Io, Bonito Oliva il Serenissimo

Io, Bonito Oliva il SerenissimoIl nuovo direttore: «Farò una Biennale intercontinentale» Io, Bonito Oliva il Serenissimo rt\ ROMA | ' RITICO d'arte militanI te, gran provocatore, 1 i amante del paradosso, IflJ Achille Bonito Oliva è stato designato quasi all'unanimità ( 10 voti su 12) curatore della Biennale Arte 1993. Una prova impegnativa attende il neoeletto direttore della manifestazione veneziana che l'anno prossimo sarà centenaria. Il «padre» della Transavanguardia italiana, classe 1939, primo di otto figli di un'aristocratica famiglia del Sud, ha già le idee chiare sulla Biennale all'appuntamento del secolo: superare i conflitti ma non le diversità. Si autodefinisce critico «Serenissimo», fatto su misura per un'epoca che ha smesso gli occhiali dell'ideologia e in cui gli artisti devono sentirsi parte di una «casa comune», senza che tra loro vi siano vincitori o vinti. Professor Bonito Oliva, qual è la sua strategia per la prossima edizione della Biennale? Avrà un volto nuovo e competitivo. Finora la Biennale è stata una specie di Società delle Nazioni dell'arte, un'Expo Universale. Certo, non deve perdere il suo carattere, ma deve sfoderare gli artigli e confrontarsi con l'intensa attività dei musei europei, americani, giapponesi, sempre più grintosi e agguerriti. In questi giorni si è aperta «Documenta», l'importante rassegna artistica di Kassel. E' un modello da norii imitare: punta,'ìl suo sguardo sull'attualità e centra tutte le sue scoperte sull'asse Germania-Stati Uniti. La Biennale farà il contrario: cercherà di costruire spazi tematici, senza dar luogo ad attività mercantili e senza concedere tutto ai Paesi europei. Non vogliamo assurdi privilegi, come quelli toccati agli artisti belgi che sono stati chiamati ad esporre in gran numero a «Documenta», solo perché il suo direttore, Jan Hoet, è di nazionalità belga. La Biennale invece dovrà avere un carattere intercontinentale, con la partecipazione di pittori e scultori dall'Est europeo, dall'Australia, dalla Cina e dal Sudafrica. Oltre ai 30 Paesi ospitati ve ne sono altri 60 che bussano alle porte. Vorrei che fosse una Biennale di esplorazione e una Biennale delle differenze, pronta non a omologare ma a sottolineare le diversità. Degli italiani chi sarà dentro e chi fuori? Mi interessa puntare più sulla qualità che sulla quantità, sui valori resistenti nel tempo. Tra i nomi che mi vengono in mente ci sono quelli di Rotel- la, Schifano, Fabro, Cucchi, Clemente, Turcato, Consagra, Vedova, Accardi, Carol Rama, Veronesi. Intendo far esporre personalità che abbiano un percorso alle spalle, fuori da ogni schema generazionale. E per i più giovani cosa prevede? Hanno il loro spazio assicurato, nessuno vuol tarpare le ali alle nuove leve. Ma è arrivato il momento di scommettere soprattutto sui singoli più che sui movimenti collettivi. C'è un'inversione di rotta rispetto alle tendenze dominanti per tutto un secolo. Siamo in un'epoca assolutamente nuova. All'inizio del Novecento le avanguardie storiche si rifacevano all'arte del Sud dell'emisfero, alle suggestioni che arrivavano dal continente africano. In Occidente e soprattutto negli Stati Uniti, a partire dal dopoguerra si è guardato verso l'arte orientale come fonte d'ispirazione. Adesso, privi di modelli politici e culturali «forti», cadute le contrapposizioni, ci troviamo in un clima di nomadismo culturale, di eclettismo stilistico. Gli schieramenti hanno favorito il rinnovamento, sono serviti a decongestionare il tessuto ingorgato dell'arte d'avanguardia degli Anni 70. Ma oggi non servono più. E la Transavanguardia? Io sono molto orgoglioso della mia teoria. Potrei dire, come sosteneva Flaubert di Madame Bovary: «La Transavanguardia c'est moi». Certo, non sono responsabile delle oscillazioni del mercato e nemmeno degli sviluppi successivi della produzione artistica dei singoli autori. Lei si autodefinisce «Serenissimo». Però intorno al suo incarico per la Biennale fervono le polemiche. Vittorio Sgarbi, ora deputato liberale, in un'interrogazione sulla sua nomina parla di lei come «espressione non di cultura ma di mercato», e il pittore Piero Dorazio l'accusa di essere un «critico improvvisato». Riesce ad essere sereno lo stesso? Le rispondo con la dichiarazione che Umberto Curi, rappresentante del pds nel Consiglio direttivo della Biennale, ha rilasciato a «Panorama» a proposito della mia elezione avvenuta quasi all'unanimità: «Per una volta non c'è stata bagarre, né feroci schieramenti... Il curriculum era ineccepibile». E ricordo anche che fu proprio Sgarbi, nel «Dizionario degli autori», Bompiani, a esprimere elogi sul mio conto. Quanto all'accusa di mercante d'arte, tutti sanno che non faccio expertises. Vede le pareti della mia casa? Sono pressoché nude. Allora dove hanno origine ostilità e antipatia verso di lei? Tra gli artisti non ho nemici. Caso mai li ho nel campo della critica, proprio perché ho lavorato sempre in prima persona, esponendomi e assumendomi le mie responsabilità. Ho avuto delle intuizioni che hanno valorizzato la figura del critico d'arte: prima di me era considerato più che altro un servo di scena, un portatore d'acqua al lavoro dell'artista. E ancora non sarà del tutto casuale una scelta come quella fatta da Giulio Carlo Argan che mi ha affidato il compito di completare i suoi manuali. 10 non sono mai polemico, sono le mie proposte chejproducono polemiche. Quali artisti godono oggi di un eccesso di stima da parte della critica e anche A livello internazionale esis 11 meccanismo perverso delle aste. Dove si pratica un eroismo da collezionista, si esibisce un'enfasi muscolosa, quasi come in una competizione, agonistica, che non riguarda il reale valore delle opere ma il loro acquisto in quanto status symbol. In questi anni infatti i maggiori acquirenti sono stati i giapponesi, ultimi arrivati e desiderosi di farsi conoscere. Se dipendesse da me, abbasserei le quotazioni di Jasper Johns e di Roy Lichtenstein e alzerei quelle di Burri e di Fontana che da questo meccanismo sono stati penalizzati. Dell'opera di Dorazio, che non è tra i suoi estimatori, cosa pensa? Ha ripreso la lezione di Balla e quella americana astratta degli Anni Cinquanta. Vedova, Turcato e Consagra, per esempio, hanno saputo rinnovare il loro linguaggio. Dorazio mi è indifferente. La Biennale comunque non sarà in alcun modo un regolamento dei conti né con i critici né con gli artisti. Mirella Serri «I giovani? Punto sui singoli, non sui movimenti II mercato? Abbasserei Johns e Lichtenstein alzerei Burri» w:::;::££';-£:::::::: V:-:::::::;::: Achille Bonito Oliva: «Non ho nemici tra gli artisti Caso mai ne ho tra i critici»

Luoghi citati: Australia, Cina, Germania, Roma, Stati Uniti, Sudafrica