Maledetti Bot, vi amerò ma tradendovi con i Btp di Mario Salvatorelli

Maledetti Bot, vi amerò ma tradendovi con i Btp S NOSTRI SOLDI Maledetti Bot, vi amerò ma tradendovi con i Btp ENSO che siano in molti, tra i lettori di questo giornale, quelli che, come il sottoscritto, vedono avvicinarsi la scadenza dei loro Bot con una certa trepidazione, dovuta all'indecisione circa il rinnovo, oppure l'investimento in titoli a più alto reddito. «In questo momento (metà giugno, ndr), anzi, leggendo i sempre più numerosi e allarmanti commenti sull'entità del debito pubblico, sulla severità delle condizioni di Maastricht, sull'inflazione e la recessione, per noi piccoli risparmiatori ci sarebbe la tentazione di voltare le spalle a tutti i titoli di Stato, in attesa che le acque si calmino. «Ma bisogna cedere a questa tentazione? Mi domando spesso che cosa sarebbe l'Italia, senza questo mostruoso debito pubblico, in particolare se il Tesoro e la Banca d'Italia non avessero inventato i Bot. Ma capisco che cado nell'impossibile, nella fantafinanza». Il lettore, e indeciso risparmiatore, Franco Cocco, di Roma, fa torto a se stesso, accusandosi di fantafinanza. Nel 1960, quindi in piena «storia contemporanea», il debito pubblico in Italia, oggi pari ad oltre il 104% del prodotto interno lordo 1991, non raggiungeva il 4% (dicesi quattro) del «Pil» annuo, come ci ricorda il professor Giannino Parravicini in una sua recente «comunicazione» all'Accademia dei Lincei. E' vero che quella bassissima percentuale (attualmente in Europa solo il Lussemburgo è sotto il 10%) era il risultato di un'altra e, per tanti aspetti, più grave assai, catastrofe, cioè la grande inflazione che aveva praticamente annullato il debito pubblico precedente l'ultimo;Conflitto mondiale e quello formatosi durante e subito dopo il conflitto stesso. E' anche vero, però, che dieci anni dopo, nel 1970, il debito pubblico non superava il 41%, e che nel 1980 era ancora al 60 per cento del «Pil» annuo, perfettamente in linea, quindi, con la percentuale richiesta da Maastricht per accedere alla terza e ultima fase di realizzazione dell'Unione monetaria europea. Oggi come oggi, cioè a fine '91, in questa situazione di assoluta tranquillità, rispetto a quel trattato, per quanto riguarda il debito pubblico, si trovano appena sette Paesi sui 12, con una media del 43,2% del rispettivo «Pil», tra il minimo del 6,1 del Lussemburgo e il massimo del 63,1 del Portogallo. Tra questi sette c'è la Danimarca, la quale, pur avendo un rapporto debito pubblico/Pil del 62,1% (oppure, proprio per questo), ha deciso di «chiamarsi fuori» dall'Europa. Per gli altri cinque Paesi, pno 1 «chi 1 pa. I tra cui il nostro, la media supera, invece, il 99%, tra il massimo del 127,9 del Belgio e il minimo (si fa per dire) del 78,9 dell'Olanda, passando per il 98,5 dell'Irlanda che proprio in questi giorni ha votato, a grande maggioranza (e ci credo) per l'Europa. Per concludere con Maastricht, ricorderò che quel rapporto del 60% tra debito pubblico e prodotto interno lordo non è un massimo tassativo, ma è un obiettivo verso il quale ogni Paese che oggi lo supera dovrà dimostrare con i fatti di volere e di saper tendere in questi pochi anni che ci separano (1° gennaio '97, oppure '99) dall'inizio dell'ultima fase di completamento dell'Unione monetaria europea. Il 60%, invece, potrebbe essere raggiunto verso l'anno 2010, come prevedeva recentemente l'economista Nino Andreatta, mettendo, però, a sua volta, delle condizioni non meno ardue di quelle di Maastricht, per il nostro Paese (tra cui un governo capace di resistere alle eccessive richieste corporative e alle elargizioni politico-elettorali). Infine, per rispondere all'ultima domanda del signor Cocco, vorrei ricordargli che i Bot non sono una recente «invenzione», in quanto esistevano già alla fine del secolo scorso (quando, tra l'altro, il debito pubblico superava, come oggi, il prodotto interno lordo). L'Italia, senza di essi, cioè, senza debito pubblico, quanto meno con un debito pubblico di livello «europeo», come entità e come vita media (cinque-sei anni la durata media dei titoli, anziché i due anni e mezzo-tre dei nostri), avrebbe, se non altro, assai più risorse finanziarie disponibili per essere immesse nel circuito produttivo dell'economia, anziché nel pozzo senza fondo di uno Stato alla ricerca della quadratura del cerchio formato dalle entrate e dalle uscite. Ma, partendo nel I960 quasi dallo stesso rapporto percentuale con il prodotto interno lordo (le prime al 31,2, le seconde al 32,2), le entrate arrivano oggi al 44,6, le uscite al 54,8% del «Pil». «Spiegazione essenziale - osserva Parravicini - dell'attuale livello del debito pubblico». Tuttavia, caro lettore, non volti le spalle ai titoli di Stato e provi, invece, a impiegare qualcosa anche nei titoli a medio termine (Cct o Btp) Mario Salvatorelli elli

Persone citate: Cocco, Franco Cocco, Giannino Parravicini, Nino Andreatta, Parravicini