SOLZENICYN il silenzio dei chierici

SOLZENICYN il silenzio dei chierici In Italia una lunga congiura contro lo scrittore dissidente: ora i nostri intellettuali fanno l'esame di coscienza SOLZENICYN il silenzio dei chierici ANNO 1972: nel suo viaggio in Urss, «in conformità a quanto assicurato a Roma, Moravia non ha mai manifestato interesse per un incontro con Solzenicyn». Frammento d'inchiostro pescato negli archivi segreti del Comitato centrale del partito comunista a Mosca. Autore: tale Georgi]' Brejtburd, milionesimo ingranaggio della macchina burocratica sovietica; la sua casella dice: addetto ai rapporti con l'Italia per conto dell'Unione degli scrittori. Moravia è stato ai patti, come ci informa il rapporto precedente il suo viaggio, 30 aprile 1972, autore Georgi) Markov, primo segretario dell'Unione scrittori, che informa i suoi superiori: Moravia e sua moglie desiderano visitare l'Urss per una ventina di giorni, «Moravia ci ha assicurato di non avere intenzione di incontrarsi con Solzenicyn. Su questo viaggio vorrebbe scrivere alcuni articoli per quotidiani di vari Paesi...». Dal nero degli archivi sovietici, la luce di queste righe illumina uno scandalo che ci riguarda: occorre risalire negli anni, riaprire il capitolo Solzenicyn, sfogliare le polemiche di allora, parlare con i testimoni di oggi, documentare quel lapidario «nessun-interesse-per-Solzenicyn» che è di Moravia, sì, ma a testimonianza di una intera generazione di intellettuali italiani. «L'enornrit&uitquel frammento - dice da ■PaiigiKrriri^'Àll5ertì, per qìiattrcPannt segretaria dello scrittore dissidente inEuropa - è che fa trapelare una verità mai detta per intero: in Italia, tranne poche eccezioni, Solzenicyn non solo fu frainteso, diffamato, ridicolizzato, attaccato, vilipeso, ma fu ignorato». E Vittorio Strada, esperto di letteratura russa, oggi responsabile dell'Istituto di cultura italiana a Mosca, conferma: «Solzenicyn da noi è stato prima svuotato e poi censurato. La sua verità era scomoda per tutti: per i comunisti che lo consideravano un nemico, per i non comunisti laici e cattolici - che non sapevano dove collocarlo». Continua Strada: «L'egemonia culturale comunista è stata, e in parte ancora è oggi, capillare, pervasiva. Il suo dominio si fondava - persino - sul riconoscimento speculare garantito dalla cultura cattolica. Chi stava fuori di quei due campi era un lebbroso. Pensi alla sorte di Silone o di Nicola Chiaromonte: cancellati. "Anticomunista" era un'infamia, una scomunica. Esserne colpito significava uscire da tutto: carriere accademiche o parlamentari, dai salotti, dai premi, dalla tv, dalle terze pagine. Nessuno ha avuto ancora il coraggio di raccontare la storia e i guasti di questa doppia egemonia che per almeno 30 anni ha chiuso a chiave lo spazio a disposizione degli intellettuali». O che gli intellettuali si sono lasciati assegnare. Commenta iracondo Lucio Colletti: «Da noi le anime belle dell'intelligencija hanno campato attaccate alla giacca del potere, ruminando nelle greppie di quelle maleodoranti associazioni che sono le burocrazie di partito. Di chi parlo? Di tutti. Da Emilio Sereni in giù, dai cosiddetti indipendenti di sinistra a Argan, dagli ortodossi come Alleata sino agli entusiasti di Mao e Fidel Castro. Dai cantori dell'operaismo rivoluzionario, agli accademici che hanno taciuto. Questi opportunisti vigliacchi si facevano un punto d'onore a non avere letto i libri di Solzenicyn, ecco rinfamia». Ignorato. La storia di Aleksandr Isaevic Solzenicyn - nato nel 1918, volontario in guerra nel '41, internato dal '45, recluso per 8 anni nei Gulag, condannato a 3 di confino, espulso dall'Unione degli scrittori, insignito del Nobelnel '70, cacciatodaU'Urssnel '74, condannato a perpetua solitudine in Occidente - si lega per sempre all'olocausto dei campi staliniani. Le sue migliaia di pagine - da Divisione cancro a Arcipelago Gulag - raccontano con precisione ossessiva la macchina mortale che ha inghiottito 60 milioni di uomini. Dice