EROI E VILI NEL 900 RUSSO

EROI E VILI NEL 900 RUSSO EROI E VILI NEL 900 RUSSO La «Letteratura» di Strada IL panorama sterminato e convulso del Novecento ci viene presentato ora dalla monumentale Storia della letteratura russa (18971991) con l'uscita, dopo Dal decadentismo all'avanguardia e La rivoluzione e gli Anni Venti, della terza ed ultima parte, Dal realismo socialista ai nostri giorni (pp. 1152, L. 120.000). Diretta da E firn Etkind, Georges Nivat, Ilja Serman e Vittorio Strada, mentre il non facile coordinamento è stato minuziosamente curato da Anna Raffetto, l'opera nelle sue migliaia di pagine rievoca i rapporti drammatici degli scrittori - le cui vicende sono integrate da capitoli sulla musica, le arti plastiche, cinema e teatro - con le autorità sovietiche e le difficoltà di quanti emigrarono in Occidente. Sono affidati a specialisti francesi, polacchi, americani, svedesi, lituani, tedeschi, russi, inglesi i singoli autori, tra i quali, oltre ai nomi più noti si trovano alcuni, rimasti finora misteriosi per il pubblico: per esempio, nel volume I, la scrittrice e pittrice Elena Guro e Ilja Zdanevic, un editore futurista, o ancora, nel volume HI, il «reietto» Leonid Dobycin (1896-1936), autore di racconti sulla realtà postrivoluzionaria. Peccato che tra questi personaggi salvati dall'oblio non figuri, per esempio, lo scrittore proletario Aleksandr Avdeenko, cui si deve un curiosissimo raccontotestimonianza sulla visita - organizzata nell'agosto del 1933 da Gorkij, insieme con una «brigata letteraria» di trentacinque persone - al cantiere Stalin, sul canale, costruito dai detenuti del massimo Lager, tra il mar Bianco e il Baltico. Né vi figurano Izrail Metter e Vladimir Zazubrin, i cui bellissimi libri - Il quinto angolo, La scheggia - sono ormai noti ai lettori italiani. Questa marea di nomi, dai più illustri - Anna Achmatova, Osip Mandelstam, Bulgakov, Marina Cvetaeva, Pasternak, Solzenicyn, Brodskij, Bachtin, Lotman, Trifonov, Sinjavskij - a quelli forse menzionati qui per la prima volta, non dilaga, tuttavia, come si potrebbe temere, rischiando di travolgere il lettore inesperto, poiché è invece opportunamente inquadrata da una serie di saggi, dedicati a periodi e fenomeni specifici. L'ossatura portante è costituita da alcuni saggi di Vittorio Strada. Nel rievocare gli avvenimenti del 1956, quando Krusciov, nel corso del XX congresso del pcus, denunciò il culto della personalità di Stalin e le sue conseguenze, Strada osserva come in questo modo venga in realtà rinsaldato il culto del partito, di Lenin e del marxismo, ingenerando una serie di ambiguità, destinate a pesare per decenni sul comunismo sovietico e internazionale. Al crollo del mito seguì il suicidio dello scrittore Aleksandr Fadeev (come già nel 1930 il suicidio di Majakovskij aveva suggellato una prima fase della letteratura sovietica) e seguirono la riabilitazione e, tal¬ volta, il ritorno dai Lager di molti detenuti, vittime di Stalin, mentre le vittime di Lenin rimanevano escluse da tali misure. Nella letteratura sovietica di quegli anni s'intrecciavano delle tendenze contrastanti: Il maestro e Margherita di Bulgakov verrà pubblicato, con dei tagli, solo dieci anni dopo, il segretario dell'unione degli scrittori Surkov, scontento del mensile Novyi mir, sostituisce il direttore Tvardovskij con il più ortodosso Simonov, escono Disgelo di Erenburg e Non si vive di solo pane di Dudincev, il poeta Evtushenko formula nei versi le sue critiche, verso la fine dell'anno scoppia l'insurrezione in Ungheria. Definiti i piii^rjah' eventi, nei primi anni del dopo-Stalin, Strada analizza La scienza della letteratura e la critica letteraria, con gli «interventi di Zdanov nel 1946 e con le connesse risoluzioni repressive e censorie... negli ultimi anni di Stalin, con la campagna pseudonazionalìstica e antisemita contro il "cosmopolitismo", lo zdanovismo assunse il carattere di un vero e proprio pogrom... lasciando dietro di sé testi "letterari" degni di un museo degli orrori». Nel 1957 nasce il mensile Voprosy literatury, rispettoso dei dogmi del realismo socialista ma, scrive Strada, «non privo di momenti diversi di divenire». A Tartu in Estonia esce la rivista Lavori sui sistemi semantici di Lotman, che dal 1965 pubblica inoltre Semeiotike, «prima e unica rivista sovietica che esprime le idee... di uno specifico gruppo in un settore ideologico importante... come la teoria letteraria, anzi, idee che non sono neppure marxiste...». Fatto nuovo e significativo la ripresa degli studi su Dostoevskij, un autore rimasto a lungo tabù: oltre all'importante monografia di Bachtin, I problemi della poetica di Dostoevskij, nel 1972 inizia ima magnifica edizione critica dello scrittore in trenta volumi. Va ricordato il lavoro svolto dai russi sulle letterature straniere, di Bachtin su Rabelais, di Pinskij su Shakespeare, e ancora di S. Averincev sulla letteratura bizantina, e