I misteri del disertore

I misteri del disertore Il Tribunale sollecita nuove indagini sul giovane di leva scomparso I misteri del disertore E ilprocesso deve fermarsi Ci sono ancora troppi misteri nella scomparsa del disertore Pietro Camedda e i giudici del tribunale militare (presidente Alfio Coco) hanno rinviato il processo al 1° ottobre per nuovi accertamenti. Ieri, al processo, il pm Paolo Scafi aveva chiesto la condanna a sei mesi di reclusione per l'autista del Battaglione Centauro di Novara, scomparso il 31 luglio dell'84. Ma le testimonianze raccolte tra i commilitoni e i superiori della caserma Passalacqua di Novara e il filmato della trasmissione «Chi l'ha visto?», che si era interessata al caso e che è stato visionato in aula, hanno convinto i giudici a proseguire le indagini. Chi era Pietro Camedda? Un tipo tranquillo, che affronta il servizio militare senza drammi, o un giovane inquieto, insoddisfatto, con una doppia personalità? E' stato ucciso perché aveva assistito a qualcosa di losco, oppure è sparito perché voleva crearsi una vita diversa? Viveva a Gattinara con i genitori, lavorava in un salumifìcio con il fratello Efisio. Dopo aver fatto il Car a Diano Marina era stato assegnato alla caserma Passalacqua a Novara e il 31 luglio era comandato di servizio alla caserma Perrone, che dista poche centinaia di metri. Era presente all'appello delle 8,30, non più a quello della sera. Paolo Torelli, comandante del suo plotone, ha riferito: «Gli accertamenti sulla scomparsa furono fatti dopo, perché capita abbastanza spesso che un militare manchi all'appello. Se l'assenza si protrare per una settimana scatta l'accusa di diserzione». Il mistero di Camedda è legato a questa circostanza: quel- giorno nessuno prese nota dei suoi movimenti. Ha riferito Carlo Sinisi, caporale di giornata: «All'adunata delle 13,30 ricordo che Camedda non era presente. Qualcuno del plotone disse che era andato a fare un servizio a Bellinzago in un'altra caserma». Tre giorni dopo, il comandante fece aprire l'armadietto del militare: dentro c'erano gli abiti civili, patente, carta d'identità, una tuta mimetica, soldi e il libretto degli assegni. E' una delle contraddizioni di questa vicenda: se il giovane voleva fuggire perché lasciare i documenti e i soldi? Un altro testimone, il comandante della caserma, colonnello Fausto Trioschi, ha dato ai giudici una spiegazione: «Se non fosse rientrato dalla libera uscita, la sua assenza sarebbe stata rilevata all'appello del mattino dopo. Invece così ci volle molto più tempo per scoprirlo». La videocassetta della puntata di «Chi l'ha visto?» ha aperto nuove ma non del tutto convincenti piste di indagine. Durante la trasmissione, un commilitone di Camedda, Antonio Celibato, aveva telefonato segnalando che gli era sembrato di vedere il compagno alla stazione di Milano tre giorni dopo il 3 agosto dell'84. La testimonianza di Celibato ieri in aula si è rivelata molto fragile: «Il 3 agosto stavo rientrando dalle ferie. Alla stazione vidi una persona di spalle che assomigliava a Camedda. Ricollegai il fatto quando tornai in caserma e mi dissero che era scomparso». In un'altra telefonata a «Chi l'ha visto?», una madre asseriva che il figlio le aveva confidato che Camedda era stato ucciso. Ma l'inchiesta ha accertato che il commilitone era disturbato psichicamente. Uno spiraglio per nuove indagini è stato offerto da una telefonata anonima, fatta al 112 il 25 novembre dell'84. Lo sconosciuto avvalorava la tesi dell'omicidio e dava appuntamento ai carabineri nello spaccio della caserma dove si sarebbe fatto riconoscere. Lo sconosciuto non venne all'appuntamento ma gli inquirenti hanno rintracciato l'utenza telefonica: manca soltanto l'ultima cifra. Il pm cercherà di scoprirla. Claudio Cerasuolo Pietro Camedda è svanito nel nulla

Luoghi citati: Diano Marina, Gattinara, Milano, Novara