In valigia un regalo per Bush

In valigia un regalo per Bush In valigia un regalo per Bush Gajdar il capitalista nominato primo ministro MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Alla vigilia del suo arrivo negli Stati Uniti il Presidente russo Boris Eltsin ha voluto dare un segnale quanto più possibile chiaro all'opposizione interna, allo sconfortato schieramento democratico in patria, ma soprattutto all'Occidente: la riforma continua, e il suo stratega, Egor Gajdar, continuerà a portarla avanti con maggiori poteri. Subito prima di partire (c'è chi dice lo abbia fatto all'aeroporto), Eltsin ha infatti affidato a Gajdar «le funzioni di presidente del Consiglio di ministri», ed il portavoce del governo ha detto che l'incarico «non è temporaneo». Con una raffica di decreti, inoltre, il Presidente russo ha aggirato l'opposizione del Parlamento all'approfondimento delle riforme economiche. I decreti prevedono la privatizzazione delle imprese in deficit che, da qui a tre mesi, non riusciranno a pagare i debiti; la vendita della terra occupata dalle imprese private, ed una serie di misure per rafforzare la circolazione monetaria e sopperire in parte al deficit di denaro contante. Sul campo delle nomine, oltre alla «promozione» di Gajdar, gli aggiustamenti nella squadra del governo riguardano Aleksandr Shokhin, uomo di Gajdar, che lascia il posto di ministro del Lavoro conservando però quello di vicepremier, ed il radicale Serghej Shakhraj, che dopo aver ventilato in una recente intervista la possibilità di un rovesciamento di Eltsin, ha perso l'ultima carica ufficiale che gli era rimasta: quella di consigliere di Stato. Questi passi sono stati mossi con straordinario tempismo. A Washington Eltsin parlerà al Congresso, da cui spera di ottenere il via al pacchetto di aiuti promesso da Bush, e il Presidente Usa attendeva un forte segnale «riformista» dal suo nuovo partner del Cremlino. Con questa assicurazione in tasca, Gajdar avrà più frecce al suo arco nel convincere gli occidentali (americani, ma anche giapponesi e europei membri del G-7), che il corso delle riforme andrà avanti, che i 24 miliardi promessi dalle sette potenze economiche saranno ben spesi, e che il Fondo monetario internazio¬ nale deve avere un po' di pazienza e mostrare flessibilità. Perché allora Eltsin non ha ceduto a Gajdar la presidenza del Consiglio, affidandogli solo le «funzioni» di premier? Perché il Parlamento, infestato da vecchi comunisti, potrebbe silurare il progetto di legge sul governo. L'opposizione conservatrice non è affatto sconfitta: lo dimostrano le manifestazioni di nostalgici che da giorni ormai si svolgono davanti al centro tv di Mosca, ma anche l'aperta ostilità dello «speaker» del Parlamento Ruslan Khazbulatov. Il governo, per ora, è dunque più protetto se resta almeno formalmente all'ombra dello stesso Eltsin. Se il progetto di legge passerà, Gajdar potrà avere l'investitura ufficiale, ed il vicepresidente del Parlamento Filatov, un moderato, si è detto «sicuro che il Soviet supremo approverà». Queste «grandi manovre» precedenti al primo vertice ufficiale con Bush, tuttavia, mostrano tutta la debolezza del nuovo leader del Cremlino. Nei suoi incontri con i Presidenti americani (Reagan prima, Bush dopo) Mikhail Gor¬ baciov offriva come merce di scambio la riduzione di armi nucleari e convenzionali, il ritiro dell'Armata rossa dagli avamposti nel Terzo mondo e poi dall'Europa orientale, l'unificazione della Germania e la fine della guerra fredda. Eltsin ha portato con sé a Washington tutto ciò che ha potuto, ma il piatto è scarso: la sua tenace determinazione a trasformare la Russia in un Paese «normale», e la promessa di aiutare gli americani a cercare in Russia qualche pilota Usa preso prigioniero ed eventualmente sopravvissuto agli ospedali psichiatrici comunisti. Quanto alle armi nucleari strategiche, le posizioni restano ancora troppo distanti per poter sperare in un accordo sulla loro ulteriore riduzione. E la migliore carta di Eltsin, nei suoi colloqui con Bush, resta dunque il bisogno urgente che anche il Presidente americano ha di riportare un qualche successo politico da giocare sul difficile campo della campagna elettorale statunitense. Auguri. Fabio Squillante

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