Giancarlo Vigorelli, dal '58 al '68 segretario generale del Comitato degli scrittori europei: «In Italia quasi nessuna voce si è levata in suo favore. Lui scriveva che il comunismo è un delitto contro la coscienza, da noi i letterati - per esempio quelli legati a una casa editrice come Einaudi - lo liquidavano dicendo che era uno scrittore mediocre. Lo stesso metodo usato da Alicata sull'Unità per cancellare Pasternak: Zivagol Non vale nulla». Solzenicyn reazionario. Mistico. Sognatore della grande Russia. Antimoderno. Venduto. Moravia lo definisce {L'Espresso, '74): «nazionalista si avo filo della più bell'acqua». E Montale argomenta (Corriere della sera, '72): «Potrà conservare la proprietà, o l'uso?, di due appartamenti, potrà scrivere quello che gli pare e permettere che a sua insaputa (!) altri suoi libri si stampino all'estero; e potrà - suppongo - incassare il premio Nobel che nel frattempo gli è stato conferito, ma in nessun modo potrà fregiarsi del titolo di scrittore sovietico con le carte in regola». Per la sinistra ortodossa è addirittura «inattendibile». Un esempio? Claudio Fracassi, a proposito di Arcipelago Gulag (Paese Sera, '74) scrive: «Ancora prima dell'analisi storica, è la stessa ricostruzione dei fatti che è carente o addirittura assente del tutto. Come si può pretendere, a questo punto, che trovino spazio e uditorio, nel vuoto lasciato dalla storiografia, le documentazioni e le interpretazioni di parte fornite da Solzenicyn». Carente? Di parte? «Ecco la falsificazione - dice Strada -. La sua testimonianza era la più vera e perciò la più imbarazzante. Ci spiegava che "stalinismo" era un concetto di comodo, una voce della propaganda: consentiva di liquidare l'orrore dello sterminio, in nome della "degenerazione". Lui ci ha mostrato che, al contrario, quel grande macello era lo sviluppo naturale delle premesse: il leninismo. Questo, allora, non si poteva dire, e neppure si voleva ascoltare». «Nessuno vuole recensire Arcipelago, nessuno si vuole occupare di Solzenicyn», si lamentava Domenico Porzio, allora capo ufficio stampa della Mondadori. E Colletti, oggi, sbotta: «Vigliacchi! Dal fondo del Gulag, lui ci parlava di sangue, ci diceva che neppure lo zarismo si era avventurato a compiere un millesimo delle nefandezze messe in atto dal socialismo reale... E da noi si alzavano le spalle. In Francia i libri di Solzenicyn produssero una rivoluzione profondissima». Oggi Piergiorgio Bellocchio, in quegli anni direttore dei Quaderni Piacentini, rivista a sinistra della sinistra, ammette: «Avevamo i paraocchi. Solzenicyn ci imbarazzava: andavamo cercando una critica marxista al tradimento del marxismo, mentre lui ci parlava in nome di una religiosità che consideravamo di destra, reazionaria. Non sapevamo che farcene. L'unico della nostra area a capire fu Fortini». I suoi tre interventi (1963, 1974,1977) compaiono nella raccolta Questioni di frontiera e hanno un titolo esemplificativo: «Del disprezzo per Solzenicyn». Ricorda Franco Fortini: «Scrissi: se non capiamo quello che ci va dicendo, non avremo il diritto di dare sepolture alle vittime. E ricordo l'ostilità di cui era circondato, qui in Italia. Penso all'area operaista, a intellettuali come Asor Rosa, Tronti, Negri, Cacciari, tutta gente che rideva a crepapelle sui libri di Solzenicyn. Penso ai critici della Neoavanguardia che guardavano con insofferenza questo reazionario sopravvissuto alla Santa Russia». Nega Alberto Asor Rosa: «Primo: è stata la Einaudi a pubblicare Una giornata di Ivan Denisovic nel 1963 e questo vale come smentita alla impenetrabilità dell'ortodossia comunista di quella casa editrice. Secondo: sono uscito dal pei nel '56 perché non consideravo i carri armati una vittoria del proletariato. Terzo: non ho dovuto aspettare Arcipelago per conoscere gli orrori dello stalinismo. Lo abbiamo sottovalutato? Francamente non me lo ricordo. Quarto: attribuire tutti i mah del mondo alla cultura comunista o di area mi sembra una operazione, oltreché