Aosta, fuggita da un miraggio

Aosta, fuggita da un miraggio REPORTAGE Le ragioni del no ai Giochi: oltre all'ambientalismo, sfiducia nei politici Aosta, fuggita da un miraggio «Dall'Olimpiade solo cattedrali nel deserto» LA VALLE «< » AOSTA DAL NOSTRO INVIATO Che cosa fai Chicco? «Niente, gioco». Il giardino d'infanzia di Chicco, 7 anni e un ciuffo ribelle di capelli biondi sugli occhi, è un grande prato con l'odore dell'erba tagliata che si ferma sotto la salita, dove portano a pascolare le mucche e dove tutte le domeniche che Dio comanda i giocatori di rebatta e fiolet vengono a picchiare una pallina di legno con una mazza, fra le urla degli amici e dei tifosi. E' un pianoro senza rovi e cespugli, delimitato solo da una stradina che s'infila diritta come un fuso verso le casette di Pollein, e Chicco e i suoi compagni ci devono essere nati, qui sopra. Un giorno racconteranno a Chicco che su questo prato volevano farci le Olimpiadi e costruire due trampolini per il salto, che avrebbero tirato su un villaggio sulle colline di Aosta, che sarebbero venuti da tutto il mondo attorno al suo prato. Forse sarebbe diventato più bello, forse più brutto. Nessuno lo saprà mai. Adesso Chicco, sociologo in erba, tiene il broncio: «Io le avrei fatte le Olimpiadi. Avrei potuto allenarmi sotto casa e mi sarei divertito di più». Ma sono parole che si perdono in fretta. Anche a lui, magari, un giorno faticheranno a spiegare perché una piccola regione ha detto di no con un referendum a ciò che quasi tutti gli altri inseguono, perché ha rifiutato i Giochi dello sport, l'occhio del mondo, le fortune e i rischi di un grande business sotto casa. Forse, per dare una risposta, per capire qualcosa, si può anche partire da qui, perché questo prato, a Pian Féhnaz, con la Dora Baltea che scivola piano un po' più sotto verso le ciminiere della Cogne, è un prato dei valdostani, quasi un luogo della memoria. Un tempo, lassù, dove .comincia la salita, ci venivano i piccoli per imparare a sciare, a due passi da casa e ancora oggi qualche volta alla domenica ci portano le slitte con i bambini. Poco lontano, ora, è rimasto un cartello del referendum, per la, propaganda contro le Olimpiadi. «Immaginate», c'è scritto a caratteri cubitali. E poi, in piccolo: «Immaginate scomparire i prati e i boschi a Charvensod sotto il cemento dei trampolini, immaginate il prato di Sant'Orso rovinato dai parcheggi, dalle tribune...». Certo, mai toccare il giardino di casa alla gente: nessuno sarebbe d'accordo. Eppure, aggiunge Piers andrò Pignataro, presidente dei giovani industriali, «io non leggo questo risultato come un no alle Olimpiadi, o come un sì esclusivo alla difesa e alla tutela del territorio. Ci sarà anche questo, ma c'è qualcosa di più e di diverso. Io leggo il voto del referendum come un segnale di rifiuto di una classe politica che ha gestito male questa grande occasione e che troppe volte s'è fatta beccare con le mani affondate nel piatto. Secondo me non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze e soffermarsi solo sull'aspetto ambientalista. La A«vvncgvpsgpgccdTndvefbrdVspcinztrlcnpTinm verità è che traspare da questo voto il malumore dei valdostani per la sua classe dirigente». E se si va a spulciare fra le carte dei giudici, le parole di Pignataro possono trovare davvero molto conferme. Il più importante imprenditore valdostano. Giuliano Folloley, è nei guai per lo scandalo Anas, l'ex presidente della Regione, Augusto Rollandin, è rimasto coinvolto in un'indagine sulla costruzione di un compattatore di rifiuti a Brissogne, un altro ex presidente, Gianni Bondaz, è finito nelle grane per una biblioteca costruita sulle mura romane e Mario Andrione, uno dei numi tutelari dell'Union Valdotaine, per i fondi del Casinò. E si tratta solo della parte più rilevante dell'elenco. E' anche in questo intreccio difficile, in questo momento d'incertezza, in questo vuoto, che è caduto il referendum. Alla fine, Corrado Neyroz, albergatore, non è l'unico a prendersela con la classe dirigente della Vallèe: «A noi dispiace perché abbiamo perso una grande occasione. Tuttavia, bisogna ammetterlo, in pochi mesi sono stati commessi errori madornali e la col¬ ri pa è solo dei politici». Può essere, allora, che molti abbiano temuto semplicemente gli effetti perversi del gigantismo, gli intrecci pericolosi tra affari e politica, le contraddizioni fra il futuro di una regione che alla resa dei conti riesce a sopravvivere più che dignitosamente con la sua clientela quasi familiare e le ambizioni di un capoluogo come Aosta, sempre in bilico tra la sua vocazione turistica e il suo sogno dimezzato di diventare un crocevia internazionale. «Meglio la prudenza», come ammonisce Luciano Malesan, insegnante: «Perché stravolgere quello che rende, perché cambiare il nostro territorio che