Convertitevi, prima della forca

Convertitevi, prima della forca La storia di due ladri ebrei nella Roma papalina del 700: il regista Benvenuti ne ha tratto un forte film Convertitevi, prima della forca E finirono impiccati: «Restiamo giudei» /NI ROMA L'i fronteggiano due ve« rita assolute, quella cril | stiana e quella ebraica, .bdJ temibili come tutte le verità assolute. In mezzo sta il rabbino convertito e divenuto sacerdote cattolico, portatore di contraddizione, di dubbio, di ricerca: insomma, di quanto m'interessa e mi tocca», dice il regista Paolo Benvenuti. Il suo Confortorio, unico film italiano sinora scelto in concorso per il prossimo festival di Locarno, condensa almeno tre elementi singolari: una storia vera ignorata ed eloquente, un regista anticommerciale raro, un modo fuori del comune di fare cinema. La storia risale a oltre due secoli fa. Il mattino del 24 novembre 1736, a Roma, davanti al ponte Sant'Angelo, due giovani ebrei popolani, denunciati dai loro correligionari per furto con scasso in alcune botteghe del Ghetto e riconosciuti colpevoli dal Tribunale Pontificio, vennero impiccati. Salirono sulla forca uno dopo l'altro. Intorno s'affollavano e vociavano i romani: da centovent'anni non si vedeva in città un'esecuzione capitale di ebrei. Compiuta l'impiccagione, l'aiutante del boia s'aggrappò con tutto il suo peso alle gambe dei condannati, per assicurarsi che fossero ben morti. L'esecuzione aveva un'importanza speciale perché poneva in contraddizione il potere temporale della Chiesa, amministratore della giustizia terrena, e il suo potere spirituale: se la colpa di avere ucciso Cristo dannava tutti gli ebrei all'inferno, eseguendo la condanna a morte dei due ladri ebrei Abramo Cajvani e Angeluccio della Riccia la Chiesa non rischiava di trasformarsi in strumento di dannazione? Per sormontare un simile conflitto tra Potere e Coscienza, i due dovevano venir convinti a convertirsi e a «fare una morte cristiana». Così, nella notte tra venerdì 23 e sabato 24 novembre 1736, per indurli a rinnegare l'ebraismo si prodigarono sforzi, preghiere, minacce, lusinghe, spaventi e alcune autorità ecclesiastiche maggiori: il domenicano «predicatore degli ebrei», il Padre Superiore dei cappuccini, il Rettore del Collegio dei gesuiti, l'arcivescovo monsignor Gamberucci, un ex rabbino convertito. Ma i due resistettero a ogni pressione: «Siamo nati giudei e moriamo giudei». La vicenda è raccontata nella cronaca d'epoca d'un religioso anonimo, ritrovata e studiata da Simona Foà, edita nella pub¬ blicazione La giustizia degl'ebrei (Caracci, 1987). Il regista lesse quella antica cronaca con emozione: «Ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte a un dramma epico con i caratteri della tragedia greca, l'unità di luogo e di tempo, il coro, destini senza salvezza. Mi ha colpito innanzi tutto la struttura narrativa. Poi, lavorandoci per quattro anni, ho pure colto tante analogie col presente». Paolo Benvenuti, pisano, quarantasei anni, diplomato al Magistero d'Arte di Firenze, grafico e pittore, fondatore nel 1968 a Pisa con Faliero Rosati del gruppo di sperimentazione «Cinemazero», autore di documentari e di regie teatrali, interessato alle rappresentazioni sacre e agli spettacoli popolari di piazza, ha diretto nel 19861988 il suo primo lungometraggio presentato alla Settimana della critica della Mostra di Venezia, Il bacio di Giuda: una rilettura del Vangelo in chiave gnostica che vedeva il tradimento di Giuda come atto indispensabile alla salvezza dell'umanità e vedeva Giuda come vittima sacrificata e strumento della redenzione. Di