Il capo con i denti da lupo guidò l'assalto a 18 banche di Giampiero Paviolo

Il capo con i denti da lupo guidò l'assalto a 18 banche Il capo con i denti da lupo guidò l'assalto a 18 banche TORINO. Li arrestarono a Giarole, un paese tra Casale e Alessandria. Un casello ferroviario abbandonato era l'ultima tappa della fuga senza speranza: braccati da carabinieri e polizia di tutta Italia, Pietro Cavallero e Sante Notarnicola si consegnarono senza sparare un colpo: «Bisogna pur perdere» dissero al maresciallo. Era il 4 ottobre 1967. In 4 anni la banda capitanata da Cavallero aveva rapinato 18 banche e incassato un bottino di 98 milioni, un miliardo e mezzo di oggi. Sulla sua strada, 5 morti e 27 feriti. Da dieci giorni l'Italia conosceva i loro nomi, i loro volti: ecco i «denti da lupo» che i testimoni associavano a Cavallero; ecco le «mani piccole» di Notarnicola. Poi c'era l'altro, «quello grosso»: si chiama Adriano Rovoletto, lo hanno preso al termine dell'ultimo, sanguinoso assalto in largo Zandonai a Milano: quattro morti e 19 feriti per un bottino di 10 milioni. E il quarto uomo, un ragazzo di 17 anni: è Donato Lopez, la matricola. Aveva appena.sostituito Danilo Crepala!, socio fondatore della banda morto in un incidente aereo. Notarnicola, Rovoletto, Lopez, Crepaldi. Tutti gregari, «perché il capo sono io, il Cavallerissimo». Intelligente lo era quel ragazzo cresciuto nella periferia operaia di Torino. Figlio d'un fa¬ legname, conquista senza fatica il diploma di perito chimico, e intanto frequenta la sezione del partito comunista in piazza Crispi. Lì conosce Notarnicola, immigrato in Piemonte da Castellaneta, il paese di Rodolfo Valentino. Ma il compagno Cavallero si rivela inadatto alla disciplina, dopo un paio d'anni lo cacciano senza troppi complimenti. Si sposa, trova un posto come bigliettaio di tram, ma lo lascia «perché gli spifferi mi fanno venire i reumatismi». Ciondolando nei bar ritrova Notarnicola, conosce Crepaldi, trascorre sere a chiacchierare con Rovoletto, figlio di immigrati veneti che ha tentato molti mestieri; dall'operaio al cantante, al falegname nell'aziendina dei Cavallero. Senza mai riuscire, nemmeno come ladro: è conosciuto in questura per aver rubato una partita di 50 scarpe, tutte sinistre. Al tavolo d'un bar prende forma l'idea di fare soldi, e in fretta. Le armi le tiova Crepaldi, dell'auto si occupa Rovoletto. E lui, Cavallero, ha il piano. Sarà sempre lo stesso: trovare una banca all'angolo tra due strade, per facilitare la fuga; non spaventare i clienti; fuggire verso il centro città: «La polizia penserà il contrario». Il primo colpo l'8 aprile 1963, istituto San Paolo in via Vigliarli : sei milioni, nessun ferito. Ma si spara in piazza Rivoli, il 22 gennaio 1964: una giovane impiegata perde un occhio; un uomo è ferito lievemente, ma si ammala di cuore e morirà d'infarto pochi anni dopo. Sette rapine, a Torino e Milano, 39 milioni di bottino e sempre un lavoro di copertura. Il 12 novembre 1965, ancora a Milano: tre banche in un'ora, per non dar tempo di orientarsi alle forze dell'ordine. Poi il primo delitto, al San Paolo di Cirié: Cavallero uccide l'anziano medico condotto Giuseppe Gajottino, «colpevole» di non aver udito quel «fermi tutti, è una rapina» pronunciato a bassa voce dal capo, «per non spaventare i clienti». E' il 16 gennaio 1967. Altre rapine, poi l'ultima sfida. Da mesi Cavallero invia lettere alle banche, firmandosi «Anonima rapinatori». Pretende un riscatto, garantisce l'immunità in cambio di quattrini, Ma nessuno lo ha preso sul serio. «Se ne accorgeranno» promette ai complici. Il 25 settembre sono a Milano, Banco di Napoli di largo Zandonai. Il piano prevede un altro «colpo doppio», ma polizia e carabinieri (accorsi in zona per una tentata evasione a San Vittore) arrivano troppo presto. I banditi sparano, proiettili uccidono o feriscono passanti e automobilisti. L'auto sbanda, esce di strada: Rovoletto, ferito, è preso mentre cerca di svignarsela a piedi. Fa i nomi dei complici: Lopez lo arrestano a Torino, è rientrato in treno come aveva detto il capo. E in treno Cavallero e Notarnicola si dirigono verso la Lomellina, vagano in Monferrato, perché il «Cavallerissimo» un vero piano di fuga non ce l'ha, e i soldi nemmeno, tutti spesi. Li nota una negoziante di Giarole, avvisa i carabinieri. E' la fine: tre ergastoli (Lopez se la caverà con meno) sono la condanna per 75 capi d'imputazione. Giampiero Paviolo Pietro Cavallero durante il processo che, nel 1967, lo condannò all'ergastolo A fianco Pietro Cavallero, 64 anni, in un'immagine recente, dopo che ha scontato 25 anni di carcere per una serie di reati tra cui l'omicidio del camionista Virgilio Oddone (sopra)