Perché l'Occidente cancella Tienanmen di Aldo Rizzo

Perché l'Occidente cancella Tienanmen OSSERVATORIO Perché l'Occidente cancella Tienanmen I dice: la caduta del comunismo, il crollo del comunismo. Ed è vero. Ma ci sono ancora pezzi di comunismo in giro per la storia: come quando un satellite si disintegra o esplode, ma parti anche grosse di metallo continuano a orbitare. C'è Cuba, c'è il Vietnam, c'è la Corea del Nord. E c'è la Serbia, benché questo sia un caso più complesso, in cui l'eredità del comunismo s'intreccia col nazionalismo e con le faide etniche. Ma soprattutto c'è la Cina. Quattro giorni fa, erano tre anni dalla strage di Tienanmen: centinaia di morti, migliaia di feriti, l'orrore del mondo. L'anniversario è trascorso senza incidenti, solo una decina di giornalisti stranieri sono stati malmenati dalla polizia, per avere assistito alla solitaria protesta di un cinese sulla storica e tragica piazza. L'Università e tutti i luoghi «caldi» erano stati isolati. Contemporaneamente, a Londra, «Amnesty International» diffondeva un rapporto sulle violazioni dei diritti umani nella Bepubblica popolare: tre anni dopo l'eccidio, i prigionieri politici sarebbero «molte migliaia». A parte questo, non ci sono state dimostrazioni in favore dei dissidenti cinesi. Da tempo ormai il regime di Pechino ha ristabilito pieni rapporti con i Paesi occidentali, col resto dell'Asia, con tutti. Il primo ministro Li Peng è stato a Roma, l'inglese Major a Pechino e così via. Quanto agli americani, basti dire che Bush ha aspettato il 2 giugno, vigilia o antivigilia dell'anniversario di Tienanmen, per annunciare la proroga dello status di «nazione più favorita», circa le esportazioni cinesi negli Usa. . Coincidenza involontaria o scelta politica? Le ragioni del realismo, nei rapporti con Pechino, sono "'ben note H'tutti. Commentando la decisione di Bush, il suo portavoce, Fitzwater, ha detto: «Se vogliamo avere qualche influenza sulla Cina, è sbagliato isolarla». E infatti come isolare un Paese la cui popolazione è un quinto o un quarto di quella mondiale? E c'è un altro argomento: nonostante tutto, in Cina è in atto una grande riforma economica, in direzione del mercato; nessuno può prendersi la responsabilità di boicottarla, favorendo le correnti più conservatrici. Solo che, a quanto si è visto finora, conservatori o non conservatori, la riforma economica non porta con sé la libertà politica. Anzi. Gli Stati Uniti mostrano di apprezzare la moderazione diplomatica di Pechino: nessun veto, al massimo astensioni, al Consiglio di sicurezza dell'Onu. E accenni promettenti di collaborazione, contro la proliferazione missilistica e nucleare nel Terzo Mondo. Non c'è però alcun accenno o alcuna promessa per quanto riguarda la democrazia, che resta la più grande delle garanzie, anche per la politica estera. Il «Washington Post», che ha avuto il suo ufficio di corrispondenza invaso e rovistato dalla polizia politica, ricorda in un editoriale che, quando gli Stati Uniti hanno fatto la voce grossa su una questione di scambi commerciali, Pechino ha subito ceduto (e Bush ha risposto confermando la clausola della ((nazione più favorita»). Non si potrebbe tentare lo stesso approccio (lo stesso «metodo negoziale») per i diritti umani? Chissà. La Cina è un misto insondabile di pragmatismo e di orgoglio, o addirittura di superbia. Parlo della classe dirigente, dai mandarini dell'impero a quelli del comunismo, conservatori o riformisti. Uno «showdown» generale potreb*. be rivelarsi.controproducente. Ma, d'altra parte, bisogna: sa1 pere che quella dei compromessi è una strada a termine, come ci ha insegnato l'esplosione dell'Urss (per non parlare della Jugoslavia). La Cina può" essere diversa, in meglio ma anche in peggio. Al terzo anniversario di Tienanmen, la storia (la tragedia) del comunismo non è finita. Aldo Rizzo szoj

Persone citate: Bush, Fitzwater