Troppo ancorati alla tradizione

Troppo ancorati alla tradizione ANALISI Troppo ancorati alla tradizione ANCHE la mitica, solenne Rolls-Royce sta vivendo giorni difficili. La storica marca, fondata nel 1904 dall'incontro di sir Charles Stewart Royce con Henry Rolls, e dal 1980 inserita nel gruppo aeronautico Wikers, di fronte alla crisi del mercato, e in particolare al crollo delle vendite negli Stati Uniti, si è vista costretta a mandare a casa, negli ultimi mesi, 10 mila dipendenti, a chiudere la carrozzeria Mulliner Park Ward di sua proprietà, a riorganizzarsi per ridurre la produzione. Di fronte a questi sussulti sembra sia pronta a intervenire la tedesca Bmw: sarebbe un altro colpo per l'industria inglese dell'auto. Che tuttavia è da anni sempre più compromessa dall'ingresso nelle sue aziende degli americani prima, dei giapponesi - e in forma massiccia - poi. Tanto più questo declino colpisce in quanto la storia dell'automobile in Gran Bretagna è semplicemente straordinaria per iniziative industriali e commerciali, per successi tecnici e sportivi, per le idee sovente d'avanguardia che hanno fatto la fama delle sue auto (ne è esempio preclaro la Mini). L'industria automobilistica britannica è nata nel 1897 a Coventry.(la Torino.inglese) con la Daimler Motor Company, per opera di Harry Lawson e la consulenza di Gottlieb Daimler. Con l'inizio del ventesimo secolo fioriscono in continuazione nuove fabbriche (lo stesso fenomeno si era manifestato in Italia), alcune delle quali destinate a diventare celebri, cominciando dalla Rolls-Royce. Nel primo dopoguerra è poi la volta di Napier, Wolseley, Leyland, Vauxhall, Morris, Austin, Mg, Hillman, Standard, Bentley (che nel 1931 sarà assorbita dalla Rolls-Royce), Alvis, Jowett, Singer, Triumph, Rover, Talbot, Aston Martin, Lagonda. In questo periodo diventano potente mezzo di propaganda i record mondiali di velocità su terra che vedono protagonisti costruttori e piloti inglesi: Malcolm Campbell, Parry-Thomas, Segrave, che con le loro macchine speciali Sunbeam, Thomas, Napier, Bluebird, portano in dieci anni il primato assoluto sul miglio lanciato da 235 a quasi 500 km/ora (1935). Gli anni fra le due guerre vedono anche il nascere di una specializzazione molto inglese: quella delle vetture tipo spider o roadster. Certi spider come quelli proposti dalla Mg (forse i più famosi di tutti), Triumph, Bsa, Standard, Singer, fino a quelli grandi e potenti di Alvis, Aston Martin, Lagonda, Swallow (che nel 1945 diventerà Jaguar) e Bentley (famosa, quest'ultima, per le ripetute vittoria alla 24 Ore di Le Mans), avevano uno stile inconfondibile, molto attraente. Nel secondo dopoguerra, l'industria automobilistica del Regno Unito è ancora molto parzializzata in numerose aziende di varie dimensioni, ma con un potenziale produttivo tuttora forte. Le grandi marche tradizionali come la Austin, la Morris, la Vauxhall (General Motors) e la filiazione inglese della Ford, dominano il mercato con modelli popolari di ottima fama. E intanto si affacciano nel mondo dello sport piccoli ambiziosi costruttori, sovente protagonisti. E' di questo periodo - sotto la spinta del bisogno di razionalizzare l'apparato produttivo per fronteggiare la rinascente concorrenza internazionale - l'inizio delle fusioni; i piccoli vengono assorbiti dai grandi (e alcune marche scompaiono), ma sempre in ambito inglese. Nascono successivamente il Gruppo Nuffield (Austin, Morris, Mg, età), il Gruppo Rooters, la British Motor Corporation. Negli Anni 60 il processo si intensifica: nel 1964 la Jaguar assorbe Daimler, Guy Motors e Coventry Climax (produttore di famosi motori); un anno più tardi la Rover fagocita la Alvis; nel '66 nasce dalla fusione della Bmc e della Jaguar la British Motor Holding, mentre l'americana Chrysler assume il controllo del gruppo Rootes. Ma l'anno di svolta è il 1979, con il primo accordo fra la British Leyland e la Honda. Da questo momento scatta in Gran Bretagna la testa di ponte giapponese, che si allargherà implacabilmente a partire dal 1989 con il 20% del capitale Rover in mano della Honda, e successivamente con l'arrivo di Nissan, Toyota, Isuzu e la politica dei «transplants» per aggirare la normativa Cee sull'importazione di auto nipponiche. Una progressiva abdicazione, insomma, alle orgogliose tradizioni dell'automobile britannica. Ferruccio Bernabò ibò |

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