Nell'arena di Isidori con Seneca di O. G.

Nell'arena di Isidori con Seneca «Musica per una Fedra moderna» con la compagnia Marcido Marcidorjs Nell'arena di Isidori con Seneca Lo spettacolo incute rispetto, ma c'è un dubbio TORINO. Non possiamo non stimare Marco Isidori. La coerenza con cui persegue un Teatro affidato a tutti gli accidenti della voce non può non meritare il nostro rispetto. E anche quel poco o tanto sadismo che infligge agli attori della Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa turba le nostre coscienze disabituate alle pratiche ascetiche e penitenziali. Oserei dire che Isidori è necessario come la Quaresima. Ci fa capire che solo il patimento può portare all'estasi. E di sofferenza il suo Teatro è pieno. Sembra addirittura che Isidori non riesca ad esprimersi senza entrare in una sorta di arena gladiatoria, in cui gli attori sono obbligati (per amor di teatro, si capisce) a stravolgere la naturale sintesi di corpo e voce: i corpi, come ormai sanno i frequentatori della Marcido, sono sempre impediti nel movimento e la voce è una slabbratura assoluta, un deragliamento fonico. L'altra sera siamo andati in un appartamentino di via Beaumont dove Isidori rappresentava «Musica per una Fedra moderna»: uno studio, un preambolo allo spettacolo che verrà. In scena, incorniciati da una ghirlandina di luci, erano allineati i suoi attori abituali: Lauretta Dal Cin (Fedra), Maria Luisa Abate (Nutrice), Ferdinando D'Agata (Ippolito), Corrado Parodi (Teseo) e, nel ruolo del Nunzio, nonché direttore di voci, lo stesso Isidori. Come lascia indovinare il titolo, la tragedia di Seneca è stata scomposta e ricomposta secondo i principii di una partitura musicale, più vicina alla dodecafonia che all'armonia. I volti dipinti di rosso, i corpi legati alle rispettive cornici da cinghie elastiche, gli attori hanno cominciato a scalare musicalmente i versi senechiani, a scheggiarli in lampi sonori, a tormentarli con un rimastichio balbuziente e martellante. A tratti offrivano una scansione chiara: ma era la pausa descrittiva che precedeva una nuova grandinata verbale. Che tutto ciò abbia un senso estetico è evidente e la storia del Teatro potrebbe indicare padri e madri di questo stile. Ma l'esistenza di un pedigree artistico non riduce un nostro piccolo allarme, non ci toglie il dubbio che Isidori, più che uno stile, insegua un suo manierismo. Infatti Isidori è uguale a se stesso sia che affronti Genet, sia che metta in scena Andersen o Seneca. Senz'altro è un nostro limite, ma sospettiamo che, con la stessa caparbia coerenza, potrebbe epicizzare persino «La vispa Teresa». [o. g.]

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