Il cuore di una scimmia per un bambino di Maria Grazia Bruzzone

Il cuore di una scimmia per un bambino Dopo la richiesta di un cardiochirurgo che lamentava la carenza di organi da trapiantare Il cuore di una scimmia per un bambino La commissione nazionale per l'etica è d'accordo, si può fare ROMA. Un bimbo con il cuore di un babbuino. Per alcuni esperti un trapianto di questo genere non è eticamente riprovevole. Mentre il Consiglio superiore di Sanità discute come far fronte alla crisi italiana dei trapianti, sempre più grave dopo il moltiplicarsi dei rifiuti dall'estero ai «pellegrini d'organi» nostrani, tre esponenti del comitato nazionale per la bioetica si sono espressi a favore della proposta lanciata nei giorni scorsi dal professor Carlo Marcelletti, cardiochirurgo neonatale dell'ospedale pediatrico «Bambin Gesù». «Siamo pronti a trapiantare cuori di babbuino nei corpi dei nostri piccoli malati - aveva annunciato Marcelletti, chiedendo implicitamente il "via libera" a prossimi tentativi. - Gli organi disponibili sono spaventosamente pochi e io non posso continuare ad assistere alla morte di tanti bimbi in lista d'attesa per l'operazione, circa il cinquanta per cento degli ammalati». Secondo il cardiochirurgo infantile, dai tempi dell'esperimento di Baby Faye - la neonata che nel 1984 a Lorna Linda ricevette il cuore di un babbuino ma morì dopo 21 giorni per rigetto - sono stati fatti enormi progressi. «Tanto che il trapianto scimmiauomo dà ormai ampie garanzie per prolungare la vita di una persona fino al reperimento di un organo adeguato. E in futuro potrà diventare una soluzione definitiva». Una proposta, quella di Marcelletti, che non ha suscitato riserve di tipo etico ma perplessità sul piano tecnico. Monsignor Elio Sgreccia, che dirige il centro di Bioetica dell'Università del Sacro Cuore, si è detto d'accordo. «Il cuore è un organo esecutivo che non identifica la personalità dell'uomo come invece accade per il cervello o le ghiandole sessuali» ha spiegato, concludendo che, se scientificamente il trapianto è valido, sul piano etico non c'è niente di male. Possibilista è anche Carlo Romano, direttore dell'Istituto di Medicina Legale al secondo Policlinico di Napoli, che teme caso mai «il clima terroristico nei confronti dei medici», che eventuali fallimenti potrebbero alimentare. Più dubbioso, ma solo da un punto di vista tecnico, è il direttore dell'Istituto di Rianimazione della stessa Università Cattolica, Corrado Marmi. Pur ammettendo che «il problema dei trapianti d'organo non è risolvibile con la donazione umana e un'alternativa è necessaria», Manni guarda piuttosto agli organi artificiali. Per sbloccare l'impasse in cui si trova l'Italia, dove la carenza di organi da trapiantare sta raggiungendo un punto critico, il Css sta intanto discutendo come migliorare l'organizzazione. Danilo Morini, direttore degli ospedali, ha ipotizzato di accorpare i quattro centri oggi operativi, due al Nord e due al Centro-Sud, in un unico «centro di coordinamento». Ma non ha trovato consenso neppure all'interno del massimo organo esecutivo del ministero. Gerolamo Sirchia, l'immunologo di fama che dirige il Nord Italia Trasplant, ha esortato a «smetterla con le posizioni campanilistiche e i personalismi». «Quel che conta, - ha detto - è reperire gli organi. E per farlo occorre che si elevi il tasso di cultura e solidarietà della gente. Perché la crisi dei trapianti è prima di tutto crisi di sensibilità e di educazione». Sirchia ha invece criticato le tendenze espresse da alcuni negli Stati Uniti, sull'onda dell'esplicita richiesta di Daniel Faries, di trasformare le condanne all'ergastolo in pene capitali, proprio per poter disporre di organi. «E' un'americanata». - Maria Grazia Bruzzone

Luoghi citati: Italia, Napoli, Roma, Stati Uniti