NESSUN EREDE di Lietta Tornabuoni

NESSUN EREDE NESSUN EREDE AINER Werner Fassbinder venne trovato morto dieci anni fa, il 10 giugno 1982, nel suo appartamento a Monaco: collasso cardiaco, provocato dalla somma e dall'eccesso di alcol, sonniferi e cocaina. Aveva trentasette anni, era il più grande, originale, importante e noto regista del nuovo cinema tedesco, il più rivoltoso e scandaloso, il più toccante narratore del neopatetismo e inventore d'un nuovo sguardo sulla disperazione umana, il più lavoratore: oltre quaranta film, oltre dieci testi teatrali, regie teatrali, radiodrammi, libri. Pochi mesi prima di morire, ricevendo al FilmFést di Berlino il primo premio assegnato al suo film splendente e triste La nostalgia di Veronika Voss, aveva sintetizzato una sua filosofia creativa, in parte ispirata ai melodrammi americani Anni Cinquanta e a Douglas Sirk: «L'amore come occasione sempre mancata. La bellezza come sovversione. La Storia come tetra caricatura. La vita come inseguimento di sensazioni perdute». Aveva vissuto davvero, con intensità, fecondità, avidità: una breve vita bellissima. Come Pier Paolo Pasolini, come quasi tutti gli artisti veramente grandi, non ha avuto eredi né imitatori, non ha fatto scuola: dieci anni dopo la Germania è un'altra, la sua visione del mondo resta unica. La realtà internazionale vi si adegua, va somigliando sempre più all'universo fassbinderiano di poveri, di immigrati, di uomini perduti, di killer, di omosessuali infelici, di umiliati, di donne dure come Hanna Schygulla nel Matrimonio di Maria Braun o Barbara Sukowa in Lola. Ma alle timorose convenzioni contemporanee risultano sempre meno consonanti (o addirittura incomprensibili) la sua forza sovversiva, il suo modo di esistere e di lavorare. Fassbinder lavorava moltissimo, con la fretta e l'energia di chi ha poco tempo, con la voracità curiosa e innovatrice di fare e tentare tutto, senza darsi troppa importanza nei calcoli gretti e presuntuosi del narcisismo. Lavorava in gruppo, in équipe, in banda, in collettivo, mai sedotto dalla maestria solitaria, sempre con amici-collaboratori mutevoli eppure fedeli, raccolti in una comunità sciatta, geniale, aggressiva e omogenea. Esponeva se stesso, i propri sentimenti e sentimentalismi, la propria omosessualità, senza paura né rispetti umani, usando il cinema anche per capire e curare i propri fallimenti privati o politici: Attenti alla santa puttana (la prostituta del titolo è il cinema) era la storia della crisi del suo primo gruppo di lavoro nell'intreccio avvelenato di gelosie amorose e conflitti professionali; in Un anno di 13 lune dominava il dolore struggente per il suicidio dell'amico e amante Armin Meier; poche immagini esprimono l'angoscia terrorista e l'isteria antiterrorista tedesca quanto quella di Fassbinder nudo, rissoso e smarrito, nel film collettivo Germania d'autunno. Non si vede nulla di simile, adesso. Restano il suo talento e la sua opera, sempre più riconosciuti, ammirati, rivisitati, celebrati: è già moltissimo, è quello che conta. Lietta Tornabuoni

Persone citate: Armin Meier, Barbara Sukowa, Douglas Sirk, Hanna Schygulla, Maria Braun, Pier Paolo Pasolini, Veronika Voss, Werner Fassbinder

Luoghi citati: Berlino, Germania, Monaco