Gli Usa legalizzano il rapimento di Stato di F. P.

Gli Usa legalizzano il rapimento di Stato E' subito polemica per la sentenza che ignora i trattati di estradizione e dà ragione al Presidente Gli Usa legalizzano il rapimento di Stato Per la Corte Suprema si possono catturare all'estero i sospetti NEW YORK NOSTRO SERVIZIO I poliziotti americani hanno il diritto di rapire persone sospette all'estero e di portarle negli Stati Uniti per farle sottoporre a processo, anche se ciò avviene in Paesi con cui esiste un trattato di estradizione. E' l'ultima «scioccante» sentenza della Corte Suprema americana, e il termine «scioccante» è stato usato dal suo stesso presidente William Rehnquist, nonostante sia stato lui a scriverla e a sostenerla di fronte ai suoi colleghi. Rehnquist ha anche ammesso che il rapimento di qualcuno all'estero «può essere considerato un'azione contraria ai principi generali delle leggi internazionali», ma poiché il caso sottoposto alla massima istanza giudiziaria americana era da considerare «essenziale» per gli Stati Uniti, ecco che lui ed altri cinque giudici hanno considerato legittima quell'azione. Di parere contrario si sono dichiarati i restanti tre giudici, che hanno voluto mettere a verbale la loro opinione scritta in termini durissimi. Si tratta, dice il giudice John Paul Stevens, di un pessimo esempio dato alle altre nazioni del mondo. «In pratica, tutti i Paesi che hanno a cuore il rispetto della legge saranno danneggiati, direttamente o indirettamente, da una sentenza del genere». La «licenza di rapimento» che gli Stati Uniti si riservano era già stata enunciata nel 1989 dall'amministrazione Bush e si riferiva a un episodio preciso: quello di un uomo di nome Humberto Alvarez-Marchain che era stato catturato in Messico da persone pagate dagli agenti americani e che era stato poi consegnato loro al confine. Alvarez-Marchain era accusato di avere partecipato all'assassinio di un agente antidroga americano e il suo rapimento aveva creato una dura disputa diplomatica con il Messico. Con la sua «opinione», l'amministrazione Bush aveva voluto affermare la validità del processo cui Alvarez-Marchain doveva essere sottoposto in California, ma la Corte d'Appello di quello Stato aveva rovesciato l'impostazione e aveva ordinato la cancellazione di tutti gli addebiti contro di lui. Ora, la Corte Suprema ha dato ragione al governo. Il processo contro Alvarez-Marchain si può fare, ha deliberato, senza curarsi di quanto questa sentenza potrà risultare un'arrogante pretesa degli Stati Uniti di violare le leggi degli altri Paesi e i trattati di estradizione che Washington ha firmato con loro. Sono 103, quei trattati, ma il presidente della Corte Suprema Rehnquist fa riferimento soltanto a quello con il Messico, per ricordare che esso «non dice nulla sulla proibizione a uno dei due Paesi di rapire qualcuno nel territorio dell'altro, né sulle conseguenze che un eventuale rapi¬ mento avrebbe». Insomma, siccome il rapimento non è esplicitamente proibito dal trattato Usa-Messico, vuol dire che è permesso. Il giudice Stevens, quello che ha scritto la veemente opinione contraria, su questo punto si permette dell'amara ironia. «Questo vuol dire che se per esempio gli Stati Uniti pensassero che la tortura o l'uccisione di una persona siano più efficaci dell'estradizione, anche quelle possibilità sono disponibili, visto che non vengono esplicitamente proibite dal trattato». Durante la disputa fra l'amministrazione Bush e la Corte d'Appello della California, i consiglieri legali del Presidente avevano sostenuto che «nessuno dei trattati esistenti è stato mai letto come una proibizione di compiere arresti al di fuori dei suoi termini», e il commento abbastanza ovvio che tutti fecero all'epoca fu: «E allora cosa li firmiamo a fare i trattati?». [f. p.]