Cavallero libero non dai rimorsi di Marina Cassi

Cavaliere libero, non dai rimorsi A Venaria dopo 25 anni di carcere il bandito simbolo degli Anni 60. Soffre di enfisema ed è in miseria Cavaliere libero, non dai rimorsi Abiterà da un 'amica e aiuterà i malati TORINO. Da ieri pomeriggio Pietro Cavaliere il bandito degli Anni Sessanta condannato all'ergastolo nel 1967, è un uomo libero. Il Tribunale di sorveglianza di Torino gli ha concesso la libertà condizionale per ragioni di salute (un grave enfisema polmonare); per 5 anni dovrà abitare in un Comune della provincia e presentarsi una volta alla settimana dai Carabinieri. Dopo un quarto di secolo (quasi vent'anni dietro le sbarre di San Vittore) potrà curarsi, incontrare gli amici, inventare progetti per il futuro. E dovrà affontare, a 64 anni e senza un mestiere, i problemi quotidiani di una esistenza non più assistita; è povero Cavaliere con il suo mezzo milione al mese di pensione di invalidità. Ma non è solo. Al settimo piano di una casa popolare alla periferia di Venaria una anziana amica della madre, Incoronata Damico, gli ha offerto ospitalità. Vivrà lì in attesa di organizzare la sua vita. E tornerà al Sermig (il servizio missionario giovanile) che nell'ex Arsenale Militare della città accoglie i più deboli: carcerati, malati di Aids, immigrati. Tra quelle mura Cavallero ha già conosciuto un primo spiraglio di libertà; da 3 anni e 4 mesi quella era diventata la sua casa di giorno, la notte doveva ritornare a dormire nel carcere delle Nuove. E proprio quell'esperienza vissuta con un impegno totale ha colpito i giudici. Spiega il presidente del tribunale di sorveglianza Pietro Fornace: «Al Sermig è diventato amico di un ragazzo africano ammalato di Aids. L'ha curato con la sollecitudine di un padre. Credo che questo testimoni da solo chi è oggi Pietro Cavallero». Schivo, privo di retorica. Negli anni della semilibertà ha parlato poco della sua lontana vita di rapinatore e senza cercare comprensione. E anche ieri ha preferito il silenzio. «E' il suo progetto più immediato quello del silenzio - assicura il suo avvocato, Bianca Guidetti Serra -, non vuol suscitare altro clamore». Per questo desiderio di riservatezza è rimasto a casa, lontano dall'aula di Tribunale in cui si stava decidendo il suo futuro. Ha scritto al giudice una lettera breve in cui ringrazia «per l'attenzione che ha sempre dimostrato al mio caso» e si impegna «a non deludere la fiducia concessami». Cavallero è malato (questa la ragione principale della libertà vigilata). Da anni combatte contro un enfisema polmonare che gli mozza il fiato e gli arrochisce la voce. Nei mesi scorsi gli era stato concesso il differimento della pena e ha trascorso lunghe settimane al San Luigi di (Dibassano e in un ospedale di Torino. Raccontano gli amici del Sermig: «E' malato veramente. Da qualche tempo non riesce neppure a venire a trovarci». Ricordano l'angoscia provata un pomeriggio di inverno: «Improvvisamente Pietro si è sentito male, non riusciva a respirare. Abbiamo dovuto chiamare l'ambulanza e farlo ricoverare d'urgenza». A 64 anni per Pietro Cavallero, che come molti altri detenuti ha scoperto che la pittura può essere un conforto e uno stimolo nelle lunghe e vuote giornate di carcere, si lascia alle spalle la pena. Ma non dimentica l'epoca sciagurata, tra il '63 e il '67, quando era il capo della «banda Cavallero». «Il tempo per me si è fermato a quei momenti che non riesco più a cancellare. Ha trascorso tanti anni in carcere, ho pensato, capito. E per rispetto verso i parenti delle vittime, verso chi ho fatto soffrire, preferisco tacere». Così diceva appena ottenuta la semilibertà. Cavallero ha scelto il silenzio e la speranza. «Vorrei rendermi utile. Penso di poter dare una mano ai detenuti a chi come me ha sbagliato. Ne ho conosciuti tanti in carcere e so che spesso hanno bisogno di una parola di aiuto, di conforto». Marina Cassi «Per rispetto dei familiari di chi ho ucciso preferisco tacere» Pietro Cavallero (a sinistra) e Sante Notarnicola, al momento del loro arresto, il 4 ottobre del 1967: con la loro banda insanguinarono l'Italia negli Anni Sessanta

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