falsa, di pessimo gusto. Fa parte di una logica totalitaria oggi vincente. Quinto: il fondo misticoreligioso di Solzenicyn non mi piaceva e non mi piace. Essere stato un perseguitato non significa avere ragione su tutto. O non si può più dire neppure questo?» E nega Massimo Cacciari: «Ma figuriamoci! Semmai l'operaismo, tra i dialetti parlati allora, era il più attento. Anche se noi, come tutti, Fortini compreso, ignoravamo le radici culturali di un uomo come Solzenicyn. I suoi fondamenti teologici, la sua visione anti-occidentale, antiborghese: è una cultura che ci rimane estranea, ma non per calcolo, paraocchi, o perfidia, semplicemente perché non ci appartiene. Per quel che riguarda ì Lager staliniani, sono ancora più radicale, anzi più arrabbiato: basta con questo eterno venerdì delle ceneri, basta con questo pentitismo. Io, a differenza di quello che dice Bellocchio, non avevo nessun paraocchi. La battaglia contro gli ortodossi del pei la facevo allora e la faccio oggi. Sapevo benissimo come e perché venivano ignorati i suoi libri». Uno strumento sfruttato nella logica della guerra fredda, ecco chi era Solzenicyn. Ricorda Giovanni Giudici, poeta, insupera¬ to traduttore di Pusltin: «La scomunica del "Paese fratello" ce lo rese sospetto, attenuò l'interesse per quella terribile verità che Solzenicyn portava scritta sulle proprie pagine e sulla propria pelle. No, non abbiamo fatto abbastanza per lui, ma neppure per la classe operaia, per la gente, per il popolo russo». Non abbiamo fatto abbastanza, chi? «Gli intellettuali, così ansiosi di ricevere riconoscimenti, da sottoporsi a qualunque condizionamento», dice Giudici. Compresi i viaggi pagati in Urss. «Le racconterò una storia - dice da Napoli Gustaw Herling, esule polacco in Italia dal 1955, autore del Diario scritto di notte (appena uscito da Feltrinelli) -. Moravia a Francoforte, anno 1960, lui presidente di turno del Pen Club, doveva aprire la riunione con un ordine del giorno preciso: sospendere la sezione di Budapest per protestare contro l'incarcerazione degli scrittori ungheresi. Lo incontro la sera prima e mi dice: è capitata una cosa incredibile, l'altro giorno a Roma l'ambasciata sovietica mi ha comunicato che presto i miei romanzi potranno uscire in Urss. E poi a casa mi hanno mandato una grande scatola di caviale, cosa vorrà dire? Il giorno dopo Moravia pronunciò un discorso molto diplomatico, molto cinico. Disse: nessuna ingerenza sulle questioni interne ungheresi... Ecco: non ci fu la sospensione, non ci fu la protesta. Cosa voglio dire? Che gli intellettuali italiani, almeno la gran parte, si sono sempre mossi con quel cinismo. A loro importa pubblicare», E si torna al frammento datato 1972, il viaggio di Moravia, in cambio del silenzio su Solzenicyn. «Il suo terribile errore dice Strada - non è di avere stipulato quel patto, ma di averlo rispettato». «Uno scandalo», lo definisce Herling. «Non mi stupisce affatto», dice Irina Alberti. Più radicale di tutti, Goffredo Foli: «E' solo una goccia nel mare. Gli intellettuali m Italia sono stati opportunisti e servi. Per metà si sono messi al servizio del capitalismo che sta affamando il mondo non occidentale. E per l'altra metà agli ordini delle Botteghe Oscure che, come si vede oggi, hanno campato sul plusvalore accumulato in Urss nei campi di lavoro forzato. Solzenicyn? Per tutti era meglio tenerlo nascosto». E così è stato: un silenzio (però) destinato a andare in frantumi, come ogni arcipelago. Pino Cornas Strada: «La sua verità era scomoda per tutti: comunisti e non» SA fianco Franco A fianco Franco Fortini: fu fra i pochi intellettuali di sinistra a capire Solzenicyn. Sopra Irina Alberti: «Non solo fu frainteso, diffamato, ridicolizzato, vilipeso, ma fu ignorato» Sopra, Gustav/ Herling intellettuali italiani? Cinici» Sopra Goffredo Foli: «Gli intellettuali in Italia sono stati opportunisti e servi». Lucio Colletti, a fianco, rincara: «Opportunisti vigliacchi. In Francia, invece, Solzenicyn produsse una rivoluzione»