SUL MORO DI ATENE di Carlo Carena

SUL MORO DI ATENE SUL MORO DI ATENE Viaggi per mare e scoperte geografiche degli antichi Dalle donne gorilla in Etiopia alle foci deWIndo LA geografia degli antichi di Federica Cordano, pubblicato da Laterza (pp. 216, con ili., L. 33.000), è una rassegna a volo d'uccello di una scienza collegata strettamente, nell'antichità, alla storia. Questo fatto innegabile e giustificato da molti motivi, non ultimo il predominio universale della retorica, del discorso, è il perno metodologico del libro; che però lascia insoddisfatte altre curiosità, collegate almeno per noi con la scienza geografica: soprattutto i dati e le opinioni matematiche e astronomiche. Per cui, ai passaggi cruciali sotto questo profilo di Eratostene e di Ipparco, si accenna solo fugacemente alle loro divergenze sulla misura della circonferenza terrestre, e le discussioni sulla forma della terra stessa rimangono limitate a quelle sulla forma dell'ecumene, la terra abitata. Una geografia, insomma, quasi solo descrittiva, o una geografia quale sviluppo delle conoscenze geografiche attraverso le esperienze tramandate dai testi. Sotto questo profilo il volume della Cordano costituisce indubbiamente un utile manuale e proprio per i limiti imposti una eccitante scoperta o riscoperta di alcune indagini e imprese tra le più straordinarie dell'umanità. Si prenda ad esempio nel capitolo terzo i «peripli africani ed esplorazioni atlantiche»: non quelle tarde, ma le primissime, tempi misteriosi ma abbastanza ben documentati, in cui non era nemmeno nata ancora la potenza marinara di Atene eppure già si andava, più o meno tranquillamente, nel Senegal. Le primissime opere di geografia sono infatti dei periplói, resoconti pratici di navigazioni di piccolo cabotaggio, le uniche allora possibili, con indicazioni della morfologia delle coste, dei promontori, delle isole, delle foci dei fiumi e delle sorgenti, della qualità degli abitanti: al resto, al retroterra, per ora ci si interessava assai meno. Ebbene, un Eutimene di Marsiglia nel VI secolo avanti Cristo, anticipando il blocco dello stretto da parte dei Cartaginesi, si lancia al di là delle Colonne d'Ercole e scende verso Sud. Dall'unico passo superstite del suo Periplo si ricava che raggiungesse un grande fiume dell'Africa occidentale, appunto il Senegal. Pochi decenni dopo, parte da Cartagine una spedizione guidata da Annone e per noi documentata, questa volta, dalla relazione stesa da lui stesso. Annone aveva con sé sessanta navi e tremila coloni, fra uo- mini e donne. Navigò per un paio di mesi, finché ebbe viveri; probabilmente era arrivato alla Sierra Leone, e per via aveva incontrato «gli Etiopi inospitali, che possedevano una terra piena di bestie feroci», sui monti alle loro spalle i Trogloditi, e su un'isola «uomini selvaggi e, più numerose, le donne, pelose in tutto il corpo, che gli interpreti chiamavano gorilla». Dall'altra parte del continente africano i tentativi, riusciti, di compierne il periplo erano ancora più antichi. All'inizio dello stesso secolo VI il faraone Neco II, come ci comunica Erodoto, «riuscì a dimostrare per primo che la Libia è circondata tutt'intorno da acque, tranne per quanto confina con l'Arabia». La spedizione di Fenici inviata da Neco ebbe, come spiega la Cordano, la buona sorte o l'intuizione di muovere da Est anziché da Ovest e quindi di risalire le coste atlantiche godendo dell'ausilio delle correnti. Durò tre anni; due volte sostò lungo la costa, attendendo durante l'inverno non solo il tempo migliore ma anche il raccolto delle semine. Fu un'impresa straordinaria, addirittura sconvolgente: i marinai al ritorno raccontarono che ad un certo punto durante il viaggio «avevano il sole a destra» anziché a sinistra. Per trovare qualcosa di analogo a questi ardimenti e a queste bravure occorre attendere molto tempo. Al loro confronto impallidisce persino la celebre navigazione di Nearco ammiraglio di Alessandro Magno dalle foci dell'Indo a Bassora con cinquanta navi e cinquemila uomini di equipaggio: ma bisognerà pure tener conto per lui dell'ostilità dei monsoni e degli indigeni appostati sulle rive: senz'acqua, a scorte esaurite, i Greci di Nearco mangiarono soltanto pesce crudo per settimane. Risale invece verso le vette dell'impossibile la contemporanea sortita nell'Atlantico in direzione Nord di Pitea di Marsiglia. Grandi commer- danti, tramiti dell'importazione dello stagno e dell'ambra settentrionale, i Marsigliesi cercano una' Via più breve delle lunghe e impervie carovaniere del centro Europa. E lanciano Pitea fra le tempeste e le maree della Bretagna, lungo il Canale d'Irlanda, le Ebridi, la mitica Tuie (le Shetland), fin nel Baltico attraverso il Kattegat. Cosa abbia visto Pitea non sappiamo direttamente; lo storico Polibio lo giudicava un semplice mentitore. Eppure tutto quanto conosce¬ ranno e scriveranno geografi e poeti per molto tempo a venire sulle balene o i sargassi o le nebbie del Mare del Nord dipese da quel «poveraccio solo e sprovveduto», come dice ancora Polibio. Dopo di lui saliranno lassù gli eserciti di Giulio Cesare, mentre l'Arabia e l'Oriente si aprono alle monarchie ellenistiche, a Lucullo e à Crasso. La geografia si fa scienza con gli alessandrini, giunge all'astrali zione assoluta con Tolomeo, che elenca con le semplici coordinate astronomiche più di 8000 toponimi sparsi su tutta la terra conosciuta, e si dimentica di dirci dove e quando sia nato lui medesimo (comunque attivo ad Alessandria verso la metà del II secolo dopo Cristo). Con Tolomeo la scienza geografica si arresta per più di un millennio e non rinasce che con l'arrivo dei suoi manoscritti da Bisanzio a Firenze a metà del secolo XV. La bellezza della geografia antica non è solo il suo inserimento nella letteratura, per cui vi prevalgono descrizione e antropologia (esemplari i grandi trattati di Straberne e di Plinio il Vecchio). E', pure, che le sue restrizioni lasciavano all'esterno lo spazio necessario all'immaginazione e al sogno. Federica Cordano può cosi dedicare un capitolo del suo trattato ai paesi d'Utopia: all'Atlantide immaginata da Platone oltre lo stretto di Gibilterra, continente fortunato, ricco e perfettamente amministrato, sede di quella città ideale («uno Stato in possesso della Virtù»), che nemmeno un filosofo ateniese del IV secolo riusciva*a trovare nella terra conosciuta; o all'isola di Pancaia descritta da Evemero di Messina «di fronte all'Arabia Felice», ove si vive in una collettività idilliaca fra uccelli canori, palme fruttifere e vini di ogni specie come solo trovarono a Tonga gli ammutinati del Bounty. Noi non ne troveremo più da nessuna parte, nemmeno della fantasia. Anche la qualità spesso mediocre delle illustrazioni di questo testo non ne favorisce i voli. . Carlo Carena

Persone citate: Alessandro Magno, Arabia, Cordano, Federica Cordano, Greci, Platone