non d po... Io ero stato a Palermo coite cronista del maxiprocesso. Bono andato a riprendermi gli {articoli. Ho cercato di ricordare Falcone. Lo conobbi ad una festa ci presentò Ayala, Lui era un tii nido, io non osavo fare domande; e lui neppure. Aveva una sorte di immobilità fisica, che io attribuii alla sua condizione di secuestrato. Anche Ayala era un sequestrato, ma reagiva al contraria con una scarica di giovialità». I Gilda Arcuri, insegnante della scuola media Bonfiglio di Pa- lermo. «Ero in centro. Un mio ex allievo delle 150 ore entrò in tabaccheria a comprare le sigarette. Uscì e disse: "E' successa una cosa terribile: hanno ucciso la scorta di Falcone, lui è ferito". Ho pensato ai passanti, sabato sera su quella strada è un'ora in cui può passare chiunque. Al Giornale di Sicilia hanno confermato: è solo ferito. Allora ho pensato che era immortale. Poi hanno detto che erano morti tutti. Con tanti altri sono andata al Comune, abbiamo occupato l'aula consiliare. C'era un gran bisogno di stare zitti. Si diceva solo: ce ne dobbiamo andare da questa città. No, dobbiamo restare». Vincino, il cartoonist antimafia da vent'anni. «Stavo disegnando l'elezione del Presidente della Repubblica, ero solo. L'ha detto la radio. Ho riflettuto sulle vignette che gli avevo fatto. Lo disegnavo carino, coi baffi; ma mi sono venute subito in mente quelle in cui Lo sfottevo perché era venuto a Roma. Ho telefonato a Palermo. Ho capito che era come se avessero ucciso Nembo Kid. I palermitani lo amavano: con i suoi elicotteri, con le scorte, dava un senso di potenza. A Palermo c'era come un pensiero: adesso arriva Falcone». Saverio Lodato, giornalista de l'Unità, era al Salone del Libro di Torino per presentare il suo volume I potenti, Sicilia Anni Novanta. «Eravamo in una saletta, con Nicola Tranfaglia, Corrado Stajano, e Tana Dezelueda, la corrispondente dell'Etonomist. Arrivò una prima telefonata che diceva: attentato fallito. Una seconda: Falcone con le caviglie spezzate, gli stanno facendo il massaggio cardiaco. Una terza: Falcone è morto. Il mio primo pensiero? Finalmente adesso non diranno più che quell'esplosivo alla sua casa dell'Addatila se l'era messo da solo. La presentazione l'abbiamo trasformata in una commemorazione di Falcone, ma intorno il Salone andava avanti lo stesso, come le Olimpiadi. Poi sono andato in sala stampa a scrivere un ricordo di Giovanni per il mio giornale». Giuseppe Barbera, professore universitario di Agraria. «Quasi mi vergogno a dirlo, ma ero in vacanza a Pantelleria. L'ho sentito al Tg delle 20. Ho urlato, a lungo. Tornato a Palermo, sono dovuto passare per l'autostrada, l'avvicinamento era un tormento. Sul luogo ho visto gli abitanti di Capaci. Erano venuti dal paese a piedi, parecchia strada, avevano il vestito buono come una volta alla festa del Primo Maggio. Non c'era niente di morboso, era un mesto pellegrinaggio. A casa, le telefonate dei palermitani della diaspora. Nella cerchia dei miei amici, sono il 70-80 per cento quelli che se ne sono andati. Tra quelli che ammazzano, tra quelli che sene vanno, ti senti un sopravvissuto». ' Gianni SD ve strini arrivò a Palermo 16 anni fa, da Torino. E' un ecologo, del Cor. «Ero con mia moglie nel quartiere Tommaso Natale, dai miei suoceri, con nostra figlia. Quando l'ho sentito alla Rai, siamo tutti rimasti alli- biti. No, nessuno ha pensato di andare a vedere, tv, solo tv. Ero incredulo, non avrei creduto che sarebbero riusciti a farlo fuori. Ho pensato: questa non è più l'Italia, l'Europa adesso non ci può accettare. Ho sperato che l'Europa ci obbligasse a fare qualcosa. Domenica mattina sono andato alla camera ardente in tribunale. C'era tutta Palermo, le famiglie con i picciriddi». Carmine Mancuso, il figlio di Lenin Mancuso, ucciso insieme al giudice Terranova il 25 agosto del 1979, ispettore di polizia, è oggi un deputato della Rete. «Ero a passeggio in Campo dei Fiori a Roma. Mi ha chiamato Leoluca sul telefonino. Incredulo, sconvolto. Ho chiamato la questura di Palermo. Due dei morti nella strage li conoscevo bene: Di Culo mi scortava spesso, Montanari mi aveva scortato il giorno prima. Ho continuato a telefonare agli agenti di polizia di Palermo, per ore, con rabbia». Dacia Maraini l'ha saputo dalla Bbc. Era a Londra, per pre¬ sentare il suo libro: «Hanno fatto vedere la voragine. Gli inglesi erano preoccupati. Ero colpita perché Falcone mi sembrava una persona che conosceva bene la mafia, che sapeva come non farsene schiacciare. Mi hanno fatto molte interviste. Ho detto che quella voragine