Falcone l'ultimo giallo è un diario

Falcone, l'ultimo giallo è un diario Ma il magistrato che indaga sulla strage di Palermo: tra i suoi documenti non è stato trovato Falcone, l'ultimo giallo è un diario Per ilgiudice Ayalapotrebbe far luce sull'omicidio ROMA. «Giovanni Falcone annotava tante cose. Scriveva tutto. Specialmente nell'ultimo periodo della sua permanenza a Palermo», n giudice assassinato dalla mafia, dunque, teneva un diario? Secondo Giuseppe Ayala, amico di Giovanni Falcone, oltre che collaboratore e collega, non ci sono dubbi: «Non so se chiamarlo diario e che altro, ma sono certo che Giovanni deve aver lasciato qualcosa di scritto». «Aveva riversato gli appunti - insiste l'ex magistrato palermitano adesso senatore del pri - su un dischétto del suo computer personale. Quando lasciò Palermo per il ministero di Grazia e Giustizia portò tutto a Roma». Di quel floppy-disk, però, gli investigatori che hanno ispezionato l'ufficio del ministero e le abitazioni di Giovanni Falcone, quella di Palermo e quella di Roma, non hanno trovato traccia. La mole di documenti, anche su dischetti, è enorme, ma gli appunti scritti da Falcone, quando era procuratore aggiunto di Palermo, si sono dissolti. Un «giallo»? Anche nella vicenda Falcone irrompono i «misteri» che hanno intossicato quasi tutte le inchieste sui delitti eccellenti di Palermo? Per la verità, l'uscita dell'on. Ayala sembra più un modo per mettere le mani avanti e stabilire un «punto fermo»: quegli appunti esistono e lo sappiamo in tanti. Ayala ha scelto una ricorrenza solenne per lanciare le sue affermazioni: una commemorazione della strage di Capaci, tenuta a Genova ieri mattina. Era presente anche Antonio Caponnetto, il capo dell'ufficio istruzione di cui fece parte Falcone, che in questi giorni ha diretto pesanti accuse contro i «nemici di Giovanni» e ieri ha replicato: «Falcone è stato ucciso il 19 gennaio, quando il Csm ha deciso di non eleggerlo alla guida del pool, vittima di interessi di bottega e stritolato dai gruppi di corrente». Con la voce incerta per l'emozione, Ayala ha avvertito: «Se il dischetto non viene fuori, sarebbe un modo per alimentare polemiche che Giovanni non gradirebbe. Ma se viene fuori, la sua parola non rimarrà sola, perché un dovere morale ci imporrà di raccontare che è vero quello che lui ha scritto, perché c'è chi era presente e può confermare che quel diario è una cronaca di storia vera vissuta». La notizia dell'esistenza di un «diario» di Falcone è rimbalzata da Genova, agitando gli ambienti della magistratura e dell'apparato investigativo. Il procuratore di Caltanissetta, Salvatore Celesti, responsabile dell'inchiesta sulla strage di Capaci, invita alla cautela e mette in guardia dai depistaggi e dai «professionisti dei polveroni» che potrebbero inserirsi nella vicenda. «I documenti sequestrati - dice Celesti al telefono - sono stati catalogati e ben custoditi. Gli investigatori stanno ancora lavorando alla traduzione degli appunti elettronici. Molti sono stati stampati su carta, altri ne mancano. Fino a questo momento non credo siano stati trovati quelli a cui si riferisce Giuseppe Ayala». La polizia ha già informato il procuratore circa il contenuto dei floppy-disk decifrati. Ma il «diario» non c'è. Celesti era stato avvertito che tra le cose da cercare c'erano anche gli appunti di Falcone sulla sua «battaglia personale» all'interno del palazzo di Giustizia di Palermo, delle «incomprensioni», sempre più ricorrenti, col procuratore capo Piero Giammanco. Una vicenda per nulla segreta, né misteriosa, tanto che solo qualche giorno fa era stata rievocata dal giudice Antonino Caponnetto, in un articolo scritto per la rivista «Suddovest». «Se gli appunti di cui parla Ayala - aggiunge Celesti - si dovessero limitare alla ricostruzione della vicenda umana e professionale di Falcone, difficilmente potrebbero entrare nell'inchiesta. Solo nel caso di una diretta attinenza col movente della strage. Se dovessero, poi, venire individuati altri reati, sarà mia cura investire di responsabilità chi di competenza». «Ma se - spiega ancora Celesti gli appunti si riferiscono all'evolversi dell'esperienza professionale di Falcone, ai cosiddetti "veleni", sarà mia cura tenerli fuori dalle indagini. A me interessa scoprire chi ha ucciso Falcone, sua moglie e i tre ragazzi della scorta». Il procuratore chiude il colloquio con una certezza: «Ascolterò Giuseppe Ayala. Approfondiremo la sua testimonianza». Preoccupazione legittima, il timore dei depistaggi paventato dal procuratore di Caltanissetta. A poche ore dalle parole di Ayala, a confondere le idee contri; buisce l'ineffabile «Falange Armata», un gruppo di sedicenti terroristi che ha già rivendicato la strage di Capaci con una «dubbia» telefonata. Una voce anònima ieri ha chiamato l'agenzia «Ansa» di Roma, ha minacciato il giudice Ayala, ha definito «farneticanti» le sue dichiarazioni e lo ha «sfidato» a produrre prove. La notizia dell esistenza di un «diario» coinvolge anche un altro magistrato, amico e collaboratore di Falcone: il giudice Paolo Borsellino, chiamato in causa da Ayala come testimone al corrente del contenuto di quegli appunti. «Se sono appunti privati precisa Borsellino - spetta ai familiari decidere l'uso da farne. Se si tratta di materiale utile all'inchiesta tutto deve restare nelle mani dell'autorità giudiziaria che procede. Io non ho nulla da dichiarare, quello che so lo dirò soltanto al giudice». Francesco La Licata li giudice Giuseppe Ayala, ora parlamentare repubblicano con Giovanni Falcone ■ n J Jpj iailt £ ,a<ì'uH r»< 11 ■ » ■ ; nillAJ j li ii) m tu—-aia ila