Strade deserte per l'«Orso buono»

Strade deserte per l'«Orso buono» DIARIO DEL VERTICE Strade deserte per l'«Orso buono» WASHINGTON DAL NOSTRO INVIATO Non è più «l'altro da sé», ma non è ancora il «nostro». E probabilmente non lo sarà mai, per quanti sforzi faccia. Gli americani, finalmente tranquillizzati da Boris Eltsin, non riescono a entusiasmarsi. La capitale americana, abituata a tutto, un po' di tutto annoiata, non si è svegliata affatto all'arrivo del Presidente di Russia. Il Congresso sì, gli ha tributato ovazioni a non finire. Ma piuttosto con l'aria di autocompiacimento di chi sa, in fondo, di avere vinto la partita e di chi pensa, ancora più in fondo, cha l'avrebbe vinta comunque, con o senza Boris. La gente, quella stessa che, nell'intervallo del pranzo, si assiepava alle transenne della Pennsylvania Avenue per vedere passare il «fenomeno Gorbaciov», questa volta è rimasta tranquilla a mangiare i suoi hamburger inondata dai flussi refrigeranti dell'aria condizionata. Paradosso finché si vuole, ma il comunista renitente Mikhail interessava di più. Forse perché -._ sebbene, .stesse smantellando anche lui il sistema da cui proveniva - restava il simbolo di una minaccia possente, colui che veniva a trattare la riduzione dei missili mortali, ma che era (o appariva) abbastanza forte per potersene tenere una quota sempre pronta a decollare. Ma forse anche perché l'«apparatchik» Gorbaciov aveva un'aria incredibilmente «nostrana»: di chi parla (o potrebbe mettersi a parlare) la tua stessa lingua. La sua stranezza era il prodotto della sua ambigua e inspiegabile provenienza. Era il mistero e l'ignoto, che giunge da un altro pianeta, come ET di Spielberg, ma con un messaggio di pace. Non si poteva non volergli bene, specie dopo aver visto tanti films sugli «alieni», aggressivi e mostruosi, che volevano distruggere la Terra. Invece Boris Eltsin non è riuscito finora a spezzare cuori e a trascinare queste folle saziate e ecologiche. Forse perché quel suo stile duro e spigoloso ricorda, più del morbido Gorby, quello dell'«orso russo» che per tanti anni ha fatto paura. E non basta, per dissipare le incertezze, che Boris «del carro armato», Boris della «rivoluzione d'agosto», sia ormai «omologato» sotto le stesse bandiere dell'Occidente. Andrà bene per i politici, ma le folle, in fondo, non gli perdonano di avere cancellato un sogno. Che fosse un sogno, anzi un incubo, lo sapevano. Non avrebbero voluto viverci dentro di certo. Ma avvertivano il fascino di una cupa grandezza in quell'esperimento tragico e violento. Era un progetto in crisi, di cui Gorby, l'utopico, restava il sacerdote. Ma era pur sempre un progetto. Boris propone adesso di fare in Russia quello che tutti conoscono in America. Non può pretendere l'entusiasmo. Domani, chissà - magari non lo si pensa, ma lo si tiene nascosto nel subconscio - potrebbe diventare il leader di una potenza risanata e di nuovo, se non aggressiva, concorrenziale. E poi Gorby piaceva anche perché era incompreso in patria. Faceva tenerezza quel suo correre per il mondo a convincere gli altri, mentre i suoi, imperterriti e ingrati, continuavano a odiarlo e denigrarlo. Gli applausi del mondo erano come un risarcimento. Proprio come lo fu il Nobel per la pace. Invece Boris è «profeta in patria», che più di così non si può. E non fa tenerezza. Piaceva di più, anche lui, quand'era nella polvere, sotto il tallone degli apparati che lo volevano morto. E' un vincitore per eccellenza, ma forse gli si rimprovera quello che lui non sarà mai disposto ad ammettere: che è toccato a lui di mettere la ciliegia sul gelato (preparato da Gorbaciov) e che viene in America, esaltato come il primo Presidente di Russia democraticamente eletto (grazie alla rivoluzione democratica di Gorbaciov) [g. ci mmmmmmmmism

Persone citate: Boris Eltsin, Gorbaciov, Spielberg

Luoghi citati: America, Pennsylvania, Russia, Washington