Cee, un fantasma sulla sedia italiana di Aldo Rizzo
Cee, un fantasma sulla sedia italiana OSSERVATORIO 1 Cee, un fantasma sulla sedia italiana TRA undici giorni si terrà a Lisbona un vertice europeo molto importante. Infatti è il primo da quando il no danese al trattato di Maastricht ha seminato sconcerto e dubbi nella Comunità. E giovedì c'è un altro rischioso referendum, in Irlanda. La domanda è: chi rappresenterà l'Italia? Il governo dimissionario, superato e travolto dal voto del 5 aprile? Oppure un nuovo esecutivo, messo insieme in extremis, e magari ancora privo della ratifica parlamentare? Mentre gli altri governi si preparano al «summit» portoghese e approfondiscono i dossier, da noi comincia il secondo giro di consultazioni del capo dello Stato. Naturalmente, è un vecchio problema. Innumerevoli volte, le incertezze e i dissesti della politica interna hanno condizionato la nostra presenza intemazionale. Cito i casi più recenti. Nel 1987 un governo pre-elettorale, battuto in Parlamento, fece da padrone di casa, a Venezia, alla riunione annuale dei sette Paesi più industrializzati (o G-7). Nello stesso anno il Presidente della Repubblica dovette rinunciare all'ultimo momento a una preparatissima visita di Stato in Gran Bretagna, per una minicrisi aperta dai liberali. Nel 1988, di nuovo, un governo dimissionario al vertice europeo di Bruxelles. L'anno dopo, il fatto si è ripetuto quattro volte: per la visita di Bush a Roma, al vertice Nato di Bruxelles, al vertice Cee di Madrid e alla riunione del G-7 a Parigi. Ora, però, non è più possibile valutare il problema con i criteri di un tempo. Ci sono due fondamentali novità. La prima è che il quadro internazionale è radicalmente mutato. Fino a tre anni fa, le questioni che si esaminavano nei vertici erano più o meno le stesse. Compattezza dell'Occidente di fronte alle minacce dell'Oriente, disponibilità e prudenza di fronte alle aperture, vere o supposte. C'erano due schieramenti contrapposti e ci si muoveva in una logica precisa e sperimentata. Dopo la fine della guerra fredda, è tutto diverso. A Oriente, almeno in Europa, non c'è più un nemico; in compenso c'è un'infinità di 1 ropa |jncc altri problemi, scaturiti dalla stessa disintegrazione dell'impero sovietico. Non senza contraccolpi a Occidente: nel senso che, venuto meno il nemico, si è indebolito anche il collante che teneva sempre unite le democrazie; ora è necessaria una volontà politica di tipo diverso (nello stesso tempo più ferma e più articolata) per insistere in un discorso comune. La seconda novità riguarda direttamente l'Italia. A un quadro internazionale sostanzialmente stabile, e comunque facilmente controllabile nella sua evoluzione, corrispondeva un quadro interno che, più che stabile, sembrava immutabile. I governi nascevano e cadevano, per litigi intestini, ma gli uomini erano sempre gli stessi, e le maggioranze anche. Così, importava poco chi rappresentasse ufficialmente Roma, nell'esame dei soliti temi. Adesso, di fronte a temi completamente nuovi, c'è un ceto dirigente frantumato, che cerca i modi di un riallineamento. Anzitutto, è ovvio, in politica interna, ma anche, in maniera meno manifesta, in politica estera. Per cui un governo dimissionario, o ancora senza una maggioranza parlamentare, se questo dovesse essere il caso, non rappresenta oggi niente e nessuno. In altre parole, c'è una crisi del «sistema» internazionale e contemporaneamente c'è una crisi del «sistema» italiano: per ragioni in parte autonome, endogene, e in parte motivate dall'esterno o esogene. E a questo punto siamo al di là della circostanza, pur molto importante, del vertice di Lisbona, e degli altri che seguiranno, a Monaco e a Helsinki. Siamo al problema di un Paese che deve darsi, insieme a una diversa struttura interna, una nuova e durevole strategia internazionale. Aldo Rizzo szo^J
Persone citate: Bush
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