Quelle talpe in redazione

Quelle talpe in redazione 120 anni di «Prima Comunicazione», la rivista che fruga nei segreti dei giornali Quelle talpe in redazione Mappa ragionata del «chi è» e del «dove va» s MILANO ARA' un librone di 486 pagine: Prima Comunicazione va in edicola martedì con un supple¬ mento di tanta mole per festeg giare i suoi primi vent'anni. ventanni di storia editoriale in Italia: sfilano copertine, nomi, interviste, curiosità, nefandezze. A scorrere il supplementoantologia sembra quasi, a un primo sguardo, che non sia cambiato nulla: Carlo Ripa di Meana nel '73 disserta sul Manifesto della crisi della stampa, Lio Rubini strilla l'anno dopo che la pubblicità televisiva strangola i giornali. Invece sono cambiate molte, moltissime cose. Nel costume giornalistico, per esempio: la rava Carla Mosca si vede rifiutare nel '74 un servizio nel telegiornale delle 20 perché suona strano che una donna si occupi di argomenti seri. Ma naturalmente in primo piano è il tracollo di due grandi famiglie, la Rizzoli e la Mondadori, e l'emersione clamorosa di Berlusconi, che nel '75 affitta un appartamentino alla tv-cavo Telemilano: la vedono gli allora 2080 abitanti di Milano 2, i caseggiati del quartiere Lambro, i degenti dell'ospedale San Raffaele. Silvio Berlusconi cominciò così. «A me impressiona, ieri come oggi, la figura del giornalista», dice l'inventore di Prima Comunicazione, il suo padre padrone Umberto Brunetti. Brunetti racconta che quando venne a Milano nel '59 «c'era da buttarsi per terra dallo sconforto»: suvvia, quei giornalisti sacerdoti, quella corporazione sorda, quella «confraternita di fattucchieri». Mai un guizzo, un gesto di autonomia. Mai la minima consapevolezza di quel che érano'pèr davVeróV fe'atiessc^'I'povejrthi della carta^stam-: pata «continuano ad aggirarsi nei corridoi di un palazzo che non gli appartiene più». Non capiscono che hanno smesso di contare. I giochi veri si fanno in tv: «E' lì che i giornalisti oggi fanno spettacolo, si azzuffano, sbraitano, urlano, imprecano. E' il tempo dei Ferrara, dei Minoli, dei Santoro, dei Liguori. Sono i chicchirichì dell'informazione, incapaci di fare un sol uovo». Quando gli venne l'idea di uscire con Prima Comunicazione, il primo giornale che parlasse dei giornali, Brunetti voleva volare alto: sognava di spiegare come nascono le informazioni, le idee, i valori. Aspirava a «demistificare», come si diceva allora. Giù la maschera ai padroni. Che cosa fa un cattivo quando vuole apparire buono? Era la domanda sotto quattro disegni di Tullio Pericoli, in cui un diavolo con tanto di coda e di forcone diventa un monsignore con pastorale. «Si camuffa - era la risposta -. Una volta si camuffava con gli abiti. Oggi, con le parole». Erano gli anni del dopo68, circolavano le idee di Guy Debord sulla società dello spettacolo, gli intellettuali si nutrivano di Marcuse e McLuhan, Eco teorizzava la «guerriglia semiologica», cioè l'azione interpretativa che svela la realtà e gli interessi nascosti dietro i segni. Se queste erano le idee che condivideva con un gruppo di amici, Brunetti cominciò subito a calarsi nelle tipografie e a intrufolarsi tra le scrivanie delle redazioni e degli amministratori. Organizzò una rete di talpe. La domanda allora è: erano talpe disinteressate? Quanti infortuni hanno rifilato? Quali sono insomma le «bufale» più memorabili, le notizie non vere pubblicate da Prima Comunicazione? «Non me ne ricordo - risponde soave Brunetti -. Sarò antipatico ma è così. Le imprecisioni invece capitano sempre, come a tutti». Spiega che il suo è un mensile: dare una notizia come appare in un primo momento, e poi la notizia è un fatto in divenire, vuol dire rischiare che dopo un po' cambi tutto. Si può restare spiazzati. Per esempio mise in copertina il signore della Montedison, Mario Schimberni, che dichiarava: «Del Messaggero