Quella sabbiolina che fa la terra avara

Quella sabbiolina che fa la terra avara IL LOESS Quella sabbiolina che fa la terra avara E la testimonianza geologica del più recente periodo glaciale Sarebbero terre ideali per lo sviluppo urbano, che però le disdegna LA sabbiolina limosa bianco-giallastra affiora in Ossetia, al bordo delle vallate che solcano i contrafforti del Caucaso; nella Cina settentrionale, drenata dal Fiume Giallo; nel Michigan, sulla riva meridionale dei Grandi Laghi del Nord America. E anche a Trofarello, ai piedi della collina di Torino. Si chiama loess: è un deposito di antico deserto freddo, sempre uguale in tutto il mondo, testimone di ambienti che non sono più, di un passato geologico neppure troppo lontano. Ancora ventimila anni fa i ghiacciai del Wùrm, il più recente dei periodi freddi che si sono succeduti nell'ultimo milione di anni, coprivano un terzo delle terre emerse. Il Wùrm veniva dopo un lungo periodo tiepido e umido, durante il quale gran parte dei continenti si era ammantata di boschi. Quando il clima cambia, chi ne fa le spese per prima è la vegetazione. Le piante non sopportano mutamenti radicali nel regime termico e pluviometrico: lo stress da gelo fu causa della scomparsa delle foreste di gran parte dell'emisfero settentrionale. Il terreno si trovò privo del feltro protettivo delle radici, dell'erba e degli arbusti. Diventò preda dell'erosione del vento: la deflazione eolica, madre di tutti i deserti. Il suolo denudato si di¬ sgregò, i materiali più fini si levarono in nuvole gigantesche di polvere densa che venne trasportata lontano e infine depositata là dove le correnti d'aria si chetavano. In Europa gran parte della Puzta, la pianura ungherese al centro del bacino pannonico, si trasformò in un campo mobile di dune desertiche, così come le altre depressioni delle zone che oggi sono temperate. Accadde anche nella pianura Padana, chiusa fra le Alpi nella morsa del gelo, l'Appennino settentrionale a sua volta glacializzato, e aperta verso Est, dove si prolungava fino all'altezza di Ancona congiungendo Italia e Dalmazia. L'acqua sottratta agli oceani e immobilizzata sui continenti in masse gelate aveva infatti portato il livello marino ad abbassarsi ovunque di oltre cento metri. Del tutto esclusa dagli influssi di un Mediterraneo diventato minuscolo, insignificante come fattore di mitigazione climatica, la Padania viveva una cruda stagione boreale. Venti impetuosi si incanalavano nei corridoi delle vallate lastricate di ghiacci, setacciavano gli accumuli morenici asportandone i limi e le sabbie più leggere, e le sedimentavano là dove andavano a investire la muraglia costituita dalla collina di Torino, dal Monferrato e dall'Appennino Emiliano. Ancora oggi la piana tra Moncalieri e Cambiano, a Sud dell'estremo saliente collinare, è cosparsa di ondulazioni lente, quanto resta delle vecchie dune del deserto subartico di 20.000 anni fa. La coltre di loess vi è spessa fino a 8 metri: le morene del bordo alpino sono vicine, il soffio del fòhn spira gagliardo, con una energia capace di trasportare volumi enormi di sabbia. La copertura è ancora profonda due metri alla falde delle alture che si levano dietro le spalle di Piacenza; continua con un velo sempre più tenue dal Taro al Sillaro, fino alla Romagna. A Forlì le placche deposte non superano pochi decimetri di spessore, in ragione della distanza dalle Alpi, che cresce progressivamente, e costringe la polvere glaciale a un cammino troppo lungo per arrivare tutta fino all'altra sponda dell'alveo padano. Le tempeste di sabbia dovevano essere l'ossessione dell'uomo che viveva nel Paleolitico superiore. Nubi pervasive spargevano il loess ovunque: oggi lo troviamo nelle grotte allora abitate, nei ripari sotto roccia, sui plateau carsici, da Campo dei Fiori ai Lessini, al Cansiglio. Ambienti del tutto simili esistevano lungo la spina dorsale della Penisola, nelle conche del Mugello, del Casentino, del Fucino, fino all'altopiano garganico, e, più a Est, in Istria, ormai a un passo da quello che era il gran deserto magiaro. Oggi i contadini chiamano quei depositi «terre bianche» e non ne sono affatto entusiasti, visto che l'esposizione millenaria agli agenti atmosferici li ha dilavati dei sali minerali necessari per le coltivazioni. Inoltre il limo che contengono li rende quasi impermeabili, tanto che quando piove si trasformano in palude e quando è secco induriscono fino ad acquisire la consistenza della pietra. Sono suoli poveri, come le «terre rosse» e le «terre d'ombra» alle quali si alternano sugli altopiani e sui terrazzi che emergono dalla piana, lembi residuali di antiche forme disseccate dall'incisione secolare dei fiumi. Ragione vorrebbe che quelle supeìfici, ben alte sull'attuale livello del reticolo idrografico, coperte da terréni inadatti all'agricoltura, ma al sicuro da inondazioni proprio per la loro altitudine, fossero destinate a spazio urbano, a ospitare città e fabbriche, aeroporti e servizi. Mentre il livello più basso della pianura, facile a irrigarsi perché alla stessa quota dei fiumi che vi scorrono, coperto da terre grasse e giovani, avesse come suo naturale destino l'essere coltivato. Invece i terreni avari del loess come pure gli altri suoli antichi sono abbandonati dall'uomo, che si assiepa invece sul bassopiano a ridosso dei corsi d'acqua. Da Torino a Ferrara in Padania, Firenze nella sua conca, fino a Budapest in Ungheria, tutte le metropoli si espandono inarrestabili sulle superfici più giovani, a consumare le terre più ricche. E' uno dei tanti sbagli nell'uso delle risorse naturali. Più ancora che stupido, è un comportamento egoista. Perché il conto sarà pagato dalle generazioni future, quando vedranno che dal cemento e dall'asfalto non può crescere il frumento. Augusto Biancoiti Università di Torino . /\ a a %aa A a aaa/wa^a . a A'aaaaVSa a^aa ^aa <aA'V\/V',. A /y A a A ATÀA ^a a yvA^a s"A?:r- S\J* a^aaaa a x»x/zy<%i /AaA "a* AX aaa /\.<a\ a aX r^r* AA •a Va *à~a /AAaa^ a .a iW a A/va A A . />\ AA a ÀX/s /v^aa aaa /\ a a a a^a aaa a a aaa a A- * 'a ,vx a a /\~ A - v a Il loess, un deposito di antico deserto freddo sempre uguale in tutto il mondo, affiora in Cina, in America e anche in Europa, In particolare nella pianura ungherese al centro del bacino pannonico, nella pianura Padana e nell'Appennino

Persone citate: Taro