Nelle scuole di Harlem gli studenti migliori di Furio Colombo

Nelle scuole di Harlem gli studenti migliori INTANTO IN AMERICA Nelle scuole di Harlem gli studenti migliori NEW YORK SONO stato a trovare il direttore del sistema carcerario di New York, uno dei più grandi e dei più affollati del mondo. Il direttore è una signora piena di iniziativa e di polso. Mi ha detto (ma il suo non era un tratto di orgoglio) che non c'erano stati mai tanti detenuti nella rete urbana delle prigioni, un tutto esaurito senza precedenti. Eravamo nel suo ufficio, e ad un tratto la signora ha avuto bisogno della borsetta. Mi ha chiesto di aspettare, ha fatto un giro intorno al suo tavolo, ha aperto una cassaforte nella parete, ha estratto la sua borsetta, ha preso ciò che cercava, ha rimesso la borsetta in cassaforte e ha chiuso. Un piccolo simbolo della difficoltà urbana di vivere e di fidarsi, persino nell'ufficio del capo delle prigioni? Avevo appena letto una dichiarazione della American Medicai Association. I medici americani hanno dichiarato che l'uso delle armi da fuoco è «una malattia sociale», da trattare alla stregua del tabacco e dell'alcolismo. Sostengono che se il problema non vie- ne visto come una malattia, non esiste alcun modo per affrontarlo. Propongono di considerare le pistole una epidemia. Accanto ai fatti esemplari che sorprendono ma anche confermano le ansie intorno alla vita americana, si raccolgono i grappoli di episodi inquietanti, adolescenti che uccidono adolescenti, bambini che uccidono bambini. E poi i dati statistici, una donna stuprata ogni quattro minuti, due milioni di bambini sottoposti a sevizie ogni anno. Che mondo è? E' un mondo, credo di poter rispondere, che dà molte notizie di se stesso. Poiché attraversa la grande crisi di tutti i Paesi democratici del dopo guerra fredda, queste notizie non sono buone. E quando un momento è difficile, la cultura americana si difende con una continua auto-indagine. Ma c'è anche un'altra causa, per questa esplosione di notizie sinistre, la crisi della politica. Non sto per dire che cattivi partiti o candidati scadenti sono responsabili delle brutte vicende americane che ci siamo abituati a leggere o a raccontare. Sto dicendo che il vuoto di politica (argomenti, progetti, leader capaci di ottenere attenzione), provoca un vuoto nelle notizie. Quel vuoto si riempie aprendo le dighe dei telegiornali e dei grandi quotidiani alla cronaca nera. Per l'America non è male che si dedichi tanta attenzione ai disastri urbani. Questa è ancora una società di gente che non rinuncia e che di fronte a problemi così grandi reagisce con nuovi tentativi, con altri progetti. Eppure l'immagine americana nel mondo sembra diventare all'improvviso una collezione di tragedie senza soluzione. Mettetevi nei panni di chi, alle spalle degli americani intenti a raccontare la parte peggiore di se stessi, deve presentare l'America a distanza. Potrebbe scrivere che le scuole di Harlem da qualche tempo funzionano. Che in una sola scuola media di «Central Harlem» (lo leggo sull'ultimo Economisti tutti i giovani diplomati sono stati ammessi al College. Potrebbe narrare l'iniziativa della Walt Disney Productions. Gli uomini di Topolino sono andati nell'area peggiore di Los Angeles, dopo gli scontri di maggio, hanno distribuito questionari e fatto assunzioni di giovani fra i 18 e i 20 anni. Hanno detto al New York Times: «Nelle strade peggiori abbiamo trovato i ragazzi migliori». Ma storie di questo genere sono poco adatte al cinema e alla cronaca. Forse, per orientarci, dobbiamo tornare a un insegnamento del sociologo americano Talcot Parsons: «Ci sono società ferme, anche se ordinate. E società in movimento, anche se drammatiche. Le società ferme sono morte». Furio Colombo

Persone citate: Talcot Parsons, Walt Disney

Luoghi citati: America, Los Angeles, New York