Praga dalle urne esce un divorzio
Praga, dalle urne esce un divorzio Boemia e Moravia premiano il partito delle privatizzazioni, Dubcek eletto per un soffio Praga, dalle urne esce un divorzio La Slovacchia verso la secessione PRAGA DAL NOSTRO INVIATO Un Paese diviso in due. Boemia e Moravia, nell'ebbrezza della ritrovata libertà, risolute sulla via del liberalismo e delle privatizzazioni. La Slovacchia depressa e stordita dalla libertà, tentata dal separatismo social-nazionale davanti a riforme che spazzano tutto un sistema burocratico e dirigista. Dalle elezioni per i due Parlamenti repubblicani e per quello federale svoltesi con un'alta affluenza alle urne, circa il 70 per cento, esce una radicalizzazione delle differenze ideologiche e regionali: in torbidi rigurgiti esse si vestono a Bratislava di un nazionalismo conservatore di sinistra, contro una Boemia-Moravia decisa verso il rinnovamento e risolutamente progressista; a destra se si vogliono usare logore etichette. Ma ovunque resistono i comunisti, sotto altro nome in Slovacchia, con la vecchia etichetta altrove, avanzando rispetto alle elezioni del '90 che sancirono la fine del loro sistema. Il Paese non era popolato solo di eroici dissidenti, ma di nomenklaturisti e profittatori ora cultori di ignobili nostalgie. Il risultato elettorale potrebbe riportarli in gioco rendendoli arbitri di coalizioni. Superando di gran lunga le previsioni della vigilia, il partito civico democratico (Ods) del ministro delle Finanze Vaclav Klaus, maggior troncone del vecchio Forum civico, si afferma con una media federale intorno al 35 per cento, sfiorando il 40 per cento in Boemia e Moravia. Con esso superano lo sbarramento del 5 per cento altri gruppi dello stesso Forum civico, che dopo la frantumazione si ricompatta ed è in grado di governare con una coalizione Boemia e Moravia: qui i comunisti, presentatisi coi vecchi simboli e nome, raggiungono un 12 per cento. In Slovacchia la formazione Hzds, conservatrice di sinistra e nazionalista, contraria alle privatizzazioni, raggiunge un 35 per cento superando i pronostici già favorevoli. Essa è guidata da Vladimir Meciar, ex comunista, già primo ministro repubblicano e ministro federale dell'Interno dopo la rivoluzione dell'89, accusato di aver fatto sparire i dossier della polizia segreta che lo riguar¬ davano. Un gruppo separatista di destra arriva al 7 per cento e i comunisti, cambiato nome e programma, hanno un imprevisto 18 per cento. Meciar, pur essendo stato fino all'altro ieri uno dei loro, aveva dichiarato che non li avrebbe voluti come alleati: ma il loro risultato potrebbe certo fargli cambiare idea. Tanto più che anch'essi nutrono risentimenti nazionalistici verso Praga, come se non fossero stati slovacchi i personaggi più odiosi del regime: Indra e Bilak che vollero l'intervento sovietico nel '68, Husak che si piegò alla triste bisogna. Dubcek, presentatosi in Slovacchia a capo del partito socialdemocratico, riesce solo per un soffio a rientrare in Parlamento. Fino a tardi è sembrato che il suo gruppo non superasse lo sbarramento del 5 per cento. Una larga maggioranza di sinistra social-nazionale capeggiata da Meciar, separatista e contraria alle riforme, si forma dunque al Parlamento slovacco, mentre una liberale e decisamente riformista, determinata alle privatizzazioni su larga scala, capeggiata da Klaus, si afferma al Parlamento boemo-moravo. Non a caso a fianco di Klaus, che ha studiato economia in Italia negli Anni Sessanta, è scesa in campo Margaret Thatcher, intervenendo nella sua campagna con spot televisivi per le privatizzazioni. Questa situazione si rispecchierà nel Parlamento federale, pur nella proporzionalità rappresentativa delle due repubbliche: la Slovacchia ha infatti cinque milioni di abitanti contro i dieci milioni di Boemia e Moravia. Mentre rimane l'incognita del passo del separatismo slovacco, per i due schieramenti contrapposti in sede federale sarà difficile fare coalizioni, ma facile impedirle. Potrebbe allora delinearsi una grande coalizione di sinistra e destra insieme, cioè maggioranza slovacca e maggioranza cecoboema, benché ardua sia per le divisioni sulle riforme sia per la questione nazionale agitata da Bratislava. Se si esclude quest'ipotesi i comunisti potrebbero diventare arbitri di ogni coalizione. Appare così problematica la rielezione di Vaclav Havel a capo dello Stato. Egli dovrebbe dimettersi davanti al nuovo Parlamento che a luglio rieleggerà un presidente con piena legittimità. La spaccatura ideologica e nazionalistica potrebbe rendere difficile la sua conferma, benché egli rimanga il più qualificato sul piano morale in un panorama popolato di ex comunisti. Sul voto ha influito il risultato di riforme e privatizzazioni appena agli inizi. Rurale e conservatrice, fino a ieri protetta da un'industria degli armamenti ora difficile da riconvertire, la Slovacchia ha una disoccupazione del 12 per cento, e per la natura della sua stessa industria ha visto pochi investimenti stranieri. In Boemia e Moravia la disoccupazione è inferiore al cinque per cento, e su di esse si sono concentrati ottocento milioni di dollari di investimenti occidentali. Fernando Mozzetti Al voto In un piccolo paese della Slovacchia [fotoap]
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