il lavoro degli emigrati, per esem- pio lo studio di M. Heller su Platonov o quello di L. Fleishman su Pasternak. Procedendo nella sua indagine, Strada menziona un disgelo diverso, più profondo di quello di Erenburg. E', in sostanza, la rinascita della memoria metapolitica, che si manifesta nel Dottor Zivago di Pasternak e nelle memorie di Nadezda Mandelstam, opere di alto livello artistico e di un'incomparabile autenticità spirituale. Altre opere che hanno anch'esse superato l'esperienza sovietica sono II maestro e Margherita di Bulgakov e il Poema senza eroe di Anna Achmatova. Si tratta di una sfida, della denuncia di un'epoca, quegli Anni Venti, definiti tumultuosi, abbaglianti, ma in realtà macchiati di menzogne e di sangue. Nella sua implacabile analisi, Nadezda Mandelstam rievoca la capitolazione, l'autodistruzione dell'intelligencija, il suo suicidio nel vuoto dei valori da lei stessa creato. Appare intanto la dissidenza, una fase della rinascita, un rapporto illustrato dall'opera di Sin- javskij, che da intellettuale sovietico si trasforma in un intellettuale russo di tipo nuovo. In quel medesimo spazio, secondo Strada, si colloca Una giornata di Ivan Denisovic di Solzenicyn, uno scrittore che diventa il simbolo della dissidenza dall'intero sistema sovietico e dall'ideologia comunista, un rifiuto espresso in L'arcipelago Gulag e in Lenin a Zurigo. Proibita in Urss, la letteratura della dissidenza diventa samizdat, letteratura clandestina, e qui escono i libri di Evgenija Ginzburg e di Anatolij Marcenko, e ha inizio allora un movimento nuovo: l'emigrazione coatta o volontaria. Sono di particolare interesse le osservazioni sulla condizione dello scrittore sovietico. Nel periodo compreso tra Puskin e Majakovskij il russo, a differenza del suo collega occidentale, che rimane fuori dalla mischia, esercita un ruolo importante nella vita pubblica. E' decisivo qui il concetto di narod popolo, inteso come massa contadina oppressa, verso la quale lo scrittore sente di avere un debito morale, che lo costringe o ad istruire questo popolo o a spingerlo verso la rivoluzione. Ma con la rivoluzione tutto cambia. Già nel 1905 Lenin aveva proclamato la subordinazione della letteratura al partito. Si verifica tosto la frattura tra gli emigrati e gli scrittori rimasti in patria, e ancora tra gli scrittori ligi al regime e gli altri, e per giunta, fino al 1934, esistono «il compagno di strada» e lo scrittore proletario. Nel 1934 viene fondata l'Unione degli scrittori, che per decenni, fino all'avvento della glasnost, regolerà con pugno di ferro la vita letteraria in Urss. Tra i tanti esempi delle nefaste conseguenze di questo sistema, converrà rievocare Aleksandr Tvardovskij, nel cui tipico destino s'intrecciano vigliaccheria e coraggio. La vicenda è stata ricostruita da E. Etkind, un russo docente universitario a Parigi. La vita e l'opera di Tvardovskij sono intessute di contraddizioni. E' figlio di contadini poveri che, come successe in molti casi, furono accusati di essere dei kulaki e deportati in Siberia nel 1938 con i figli più giovani. Il ventottenne Tvardovskij, che in quegli anni stava cercando disperatamente di diventare uno scrittore - nel 1936 si era iscritto al pcus -, fu terrorizzato dalla disgrazia della sua famiglia e, come riferisce in un racconto agghiacciante uscito nel mensile Junost (1988) il fratello Ivan, si comportò con la massima vigliaccheria. Due anni prima aveva scritto il poema Il paese di Muravija, dall'apparente fascino folkloristico, benché in sostanza si trattasse di propaganda: un contadino che non vuol vivere nel kolchoz va in giro alla ricerca di un posto migliore, un'impresa che allora sarebbe finita con la fucilazione, mentre il contadino, deluso, finisce col tornare nel kolchoz. Secondo Etkind, è grazie alla guerra che Tvardovskij riesce a comporre i suoi conflitti: i suoi poemi sul soldato Tjorkin, l'uno ottimista, scritto durante la guerra, l'altro amaro (1954-1963), hanno avuto molto successo. Una volta diventato uno scrittore affermato, si trasforma in un personaggio straordinario, quello appunto che l'Occidente ha conosciuto. Direttore per sedici anni del Novyj mir, Tvardovskij pubblica il primo libro di Solzenicyn, Una giornata di Ivan Denisovic, e tanti altri scrittori scomodi, conferendo al mensile un prestigio che va ben oltre le frontiere dell'Urss. Ma insieme, come ricorda Sarra Babjonyseva nel suo articolo sul Novyj mir, venivano trattati i temi della propaganda: Stalin era un genio, il marcio Occidente razzista costituiva una minaccia, ecc. Il conflitto tra i tentativi che precorrono la glasnost e le esigenze del regime non si appianerà, Tvardovskij subisce continui attacchi, deve finalmente lasciare la direzione del Novyj mir, muore nel 1971. LiaWainstein Zdanov, il censore di Stalin Melter, «dimenticato» da Strada

Luoghi citati: Estonia, Parigi, Pinskij, Siberia, Ungheria, Urss, Zurigo