quel film suscitavano ammirazione soprattutto lo stile, la bellezza e profondità d'un risultato ottenuto con mezzi poverissimi: «L'Italnoleggio lo fece uscire nei cinema il 15 agosto 1989. Durò due giorni. Con molti sforzi riuscii a presentarlo in diverse città, al cinema l'a¬ vranno visto cinquemila persone. La terza rete televisiva della Rai lo trasmise la sera della Pasqua 1990, a mezzanotte e mezzo: eppure ebbe un milione e quattrocentomila spettatori, un record». Il regista dice d'avere massima considerazione per il pubblico: «Grandissimo rispetto e stima: penso infatti che sia intelligente, e faccio cinema per la sua intelligenza». In Confortorio il tentativo di conversione dei due ladri ebrei dora tutta una notte. I condannati stanno in stanze separate, con le gambe impastoiate e serrate dalle catene. Presso di loro si avvicendano i predicatori («Abbracciate la vera fede, sperate nel miracolo della grazia»), i frati che si umiliano a baciar loro i piedi e supplicano e si fustigano e pregano in coro, le invocazioni («Cessa di persistere nelle tue tenebre»), le insofferenze («E' Satana che parla per bocca di quel giudeo»), le violenze psicologiche e morali. Dice Benvenuti: «I "confortatori" non sono crudeli, sono persone sincere, ferventi, in buona fede. Volevo anche evitare che lo spettatore pensasse: eh, certo, a quei tempi... No. La violenza è determinata dalle strutture di potere, e quel potere è sempre qui, ancora ci governa». Nel procedere della notte, i due ladri ebrei si protestano innocenti, piangono, si disperano, fanno testamento, inveiscono. Ma non cedono, e non cederanno: «Due disgraziati sottoproletari analfabeti acquistano, dalle pressioni a cui vengono sottoposti, una consapevolezza di sé, una crescita interiore, l'orgoglio d'una identità etnica e culturale dimenticata, una forza che smorza persino il terrore della morte. So che l'affetto degli spettatori è sempre riservato alle vittime, ma i "confortatori", che seguivano nella loro opera metodi oscillanti tra la psicoanalisi e la recitazione, non sono i cattivi della vicenda». L'esecuzione al ponte Sant'Angelo è uno dei momenti in cui meglio si manifesta lo stile del film, costato appena quattrocento milioni: scansioni da rituale o da cerimonia, semplicità alla maniera di Dreyer, tensione morale, emozione, impressionante recitazione dei non-attori o degli attori teatrali, specialmente di Emanuele Canicci Viterbi che è il condannato Abramo. La cronaca settecentesca è stata integrata in Confortorio dai dialoghi, e una frase a suo tempo rivolta alla moglie di Roberto Calvi da monsignor Marcinkus non è sicuramente il solo elemento contemporaneo del film, dice il regista: «Capita anche oggi che il potere esiga pentimenti, conversioni, abiure, in cambio del perdono e della reintegrazione sociale. Capita molto raramente che qualcuno resista a simili richieste, che dica no, non mi pento, non mi rinnego, non voglio essere perdonato: se potessi, dedicherei questo film a Renato Curdo». Ma il rispetto di Paolo Benvenuti per i suoi personaggi non lo rende astratto né ingenuo: «Se, convertendosi, i due ladri Abramo e Angeluccio avessero potuto salvarsi la vita, si sarebbero certo convertiti». Lietta Tornabuoni Resistettero tutta la notte alle pressioni del clero romano Il boia s'aggrappò alle gambe dei condannati per essere sicuro che fossero davvero morti Un'immagine della Roma settecentesca in un'antica incisione. La vicenda dei due popolani ebrei impiccati il 24 novembre 1736 è narrata nella cronaca d'epoca d'un religioso anonimo

Luoghi citati: Firenze, Locarno, Pisa, Roma, Venezia