BOSS addio giovinezza di Marinella Venegoni

BOSS addio giovinezza BOSS addio giovinezza STOCCOLMA DAL NOSTRO INVIATO Mille giornalisti accreditati da tutto il mondo. Lunedì sera, qui a Stoccolma, s'è tenuto un minivertice intorno ad alcuni dei temi più cari al mondo del rock: il tempo che passa e cambia le persone; il successo e i soldi che corrodono; il metter su famiglia che trasforma; l'ispirazione che (forse) latita. Tocca a Bruce Springsteen, 42 anni, simboleggiare questi argomenti piuttosto ingombranti. E' stato lui per vent'anni il rock di massa; lui ha cantato i giovani eroi silenziosi della classe media, la voglia di correre, l'ineluttabilità di una dura (se onesta) vita di lavoro, la rabbia, le illusioni, i sogni che non vogliono spegnersi. E li ha cantati così bene, con tanta energia autentica e passione vera, da diventare un eroe multinazionale. I quindicimila convenuti al Globe erano ansiosi davvero di scrutare che cosa fosse rimasto di quel sano ragazzo della porta accanto dopo cinque anni di silenzio durante i quali The Boss ha collezionato una serie preoccupante di cambiamenti: due divorzi (dalla moglie Julienne Phillips ma soprattutto, per i fans, dalla E Street Band, il gruppo che lo accompagnava da sempre), un nuovo matrimonio (con lai propria corista Patti Scialfa) dal quale sono nati già due bambini, infine 24 canzoni divise fra due dischi, «Human Touch» e «Lucky Town», usciti un paio di mesi fa con esiti controversi di critica e vendite. Parafrasando un ironico brano che dice «57 canali tv e niente da vedere», l'autorevole Herald Tribune ha scritto: «24 canzoni e niente da sentire». Pura cattiveria. Perché, dietro il prodotto discografico industrializzato, dietro la sequela di rock senza fiato ma monocordi di «Human Touch», è rimasto uno spirito inquieto e onesto che ha fatto partorire al Boss anche «Lucky Town»: ed è intorno al clima più sofferto e oscuro di quest'ultimo lp che Springsteen dipana il proprio concerto della raggiunta maturità, il vero addio al celibato che la prima moglie troppo bella e distaccata non aveva consentito di celebrare fino in fondo. Addio di per sé naturale, se non fosse lo stesso protagonista a caricarlo di significati umano/musicali poco appetibili alle giovani platee che si godono la gioventù e non vogliono saperne del tempo che passa. Springsteen è cambiato, è inutile negarlo: lo ha detto anche lui quasi subito, lanciando dal palco spoglio canzoni sul pubblico. Come messaggi. Stabilito subito che questi sono «Better Days», giorni migliori, che egli si sente sempre «Born in The Usa» (in versione più ruspante che mai), prima di attaccare «If I Should Fall Behind» dedicata ai problemi della vita a due, The Boss ha parlato. Quasi timidamente: «Prima avevo un sacco di amici intorno. Ora ho due bambini, ho imparato a guardare un'altra persona negli occhi, a conviverci. Ma voi mi siete mancati»; cadeva il teatro dagli urli affettuosi che quest'ultima confessione ha provocato. Però, un altro discorso, prima di una commovente e scarna «Hometown», è stato siglato da qualche fischio: «Ora vivo in California e non più a casa. Con due figli, finisce che vivi per te e solo per te». Ahi. Addio working class, addio amici. Ma l'icona è sempre quella: stivaletti da cowboy con la punta argentata, camiciola senza maniche, panciotto e chitarra scatenata a tracollar più due anellini a entrambe le orecchie e ninnoli sul petto. La serata fatale ha svelato dunque un'attitudine più composta e meno scanzonata; una certa pensosa consape- volezza s'è riflessa anche nella scelta dei brani: pochi classici, molto «Lucky Town» (in cui spiccavano la metallica «Souls of The Departed» sulla guerra del Golfo e «Real World» tutta centrata sulle voci); più ballate che rock. E comunque, quel poco, di una energia immutata. Soprattutto, c'è stato un cambio deciso nella strumentazione, che senza E Street, senza il sax di Clemmons, è rivoluzionata: resta solo l'indispensabile e paterno Roy Bittan alle tastiere, ma gli altri quattro giovani membri della band (in cui spiccano l'eccellente batterista Zachary Alford, ex B52 e il rispettoso ma efficace chitarrista Shane Fontayne, ex Lone Justice) producono suoni più sporchi e neri, contaminati; e c'è un gran dispendio di atmosfere soul, affidate a cinque coristi, con Bobby King in primo piano anche sul palco. Non occorre essere dei geni per capire che l'addio alla E Street Band è stato anche un cambiamento di ragione sociale della ditta: il Boss ora è, davvero, Springsteen da solo. Ma poiché l'amore non è polenta, arriva in un paio di occasioni sul palco, silenziosa e non applaudita, madama Scialfa, in pantacollant e blousòn neri, con i lunghi capelli rossi lisci: insieme cantano «Brillant Disguise», l'unico brano da «Tunnel of Love». E' la storia di un amore che va male, e il quadretto dei due che si occhieggiano allo stesso microfono ci rimanda l'inconsueto ricordo di un'altra coppia italiana, Al Bano e Romina. C'è poco da fare, gli eroi (soprattutto quelli rock) almeno sul palco debbono restare soli: sennò, il carisma si appanna. Lo spirito pare comunque intatto. Inesausto e generoso, e il concerto dura le canoniche tre ore, con quattro bis; Bruce ci lascia con il rock scatenato di «Glory Days», che fa le veci di «Addio Giovinezza» e con «My Beautiful Reward» nella quale ricorda le dolorose divisioni dei beni all'epoca del divorzio. Magari, il prossimo disco sarà di canzoni per bambini. Marinella Venegoni Springsteen apre a Stoccolma la tournée europea davanti a 15 mila fans entusiasti Bruce Springsteen Prossimi concerti 20/21 Milano Assago (esaurito) 25/26 Francofolte; 29/30 Parigi 2/3 luglio Barcellona 6/9/10/12/13 Londra

Luoghi citati: Assago, Barcellona, California, Londra, Milano, Parigi, Stoccolma