Nella cittadella dei lebbrosi un «miracolo» targato Italia

Nella cittadella dei lebbrosi un «miracolo» targato Italia Nella cittadella dei lebbrosi un «miracolo» targato Italia RIO DE JANEIRO DAL NOSTRO INVIATO Questa è la storia di un piccolo miracolo. E' la storia di un villaggio che chiamavano «città della lebbra», perché popolato da gente piagata da quel flagello, e che adesso è come rinata dalle sue ceneri. Non solo. Colonia do Prata, frazione di Igarapé Accù (Para), adesso partecipa a un grande progetto ecologico, vincendo anche così la sua battaglia per la vita. E la Chiesa dell'Amazzonia si è fatta portavoce a Rio di questo programma per la salvaguardia e lo sviluppo di una delle aree della Terra più insidiate dalla mano dell'uomo. Il progetto si chiama «Mose». L'hanno illustrato per la prima volta al convegno sull'ambiente (Simdamazonia) di Belèm: prevede la costruzione nelle terre alla foce del Rio delle Amazzoni (varzea) di speciali vasche per l'allevamento combinato pesci-maiali, approfittando del fatto che nella zona è diffuso un pesce, simile alla carpa, ghiotto di un'alga che prospera con gli escrementi delle porcilaie. Grazie a questo progetto, da un ettaro di «varzea», terreno oggi inutilizzato, si possono trarre in un anno fino a 12 tonnellate di riso, 15 di pesce, altrettante (se non di più) di carne di maiale. In quello stesso ettaro, oggi destinato all'allevamento, si ricavavano sì e no 50 chili di carne. Elaborato dai Volontari Italo Brasiliani per l'Amazzonia (Vibra) e dall'«Alleanza dell'Amore» di Brescia, due associazioni cui aderiscono 8 mila soci, il progetto «Mose» ha già avuto, appunto, una parziale attuazione, essendo già stato applicato con successo a Colonia do Prata, questa città di mille abitanti unica al mondo, perché popolata quasi esclusivamente da lebbrosi o da ex lebbrosi. «Lebbroso» è un termine che incute terrore ancor oggi, e soprattutto nell'Amazzonia brasiliana. Ma in questa «città della lebbra», fondata agli inizi del secolo da un frate cappuccino di Varese, quel termine si è svuotato del suo orribile conte¬ %&td*'per "colorarsi d* ulna spe-r ranza più che fondata. Come tutti gli altri lebbrosari del Brasile, Colonia do Prata era, fino all'80, un ghetto dove pochi sani avrebbero osato avventurarsi. Gli «hànseniani», come vengono chiamati eufemisticamente i lebbrosi, vi vivevano in una specie di recintoospedale, segregato da ogni consorzio civile, ed erano fatti oggetto di una pratica così disumana da rasentare l'incredibile. Quando ad una coppia nasceva un figlio, veniva dichiarato immediatamente adottabile e strappato ai genitori naturali, malgrado fosse perfettamente sano. La lebbra non si trasmette per via ereditaria ma solo attraverso una lunga frequentazione col malato e in condizioni di grande sporcizia e denutrizione. Fino all'80, per stroncare «alla radice» il flagello, le autorità brasiliane non trovavano quindi di meglio che strappare i figli dalle braccia dei genitori. Ma in quell'anno, anche le porte di Colonia do Prata si spalancano e mentre alcuni bimbi «adottabili» fanno ritorno nelle braccia di genitori mei conosciuti, inizia la diaspora degli «ex» internati, attratti dalle strutture di appoggio previste dalla legge «sul territorio». Ma le strutture di accoglienza previste sulla carta risultarono insufficienti o addirittura inesistenti, così che a ricacciare i reduci nel ghetto, ci fu soprattutto un'opinione pubblica non preparata, non all'altezza del nuovo concetto di malattia. «Era follia sperare che in una decina d'anni venisse meno un terrore di secoli - osserva il dott. Paolo Mendonca, il medico che dall'81 ha in cura Colonia do Prata -. Di lebbra parla la Bibbia; ne parlano la radio, la tv ed i giornali, rafforzando preconcetti e superstizioni, perché, perfettamente curabile per sé, la lebbra non è un problema. Il problema sono loro, i lebbrosi, che una volta guariti, nessuno li vuole, nemmeno le famiglie». Colonia do Prata rinasce proprio dal «gran rifiuto», nel tentativo di inventare qualcosa che consentisse agli ex internati di sopravvivere: «Imboccammo la strada dell'autosufficien- za economica - spiega Gianni Mometti, il presidente del Vibra -. L'unica che potesse consentire una dignitosa sopravvivenza. Nacquero allora la prima officina meccanica, la fornace per mattoni, la falegnameria, la grande lavanderia, il panificio, le scuole professionali, ecc.. Un'autarchia quasi totale, per dare agli ex-ricoverati una casa ed un lavoro all'interno della comunità e per accogliere altri ex, che in una media di cinque al giorno bussano alle porte di Colonia do Prata da ogni parte del Brasile». Le vasche nella «verzea» rientrano in questo grande progetto di indipendenza economico-alimentare. Oggi i pesci, il riso, la carne di maiale prodotti dalle vasche superano già il fabbisogno della «città della lebbra». E' stato pertanto necessario fondare una cooperativa per la vendita di questi prodotti all'esterno. Naturalmente sotto altro nome. Altrimenti, sapendo che vengono dai lebbrosi, nessuno li comprerebbe. Massimo Boccaletti Un medico cura un malato di lebbra [FOTO SICILIANO

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