Michnik: ora capisco Jaruzelski
Michnik: ora capisco Jaruzelski Faccia a faccia su «MicroMega» tra le verità di due nemici irriducibili Michnik: ora capisco Jaruzelski L'autocritica di uno dei padri della Polonia democratica «Solidarnosc ebbe le sue responsabilità nel golpe» EROMA ACCIA a faccia tra due nemici irriducibili. Da una parte del tavolo Adam Michnik, a lungo protagonista del dissenso polacco, perseguitato dal regime comunista, dirigente di Solidarnosc, uno degli uomini che hanno guidato a fianco di Walesa la travagliata transizione verso la Polonia democratica. Dal lato opposto il generale Wojciech Jaruzelski, l'uomo del golpe del 13 dicembre 1981, quello che impose alla Polonia di Michnik la legge marziale, il giro di vite repressivo su Solidarnosc, la chiusura spietata di una stagione di speranze. Ed ecco, a undici anni dì distanza, i due nemici che dialogano l'uno di fronte all'altro: un evento straordinario. Reso ancora più insolito dalla franca ammissione di Michnik che farà sobbalzare gli amici della neodemocrazia polacca: la responsabilità del colpo di Stato ricade anche su Solidarnosc. Il singolare dialogo ha luogo sul fascicolo della rivista MicroMega che sarà in libreria dal prossimo 25 giugno. Due nemici che si parlano, che palesemente continuano a non amarsi e che tuttavia sono disposti ciascuno a «riconoscere» la verità dell'interlocutore. La «verità» di Jaruzelski? Con quegli occhiali neri, la sfilata di medaglie sul petto, quell'espressione pietrificata e incapace di sciogliersi in un sorriso, agli occhi dell'opinione pubblica democratica, occidentale e, a maggior ragione, polacca, Jaruzelski ha rappresentato piuttosto il volto demoniaco e cupo della forza pura, del sopruso che parla soltanto con il linguaggio del carro armato. «In tutta la mia vita ci sono state poche persone che trovassi così insopportabili, e che temessi così tanto, come il generale Jaruzelski», premette lo stesso Michnik nel faccia a faccia. Il carnefice della Polonia, l'uomo che con il L'ex«Abbper e di pretesto di evitare l'intervento dell'Urss brezneviana guidò la cosiddetta «autoinvasione», il golpe preventivo, la martirizzazione della Polonia per mano di un polacco anziché di uno straniero: ecco cos'era Jaruzelski per i suoi numerosi nemici. Eppure, dice Michnik, nella primavera dell'89, «vidi il generale Jaruzelski» addirittura come un «uomo normale». E' il pri- mo segno del disgelo psicologico. Poi arrivano la fine del comunismo, lo smorzarsi degli entusiasmi, le divisioni in seno a Solidarnosc. Per Michnik comincia l'era del ripensamento. Che sfocia in questo faccia a faccia col «carnefice» di ieri in un aperto e sofferto riconoscimento delle ragioni dell'altro. «La responsabilità per lo stato di guerra ricade anche sul mio campo», afferma Michnik davanti al suo imbarazzante interlocutore, «perché non siamo stati in grado di creare un linguaggio del dialogo. Se un compromesso si infrange la responsabilità è di tutti». E poi, una presa d'atto ancora più esplicita: «Sbagliavano tutti coloro che dicevano che Solidarnosc era andata troppo lontano, perché assumevano come punto di partenza la responsabilità di Solidarnosc, che esigeva troppo, e non la responsabilità del governo comunista. Ma avevano anche ragione, in quanto il pensiero politico proposto da Solidarnosc era dominato dalle emozioni, dalla retorica, dal sentimentalismo, dalle fobie: senza nessuna differenziazione fra strategie, pratica e programma». «La colpa è anche nostra», dice ancora Michnik riferendosi alla catastrofe che si rovesciò sulla Polonia nel dicembre del 1981: «Avevamo valutato male la situazione». Michnik affronta uno degli argomenti-tabù della nuova Polonia che sta affrontando le vertiginose difficoltà di un Paese uscito dal letargo comunista: fu il colpo di Stato di Jaruzelski il «male minore» per la Polonia per evitare l'ennesima applicazione della teoria brezneviana della «sovranità limitata» e dunque una spaventosa «Budapest su scala polacca»? Michnik non arriva ad ammetterlo esplicita¬ mente, ma pronuncia parole di «pace» inimmaginabili fino a qualche anno fa: è «una cosa di grande significato e una sorta di nostra vittoria comune il poter parlare oggi senza odio, senza inimicizia, provando rispetto l'uno per l'altro e restando fedeli alle nostre biografie». I riconoscimenti di Michnik assumono tanto più valore quanto più, nel dialogo pubbli- cato da MicroMega, Jaruzelski sembra impegnato in una puntigliosa difesa d'ufficio del suo operato. «Continuo ad essere convinto che quanto successo allora fosse una soluzione inevitabile», dice il generale. Jaruzelski concede all interlocutore che oggi occorre comprendere il passato «senza vedere tutto in bianco e nero». Però espone con inflessibile fedeltà al suo personaggio di ieri le ragioni che portarono al colpo di Stato dell'81: rra «Dopo la dichiarazione dello stato di guerra mi sentivo decisamente più forte nei confronti dell'egregio Leonid», dove per Leonid deve intendersi, naturalmente, Breznev. Certo, quella fu per il generale «la decisione più drammatica della mia vita». Jaruzelski ricorda il vero e proprio panico che si diffuse nella nomenklatura polacca quando Walesa minacciò di «voler trascinare i comunisti per i capelli» e difende le ragioni di quelli come lui, «gente convinta che la cornice tracciata da Yalta sarebbe durata più a lungo di noi, forse anche più dei nostri figli e nipoti». Gente le cui scelte erano dominate dalla certezza che «non bisognava decidere se prendere una sciabola e andare a Mosca, ma come muoversi all'interno di questa cornice». La cornice esploderà invece nell'89, trascinando nel fango la nomenklatura terrorizzata da Walesa. I fatti polacchi dell'81 sembrano lontanissimi. Comincia l'ora delle, dolorose autocrìtiche come quella di Adam Michnik. Pierluigi Battista L'ex dissidente ammette «Abbiamo sbagliato per eccesso di retorica e di sentimentalismo» Il generale resta fedele a se stesso «Con lo stato di guerra più forti di Breznev» Adam Michnik e a sinistra il generale Jaruzelski: dopo lo scontro frontale, orai due riconoscono ciascuno le ragioni dell'altro
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