Quella voglia di forca fantasma del presente
Quella voglia di forca fantasma del presente r LA RICERCA ISPES Quella voglia di forca fantasma del presente LA ricerca dell'Ispes (Istituto di studi politici economici e sociali) sull'atteggiamento degli italiani nei confronti della criminalità fornisce risultati che amareggiano ma non sorprendono. L'immagine della società che emerge dal campione intervistato è quella di una collettività sottoposta a forte stress, che vive in condizioni di incertezza: in uno Stato, si può dire, di costante allarme. Ed è questo, a mio avviso, il dato più inquietante. Non si tratta, certo, di una particolarità nazionale: questo sembra essere lo Stato, febbricitante e ansioso, in cui vivono le società sviluppate e, in particolare, le aree metropolitane dell'intero pianeta. In presenza, oltretutto, di un processo di accelerata «metropolizzazione» di tutte le zone abitate dei Paesi industrializzati: dove le città piccole e medie tendono ad assumere i connotati, le contraddizioni e le sofferenze proprie dei grandi agglomerati"urbani. In que"* sti ultimi il problema della criminalità - o meglio, della msicurezza*^dfviduale -i? collettiva - è, in genere, indicato come la prima fonte di preoccupazione. E come la principale posta in gioco delle competizioni politiche. Ovvero è la questione della sicurezza e della lotta contro chi la minaccia, il tema politico più delicato: quello capace di spostare consensi da un attore politico a un altro (si veda quanto succede in questi mesi negli Stati Uniti). Ora, anche in un Paess come l'Italia - ad alto livello di partecipazione politica e di identificazione ideologica - la «questione criminale» sembra assumere quel ruolo cruciale nella sensibilità dei cittadini e nelle motivazioni delle loro opzioni di voto. Gli stessi risultati elettorali del 5 aprile rivelano in qualche misura tale tendenza, se è vero che nel discorso pubblico della Lega (il partito maggiormente beneficiato da quel voto) il richiamo alla criminalità - e alle colpe 1 della classe politica nell'aliI mentarla o nel non contra¬ starla - è ricorrente, addirittura ossessivo. Ulteriore conferma è rintracciabile nel fatto che la causa principale della criminalità organizzata è - ancora secondo il campione dell'Ispes - il «malcostume della classe politica»; e, certo, l'eco della inchiesta milanese sulle tangenti risuona nei processi di formazione di quell'orientamento. I ricercatori dell'Ispes hanno precisato, opportunamente, che la ricerca è precedente all'assassinio del giudice Giovanni Falcone: ma è un dato, questo, che aggiunge drammaticità, piuttosto che sottraine. Insomma, non c'è bisogno di una strage quale quella di Capaci perché la società italiana si percepisca come costantemente immersa nell'emergenza: in un normale stato d'eccezione. Da qui, essenzialmente da qui, la «voglia di forca» che quella società allarmata sembra manifestare (oltre il 50 per cento degli intervistati è favorevole a leggi speciali e alla pena di morte). Si consideri che i maggiori consensi si rintracciano all'interno di due categorie: i commercianti e i pensionati. Per ragioni diverse, si tratta precisamente dei gruppi sociali che sono (o si percepiscono) come i più*"* esposti alla minaccia della criminalità: quella dello scippo; della rapina in casa o ■'•* nel negozio, dell'estorsione. E sono ancora essi i gruppi che più reclamano sicurezza e che fanno della sicurezza, si può dire, il proprio programma di vita; e - virtualmente o, in qualche caso, operativamente, il proprio programma politico. Un'ultima considerazione: il crescente «successo» della pena di morte anche in Italia dimostra - ancora una volta e con particolare crudezza - che non esistono valori acquisiti una volta per tutte; che il progresso non è qualcosa di lineare e di cumulativo: ovvero una crescita illimitata di beni e consapevolezza, di merci e maturità, di risorse e democrazia. Tutto ciò, al contrario, è fragile e reversibile. E la pena di morte non è un retaggio del passato o un ritardo della modernità: che ci piaccia o no, è un segnale del presente e del futuro delle nostre dolenti società. Luigi Manconi onj
Persone citate: Giovanni Falcone, Luigi Manconi
Luoghi citati: Capaci, Italia, Stati Uniti
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