Vademecum del pizzo quotidiano di Alberto Papuzzi

Vademecum del pizzo quotidiano UN SAGGIO DI CAZZOLA Vademecum del pizzo quotidiano Tutte le corruzioni di cui potremmo essere vittime PIZZO. Cioè bustarella. O tangente. O mazzetta. Tutti i sistemi escogitati per corrompere, compresi quelli che prendono la forma di doni, favori, regalie, prebende. Voce meridionale che si trovava già in Corrado Alvaro, il pizzo ci accompagna per tutta la vita, giorno per giorno, dall'anagrafe, quando paghiamo una tangentina da diecimila lire per saltare la fila e avere subito un certificato che ci consenta di esistere burocraticamente, al cimitero, quando consegniamo la solita bustarella - noi direttamente o, più facilmente, per interposta persona - onde garantirci un posto dove riposare in pace. Il pizzo è come la nostra ombra, è diventato così familiare che non ci facciamo più caso, come quando sganciamo mille lire al posteggiatore abusivo perché non ci righi l'auto. L'Italia del pizzo si intitola un libro scritto dal sociologo Franco Cazzola, torinese che insegna Scienza della politica all'Università di Catania; sta per uscire da Einaudi. E' un repertorio fenomenologico della nostra tangente quotidiana. Una raccolta di casi che possono capitare a ciascuno di noi. Lo scandalo di Milano, come spiega l'autore nella prefazione, è impressionante nel senso che, se la corruzione avviene nel centro propulsore e nella capitale economica dell'intero Paese, «allora si deve pensare che tutto il sistema è degenerato». Ma il libro dimostra che la degenerazione è endemica, non è un fenomeno esterno, non è chiusa nel Palazzo: è «il risultato finale di un modo, sempre più generalizzato, di concepire (e di vivere) il pubblico e il privato, sé e gli altri, il diritto e la contrattazione». Ecco tre file di gente in coda nello stanzone di un'anagrafe: «la prima fila serve ad avere il numero progressivo per avanzare la richiesta specifica all'impiegato; la seconda fila serve per presentare la richiesta stessa; la terza fila è composta da coloro che devono ritirare il documento richiesto». Ma si assiste anche a un viavai di persone che hanno libero accesso agli uffici: sono i mediatori, che per cifre modiche (dieci o venti mila lire) procurano i certificati in un batter d'occhio. Secondo Cazzola, un «sostituto-impiegato» arriva a incassare, senza rischi, tra le 400 e le 500 mila lire ogni giorno. Nello stesso modo la corruzione prospera su patenti automobilistiche, carte di circolazione, revisioni di automezzi, multe stradali; il giro di patenti false, scoperto in Lombardia nell'87-88, «ammontava alla bella cifra di 250 miliardi (da dividere tra un centinaio di persone)». La polizia stradale della Valle di Susa riceveva, per le feste, pacchi dono, con panettoni e bottiglie «e, dentro, la bustarella con bigliettoni da centomila e buoni benzina». C'è il mercato delle licenze edilizie e delle case pubbliche, dove procedure di norma lentissime possono diventare improvvisa¬ mente velocissime; in questo ambito, pare che la mazzetta sia invecchiata, si usa la compartecipazione: «Ti dò la licenza a costruire il doppio, se me ne dai una parte». Una casistica immensa è quella del mercato delle preferenze elettorali. Cazzola racconta che anche a lui, distribuendo materiale di propaganda elettorale, è capitato di sentirsi apostrofare così: «Qui c'è solo carta, ma i soldi in cambio del mio voto dove sono?». Le tariffe per una preferenza variano da 50 a 500 mila lire, a seconda dei luoghi, delle elezioni, dei partiti, dei candidati e soprattutto «della ricchezza o penuria di venditori di voti». Con sviluppi sofisticati: come un salotto, in area veneta dove «è anche possibile incontrare deliziose e giovani donne estremamente disponibili. Non costano, sono simpatiche, non si ha neanche l'impressione di comprare il sesso. La padrona di casa, in cambio chiede solo di ga¬ rantire un certo numero di voti di preferenza». Il capitolo più lungo è dedicato al pizzo per lavorare. Si parte dai trucchi nei concorsi pubblici per avere un posto o per fare carriera: ricorderete, ad esempio, i due avverbi «regolarmente» e «prevalentemente» inseriti come parole chiave nei loro elaborati dai candidati che dovevano essere promossi in un concorso magistrale. In cambio che cosa si deve dare? «Un po' di tutto. Fedeltà, consenso elettorale, o denaro; anche una annualità intera del futuro stipendio, oppure semplicemente cinque o dieci milioni». Nessuna categoria professionale, nessuna carica istituzionale, sfuggono alla fenomenologia del pizzo: impiegati pubblici, uomini politici, imprenditori, poliziotti, collaudatori di opere pubbliche, direttori degli uffici imposte (uno nell'88 fuggì con 11 miliardi di lire), infermieri e medici (ai quali si paga il pizzo per sopravvivere), anche i giudici. Perché una sentenza «può essere applicata immediatamente oppure ritardata, a seconda del lavoro ammassatosi in procura»; o perché il giudice può decidere discrezionalmente se concederti la libertà provvisoria: «la bilancia pende nettamente a tuo favore se paghi 15 milioni (in provincia di Genova nel 1986) o 10 (in provincia di Napoli nel 1977)». «E' un libro che ci chiama in causa tutti, anche come singoli», scrive Cazzola nella prefazione. E' vero. Però con le dovute riserve; perché una cosa appare chiara in questo museino del malcostume quotidiano: che disfunzioni, ritardi, confusione, pressappochismo della vita pubblica, degli uffici, della normativa sono funzionali a tenere in piedi il sistema del pizzo. E la gran parte dei cittadini disfunzioni e confusioni è costretta a subirle, mica ne è responsabile. Alberto Papuzzi In coda per un certificato (a meno di pagare il «pizzo»)

Persone citate: Cazzola, Corrado Alvaro, Einaudi, Franco Cazzola

Luoghi citati: Genova, Italia, Lombardia, Milano, Napoli, Pizzo, Susa