è un segno di debolezza della mafia. Quando ero ragazza io, a Palermo non era strano sentire dire che la mafia non esisteva. Perché era silenziosa, godeva del silenzio. Se oggi la mafia ricorre alle stragi è perché è fuori dal tessuto connettivo della Sicilia. Oggi non c'è la mentalità mafiosa che ricordo venti o trentanni fa a Palermo. Gli inglesi, molto impressionati, dicevano: l'Italia è incontrollabile, lo Stato è debolissimo». Gianni Riotta, inviato a New York del Corriere della Sera, teneva in mano la pergamena del premio letterario «Grinzane Cavour» quando apprese la notizia. «Quel clima dolce se n'è andato in un attimo. Sono stato molto grato al mio giornale che mi ha chiesto di andare a Palermo, ai funerali: chi non c'è stato non può capire. Io sono andato via da Palermo nel 1975 e da quell'anno sono in giro per il mondo. Adesso ho capito che non sarà più così, ho capito che devo tornare». Rosalba Alù, preside di scuola media del quartiere Cep a Palermo. «La verità? Ero a letto con il liquido nel ginocchio, ma avevo bisogno di vedere qualcuno e così mi sono trascinata in piazza Pretoria. E, il giorno dopo, al tribunale. Così sono stata anch'io dentro questo senso di tragedia tremenda. C'era tutta Palermo, quella autentica: commossa, in¬ teressata, reattiva. Mio figlio Marcello, invece, l'ha saputo mentre giocava una partita di canoa polo. Non ci credeva, poi ha dovuto arrendersi. Come me, ha avuto voglia di stare con lui. E poi, di restare a Palermo». Franco Zecchin e Letizia Battaglia da molti anni fotografano la Sicilia e, purtroppo, i morti di mafia. Franco tornava a casa dopo essere stato a fotografare una festa a Castro-reale e trovò un biglietto di Letizia. «Ero annichilito, non c'era nulla che mi potesse sostenere. Sull'autostrada sono andato solo la mattina dopo. Cosa pensavo? Che uno sempre si aspettava che potesse accadere e adesso era accaduto». Letizia Battaglia l'ha saputo da una tv privata, è scesa in strada urlando e cercando un taxi che la portasse all'Ospedale Civico. «C'era la moglie di uno dei poliziotti di scorta, quello alto, che vedevo spesso al bar Rooney. Mi diceva: io aspetto Falcone che mi chiama da Roma. E quando Falcone veniva a Palermo, si faceva mettere di turno. Noi soffriamo l'umiliazione di vivere aspettando che succeda qualcosa. Non è facile resistere». Michele Ferriera, scrittore e regista teatrale. «Ero in piazza Massimo, c'era pochissima gente. Passarono due persone che se lo dicevano tra di lóro. Sono rimasto secco. Sono entrato nel cinema "Rouge et Noir" : lì mi hanno detto che era stato ucciso. La cassiera e la maschera erano disperate, furiose. Sono tornato a casa, ho telefonato al giornale L'Ora per sapere se riprendeva le pubblicazioni in questa occasione, ma non l'hanno fatto. Sono stato con amici, persone che, come me, da molti anni sanno. La cosa più orribile è l'appuntamento tragicamente mantenuto, che ti porta solo impotenza. L'indomani a Palermo però avveniva qualcosa che non era mai avvenuta prima: dignità, sdégno e tenerezza come mai in passato». Francesco La Licata, inviato de La Stampa: «Stavo a Roma, mezzo malato, mi telefonò Rino Cascio del manifesto, alle 18,10. "E' saltato in aria Falcone. Lui è vivo, ma due sono morti". Mi sono sentito male: sedici anni ho passato con lui! Mi è venuto in mente quando lo intervistammo neU'86 e ci disse: "Prima verranno le ironie, poi mi delegittimeranno, ed infine mi uccideranno". Lui lo sapeva che doveva morire. Io non avevo capito: pensavo che venendo a Roma se l'era cavata. Io non voglio credere che sia morto, mi ritrovo a fare il suo numero di telefono al ministero, quando c'è qualcosa che non capisco... Non ne fanno più come Giovanni Falcone». Le persone con cui ho parlato, tutte mi hanno detto della «nuova tensione» di Palermo. Delle lenzuola che pendono dai balconi, delle iniziative: ci sono già manifesti, segnalibri, ci saranno manifestazioni teatrali, pubblicazioni, catene umane. Intanto, in certi laboratori, stanno analizzando le catene di amminoacidi conservate nella saliva rimasta attaccata al filtro delle sigarette Merit di chi aspettava col telecomando il passaggio del corteo. Enrico Deaglio Da Ayala a Consolo da Mancuso a Vincino cosa facevano cosa pensarono quel 23 maggio alle ore 17,58 «Come se avessero ucciso Nembo Kid»: „xittadij$inffeduli sconvùlf^ì$$ignati, voglia di andarsene e bisogno di reagire Pina Grassi deputata verde Giuseppe Ayala magistrato \1 A sinistra Vincenzo Consolo A destra Carmine Mancuso Riotta giornalista Battaglia fotografa