Chiesa, è l'ora del giudizio Di Pietro chiede 26 rinvii

Chiesa, è l'ora del giudizio Di Pietro chiede 26 rinvii Chiesa, è l'ora del giudizio Di Pietro chiede 26 rinvii MILANO. Mario Chiesa, è l'ora del giudizio. A quattro mesi dall'arresto del presidente-dei Pio Albergo Trivulzio i giudici milanesi hanno chiuso il primo troncone dell'inchiesta sulle tangenti a Milano. Ventisei le persone per cui è stato chiesto il rinvio a giudizio. Oltre a Chiesa ci sono 25 imprenditori, tutti legati al giro di bustarelle per gli appalti e le forniture dell'ospizio milanese. I reati contestati vanno dalla concussione alla corruzione, fino alla turbativa d'asta. Tutti ammettono. Anche l'imprenditore Fiorenzo Bertini, tutt'ora latitante, che tempo fa aveva inviato ai giudici un memoriale. Qualcuno sostiene di essere stato costretto a pagare, altri ricostruiscono il sistema delle tangenti. Al giudice per le indagini preliminari Italo Ghitti, che già oggi fisserà l'udienza, sono stati consegnati 49 voluminosi fascicoli di documenti. Verbali di interrogatori, intercettazioni telefoniche ed ambientali, documenti commerciali, contabili e bancari. Allegati agli atti 53 pagine, con l'elenco degli imputati e i capi d'accusa. Sulle carte compaiono le firme di tutti e 5 i magistrati inquirenti. Dal procuratore capo Francesco Saverio Borrelli al procuratore aggiunto Gerardo D'Ambrosio, uno ai tre pubblici ministeri che si stanno occupando dell'operazione «Mani pulite», Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo. Il processo, chiamato Mario Chiesa più 25, prende il via dall'arresto dell'allora presidente del Pio Albergo Trivulzio. Chiesa, socialista, venne arrestato il 17 febbraio mentre intascava una mazzetta da sette milioni da Luca Magni, un piccolo imprenditore di Monza, titolare di una impresa di pulizie. Concussione, hanno stabilito i giudici. Luca Magni, costretto a pagare secondo la pubblica accusa, non è infatti tra gli imputati. Tra gli imprenditori per cui è stato chiesto il rinvio a giudizio spicca il nome di Fabrizio Garampelli, titolare della Ifg Tettamanti, uno dei colossi delle costruzioni coinvolto in altri tronconi delle indagini ancora in corso. A Garampelli, mai arrestato, si devono le prime confessioni che hanno permesso ai magistrati di arrestare fino ad oggi 50 persone. Garampelli, secondo l'accusa, pagò Chiesa per ottenere ap- palti dal Pio Albergo per 7 miliardi. Manutenzione e costruzione di nuovi padiglioni. Un miliardo e 500 milioni l'appalto per le lavanderie Lavafin, di proprietà di Fiorenzo Bertini, in fuga da mesi. E poi ancora Giovanni Zaro, 608 milioni le forniture di carni nel solo '91. Per le pulizie a pagare era Franco Uboldi della Coserv. Per le verniciature Giovanni Pozzi, della Svime. Per la fornitura degli oli combustibili Giuseppe Diana e Liliana Pallavicini (l'unica donna per ora finita in carcere), amministratori della Fratelli Diana. Tra le persone per cui è stato chiesto il rinvio a giudizio Mario Sciannameo, titolare di una impresa di pompe funebri. Appalti miliardari, conquistati a suon di bustarelle. Per i funzionari pubblici ma anche per i politici. Politici su cui ancora si sta indagando. Mancano, almeno per ora, i parlamentari. La loro posizione è tuttora legata alla concessione dell'autorizzazione a procedere da parte delle Camere. Alcuni degli imputati stanno pensando di chiedere il patteggiamento o il rito abbreviato, sia per ottenere uno sconto di pena, sia per evitare il processo pubblico. Anche su queste istanze difensive dovrà esprimersi il giudice per le indagini preliminari Italo Ghitti. Per alcuni imputati, tra l'altro, pendono altre accuse nei tronconi ancora aperti dell'inchiesta. Mario Chiesa, ad esempio, è stato nuovamente interrogato dal giudice D'Ambrosio. «Dobbiamo fare qualche piccola precisazione», ha detto l'avvocato Diodà prima di entrare nell'ufficio al quarto piano del palazzo di giustizia. Il procuratore aggiunto sta conducendo un'inchiesta per accertare eventuali irregolarità sulla vendita degli immobili del Pio Albergo Trivulzio. Sempre in mattinata il giudice Di Pietro ha sentito Giorgio Cioni, segretario del parlamentare de Roberto Formigoni. Cioni, che era accompagnato da un difensore, è stato sentito per un versamento di 500 milioni che Maurizio Prada, il grande collettore delle tangenti per la de, dice di aver dato al Movimento Popolare. I soldi, frutto di tangenti, erano stati consegnati senza che i dirigenti del movimento ne sapessero la provenienza. Sullo stesso argomento, la settimana scorsa, era stato sentito l'assessore regionale de Antonio Simone. Fabio Potetti

Luoghi citati: Garampelli, Milano, Monza