rappresenta in fondo la voce principale delle entrate?». Tanto più che i Verdi hanno avuto gioco facile a presentare prima del voto gli eccessi delle spese. «Hanno buttato via quasi sette miliardi solo per la promozione di una Olimpiade che era in forse e che adesso non si farà nemmeno», protesta Elio Riccarand, consigliere regionale dei Verdi alternativi. E fa l'elenco: «Dai 50 milioni per l'organizzazione di una conferenza stampa a sostegno della candidatura al miliardo per la preparazione di un dossier, dai 150 milioni per le visite dei membri del Comitato Olimpico ai 140 per la trasferta di una delegazione valdostana a Birmingham. E questa volta, non c'erano sponsor privati, come la Coca Cola ad Atlanta. Questi erano denari pubblici». Così, l'opposizione ai Giochi, nata in sordina, è cresciuta poco per volta con il passar del tempo, fino a diventare un fiume in piena. Come racconta Vittorio Dupont, uno dei promotori del Comitato: «All'inizio, ci davano tutti dei pazzi, ci dicevano che eravamo fuori dal mondo. Poi, sono usciti i dossier e la gente ha cominciato a spaventarsi quando ha visto gli impianti che volevano costruire, quando ha letto che proponevano un villaggio olimpico sulle colline di Aosta, oppure uno stadio da trentamila posti a Pollein senza nemmeno aver consultato il Comune». E' successo allora che perfino quelli che avevano votato a favore delle Olimpiadi hanno cambiato idea. Come Dino Vierin, consigliere regionale dell'Union Valdotaine: «Tutta l'operazione è stata disseminata di errori: i dossier, la scarsezza di informazioni, la mancanza di partecipazione popolare e il mancato coinvolgimento delle comunità locali, le procedure delle spese, la svendita della Coppa del Mondo di sci a favore di Sestriere. Noi abbiamo avuto tempo per riflettere e per capire. La verità, poi, è che si trattava di dimensioni esagerate per una regione come la nostra. Cosa ne avremmo mai fatto, dopo, di queste cattedrali nel deserto?». Già, cosa ne avrebbero fatto? «A Lillehammer, in Norvegia, dove organizzano le prossime Olimpiadi invernali, hanno già deciso che cosa co¬ struire e che cosa ne faranno quando i Giochi saranno finiti», spiega Roberto Maschio, segretario dell'associazione industriali. «Tireranno su un villaggio olimpico che poi verrà riconvertito in una cittadella universitaria. Qui da noi, invece, hanno presentato solo progetti choccanti, dimenticando persino di dire alla gente quali sarebbero stati i vantaggi per la Comunità. Aosta è un capoluogo di regione che ha solo due cinema, che non ha una Univer- sita, che non ha spazi culturali, che ha strutture ospedaliere che non funzionano, un traffico caotico e un centro storico degradato. A quante di queste carenze si sarebbe potuto porre rimedio?». Ecco, questa è l'altra faccia della medaglia. Ma si poteva davvero sacrificare quel prato della memoria alle porte di Aosta, o quello di S. Orso all'ingresso di Cogne, per lanciare una regione nel futuro, cambiarle la faccia, rimodernarla? «Si poteva chiamare Romano Prodi, o chissà quale altra testa d'uovo - dice Leo Garin, proprietario a Courmayeur del ristorante «Maison de Filippo -, i nte» si poteva progettare una piccola terra felice che sarebbe stata avanti di 50 anni rispetto agli altri concorrenti turistici». Questi sogni almeno per ora restano tutti sulla carta. Forse ha davvero vinto la diffidenza per i politici, una nascosta volontà d'isolamento, l'amore per quello che c'è. Anche se Bruno Milane sio, psi, quello che più di tutti voleva queste Olimpiadi, sbotta: «La Valle d'Aosta ha fatto la figura di un cortile di polli rissosi. La spesa non sarebbe stata superiore agli 800 miliardi e non ci sarebbero stati disastri ecologici. Invece, nessuno ha capito e così è svanita un'occasione irripetibile». E adesso, mentre qualcuno come il consigliere regionale psi Liborio Pascale o fu monista Ugo Voyat spera ancora in un altro referendum propositivo per rilanciare le Olimpiadi, mentre la Regione comincia a preparare il concerto di Bob Dylan alla Croix Noire, Marco Albarello e gli altri sciatori valdostani piangono per l'occasione persa, scompaiono dalle strade i manifesti del voto, Pignataro e gli altri industriali sognano ancora «quello che si sarebbe potuto fare», adesso, la bellissima giornata di sole sul prato di Pian Felinaz non basta a consolare Chicco che avrà 15 anni nel Duemila: «Che peccato, avrei voluto giocare alle Olimpiadi» Pierangelo Sa pegno Troppi scandali nel passato recente di una città che ora vuole progetti chiari «Avevano studiato impianti giganteschi e non convertibili senza avvisare la gente» «Ma per sostenere la candidatura già spesi miliardi inutili» Leo Garin, In alto Piersandro Pignataro. A destra piazza Chanoux ad Aosta Vittorio Dupont. In alto una immagine del teatro romano nel centro storico di Aosta