faremo un Washington Post». «Se poi hanno fatto un'altra cosa, che colpa ne ho io?», dice Brunetti. Ancora: «Se annuncio che Repubblica fa il numero del lunedì diretto da Mario Sconcerti perché Scalfari l'ha detto alla redazione e perché Sconcerti me lo conferma, e poi invece Sconcerti se ne va a dirigere Il Secolo XIX e salta il numero del lunedì, c'entro qualcosa?». Di pettegolezzi però Prima Comunicazione abbonda. E' un'accusa ricorrente. Brunetti si difende: «Si chiamano pettegolezzi le notizie che riguardano le persone. S'è visto com'era fondata, quest'accusa: adesso i cosiddetti pettegolezzi sull'informazione li fanno tutti i giornali. Abbiamo avuto contro editori e giornalisti, questa è la verità: non tolleravano che si profanassero i loro tabernacoli». Dice che con gli editori la partita è stata complessa e a volte drammatica: «Mi facevano saltare la pubblicità appena scrivevo qualcosa di sgradevole. Neil'84 Mario Formenton, presidente della Mondadori, voleva da me due miliardi di danni perché dicevo che la sua Retequattro rischiava di mandare a picco tutto il gruppo, come poi avvenne. Gli Uccelli di rovo di Berlusconi avevano stracciato i suoi Venti di guerra. Un'altra volta Giorgio Rossi della Rizzoli tentò di mettermi in tasca dieci milioni come riparazione per la pubblicità toltami da Angelo Rizzoli. Troppo gentile, grazie, dissi. Non accetto». Al di là di questi fatti e fatterelli, Prima Comunicazione ha guardato all'informazione come a un'industria e come a un tutto unico. Lo dice Giorgio Bocca, da sempre collaboratore del giornale con pagine che poi hanno dato vita al volume II padrone in redazione: ((Prima Comunicazione ci ha fatto conoscere i retroscena e i bilanci. In un certo senso ha favorito la maturazione della categoria». E lo dice Antonio Pilati, direttore dell'Istituto di economia dei media messo in piedi da poco dalla Fondazione Rosselli: «E' il sistema dell'informazione nel suo complesso che oggi è in primo piano. Prima Comunicazione al centro del sistema mette ancora i giornali, mentre ormai c'è la tv. Ma ha lo stesso una visione d'insieme». E' contento Brunetti? E Brunetti, 61 anni, che a Bocca sembra un «fraticello minore umbro», che si è sposato al terzo numero di Prima Comunicazione con la sua redattrice Alessandra Ravetta di una ventina d'anni più giovane, suo attuale condirettore, che ricorda le due stanze, le due scrivanie, le due lampade di via Cappuccio vent'anni fa, quest'uomo scuote la testa nei 400 metri quadrati dell'attuale sede e dice: «No, non lo rifarei più. Troppa fatica». Ma è sincero? Forse è dannatamente contento. Claudio Alta rocca Le profezie gli scandali e le «bufale». Tra costume e malcostume Sopra, «Prima Comunicazione» annuncia a nascita del «Giornale» Nell'immagine a sinistra Claudio Rinaldi, direttore dell'«Espresso» Sopra, «Prima Comunicazione» annuncia a nascita del «Giornale» Nell'immagine a sinistra Claudio Rinaldi, direttore dell'«Espresso» Nelle foto sopra, da sinistra, Il conduttore di «Samarcanda» Michele Santoro, Enzo Blagi e Giorgio Bocca à■'».•'. eJna.jvs- , gpdi leggerla, è una rivista sbagliata: parla di alcuni e non di altri. Mai della vera vita di giornale. Francesco Damato. Pettegolezzi, non notizie. Cerco di leggerla il meno possibile per conservare alta la mia concezione della categoria. E Prima non contribuisce certo a farla crescere. Strumento di lotte interne. Myriam De Cesco. E' invecchiata, 20 anni pesano molto, troppe inesattezze. ui sopra, Giuliano Ferrara, il più duro nei confronti del mensile: «E' degradante per tutta la categoria» Nelle foto sopra, da sinistra, Il conduttore di «Samarcanda» Michele Santoro, Enzo Blagi e Giorgio Bocca ià■'».•'. eJna.jvs- ui sopra, Giuliano Ferrara, il più duro nei confronti del mensile: «E' degradante per tutta la categoria»

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