ROTHSCHILD La stirpe del danaro

ROTHSCHILD La stirpe del danaro Pace tra i due rami della famiglia: David il francese al posto di Evelyn l'inglese ROTHSCHILD La stirpe del danaro Etti un evento, dicono in " Francia. I due rami deUa famiglia Rothschild a Londra e a Parigi, da qua si due secoli «solidali ma separati», si avvicinano per formare un gruppo continentale capace di sfidare i più grandi nomi europei, americani e giapponesi. Colpo di scena in una saga del denaro agitata da imprese e fasti, vino e filantropia. E come? Le Monde fornisce i particolari. David Rothschild, che ha guidato la clamorosa ripresa degli affari in Francia dopo la nazionalizzazione della «cara vecchia banca» di Rue Laffitte, è designato a prendere il posto di Sir Evelyn de Rothschild, presidente di una delle ultime grandi banche di famiglia nella City. Commenta David: «Mai un francese è stato scelto per un ruolo presso i Rothschild di Londra. La mia nomina a vice presidente della N. M. Rothschild & Sons è un segno dei tempi per la nuova Europa». Ribatte impassibile Sir Evelyn: «Il lavoro in famiglia è sempre stato il nostro marchio di fabbrica». Il che richiama scenari lontani: i Rothschild, o meglio i loro affari, erano già europei agli albori del secolo scorso. Non ahi-, tarono Wellington contro Napoleone? Semplicissimo. Nathan Rothschild da Londra inviava la valuta in oro ai fratelli Salomon e James che, attraverso banchieri parigini compiacenti, la trasformavano in tratte sui banchieri spagnoli: e il denaro arrivava alle truppe inglesi di stanza in Portogallo. Dicevano in famiglia: «Noi siamo simili al meccanismo di un orologio: ogni elemento è indispensabile». Venivano dal ghetto di Francoforte (il nome deriva da Rot Schild, l'insegna rossa sulla porta) e il padre, Mayer Amschel Rothschild, qualche passo lo aveva già fatto. Dal commercio di tessuti e vino era salito a traffici di valuta, aveva rapporti di affari con Guglielmo di Hanau. Un capostipite. Eppure in casa regnavano modestia e parsimonia, le camicie venivano rammendate fino all'usura totale. C'è la lettera di una nuora che dissuade il marito dal portarle un cappello nuovo perché ne ha già uno. La prosperità non turbava le vecchie abitudini, la pratica ebraica era rispettata. La fortuna esplode quando i figli percorrono l'Europa, agitata dalle guerre napoleoniche, alla ricerca di merci e affari. La famiglia si rivela un baluardo di fiducia e riservatezza che inalbererà il motto: «Concordia, integritas, industria». Nathan va a Londra, James approda a Parigi, Salomon a Vienna, Cari a Napoli. E Amschel resta a Francoforte a continuare l'opera paterna. Si aiuteranno sempre, mescolando proventi e informazioni. La loro forza sta anche in corrieri veloci e sicuri, in una rete di corrispondenti fidati. Il che ispira forse la leggenda che Nathan, avvertito prima degli altri della sconfitta di Napoleone a Waterloo grazie a un piccione viaggiatore, aveva sparso la notizia di una vittoria francese e comprato a basso prezzo le azioni crollate alla Borsa di Londra. Una trisnipote, Anka Muhl- Stein, autrice di una biografia di James, ha frugato negli archivi segreti di famiglia e smentisce: «Il ministro inglese fu avvertito per tempo, evitando speculazioni personali». I fratelli Rothschild nella guerra della coalizione guadagnano somme ingenti, ma per l'abilità nei cambi e l'incarico di trasferire sussidi dalla Gran Bretagna agli alleati europei. Sono operazioni che spianano la strada a James, il fondatore della dinastia di banchieri nella Francia della Restaurazione. La faccia piatta, gli occhi da batrace, la bocca a salvadanaio: così lo descrivono i fratelli Goncourt nel loro Journal. Questo «satrapo dell'oro» («Nulla lo divertiva quanto guadagnare quattrini») ispira anche personaggi romanzeschi come il padre di Lucien Leuwen di Stendhal e il Nucingen di Balzac. Ma il poeta Heine riconosce che in lui «si sprigiona qualcosa di così assoluto da lasciar credere che nelle sue tasche celi tutto il denaro del mondo». Nel 1814 James (che all'origine si chiamava biblicamente Jacob) apre la sua banca in Rue Laffitte e sedici anni dopo, ormai plurimilionario, riceve la Legion d'Onore. E' un'ascesa costruita con prestiti (ne farà uno anche al Piemonte di Cavour che deve un indennizzo all'Austria) e investimenti. Furbo, orgoglioso, cosmopolita riesce a farsi accogliere a corte e resiste sulla cresta dell'onda durante quattro regimi diversi, diventa quasi un simbolo della stabilità finanziaria. Se lo vedono inquieto o raffreddato temono un crollo in Borsa. E' un personaggio pubblico. Dicono dì lui: «Conosce a menadito i conti di tutti quanti: li sa a memoria, i conti degli agenti di cambio e i conti dei re, e glieli dice in faccia senza dover consultare i suoi registri». Ironizza Heine: «Il barone lavora dalla mattina alla sera, non ha altro da fare». Ma quanto possedeva? Anka Muhlstein ha fatto i conti: il suo patrimonio era valutato a 120.000 franchi alla fine dell'impero, a 20 milioni prima del 1830, a 40 milioni sotto Luigi Filippo e a 150 milioni al momento della sua scomparsa, nel 1868. Un punto di riferimento? Intorno al 1840 l'80 per cento dei francesi poteva contare su 500 franchi annui. Balzac giudicava buona una dote di 200.000 franchi a favore di Hortense Hulot, figlia di un barone dell'impero. Per non disperdere gli averi (e mantenere i segreti del clan dove le conversazioni erano quasi un affare di Stato), James sposa una nipote, Betty, di 13 anni più giovane, la figlia del fratello Salomon. E sarà un'abitudine, poiché quattro suoi figli sposano altrettante Rothschild. La casa di Rue Laffitte si apre allo sfarzo in gara con l'aristocrazia tradizionale. In famiglia smaniano per decorazioni e distintivi di nobiltà: diventano baroni per un prestito di favore all'Austria mentre sul ramo inglese fioriranno i Lord grazie alle benemerenze per la Corona nella vicenda del Canale di Suez (un aiuto di 4 milioni di sterline). A Londra c'è una colonna di pietra, davanti alla Borsa, alla quale si appoggiava Nathan, corpulento, le mani in tasca. «Aveva imparato a disprezzare l'umanità - scrive lo storico Egon Corti - osservando l'effetto dell'oro che scorreva dalle proprie mani». Disprezzo o riservatezza? La saga degli affari lì è avvolta da diplomatici silenzi. In Francia un nuovo splendore viene dalla residenza di campagna, un castello a Ferrières, mezz'ora da Parigi, ricco di opere d'arte, con una tenuta sterminata piena di cinghiali, cervi e fagiani. Ci va Napoleone HI a piantare un cedro e Guglielmo I di Prussia, guardandosi intorno, sospira: «Un re non se lo sarebbe potuto permettere». Più acido Bismarck commenta la costruzione con le quattro torri agli angoli: «Sembra un cassettone rovesciato». E' la ricchezza che si dà un'immagine di eleganza e si intreccia con la storia. Non si nasconde, ma si accompagna a ogni forma di successo quasi a convalidare se stessa. «Richesse oblige» sentenzia Guy de Rothschild, pronipote di James, che ha scritto qualche anno fa un libro-autoritratto: Buon viso alla fortuna (tradotto in Italia da De Agostini). Guy evoca la sua infanzia ovattata e troppo protetta, gli Anni Trenta quando parcheggiava davanti alla banca di Rue Laffitte una Chrysler a due posti: «Questo oggetto di lusso che dava la stessa gioia di un purosangue, oggi si è ridotto a un oggetto banale, a volte utile, sempre ingombrante». Peccato: è diventato un oggetto di massa. Mentre i Rothschild sono uguali agli altri, ma un po' diversi. Il loro stile ama le feste, i rapporti di qualità (Pompidou dirigeva la banca), le persone di successo (a Ferrières andavano Dall' e Cecil Beaton), l'allevamento di purosangue («Per quanto lontano possa risalire con i ricordi odo il galoppo di un cavallo»), i grandi vini (già il vecchio James aveva un debole per il Chàteau Lafite) che si rivelano grandi investimenti. E poi i quadri (al castello c'era un ritratto di Betty dipinto da Ingres) e la beneficenza. Quando nel 1981 la banca viene nazionalizzata, il barone Guy, allora presidente, si sente ferito nel patrimonio, ma anche nell'orgoglio di famiglia, come se ne avessero spezzato la storia. Scrive su Le Monde: «Della maison Rothschild non resterà che qualche briciola, forse nulla. Ebreo sotto Pétain, paria sotto Mitterrand, per me questo basta. Ricostruire sulle macerie due volte in una vita è troppo. Pensionato per forza, mi dichiaro in sciopero». La vernice è un po' snob, il dolore sincero. Ma c'è un guizzo, un senso di lotta, una sfida (pur tra le liti) che percorre questa famiglia. L'ha raccolta David, figlio di Guy, protagonista del ritorno sulla scena finanziaria francese. Ora chiamato alla ribalta dai «cugini di Londra». Ernesto Gagliano Corsero in aiuto di Wellington contro Napoleone Rot Schild: insegna rossa sulla porta Venivano dal ghetto di Francoforte. Dal commercio di vino e tessuti ai traffici di valuta A sinistra: il barone James con Yvette Choquet In alto ed a lato: due immagini del barone Guy con sua moglie i e con Liza Minnelli ili «afe I quattro fondatori della dinastia Rothschild in vecchie immagini dell'800 Sotto: Edmond in compagnia di una pimpante Sofia Loren Più in basso ancora: Nicholas «Mai nessun disaccordo»