«Un errore sta spegnendo il cuore più forte d'Italia» di Giuliano Marchesini

«Un errore sta spegnendo il cuore più forte d'Italia» SUL TRAPIANTO L'OMBRA DELL'AIDS La moglie di Ilario Lazzari accusa: dovevano essere più attenti nelle trasfusioni «Un errore sta spegnendo il cuore più forte d'Italia» PADOVA DAL NOSTRO INVIATO Che silenzio davanti alla sala di rianimazione del centro di cardiochirurgia «Vincenzo Gallucci». Là dentro Ilario Lazzari sta lottando perché il cuore che gli è stato donato sei anni e mezzo fa non si spenga. Al primo uomo sottoposto a trapianto in Italia vengono a mancare le difese. C'è quel grave deficit immunitario: forse l'Aids aggredisce questo falegname di Vigonovo che ha sempre avuto tanta voglia di vivere. Forse una trasfusione di sangue infetto lo porta a consumarsi. Oppure il suo fisico non ce la fa a respingere le conseguenze di una polmonite. La spessa porta a vetri della sala di rianimazione è chiusa. Nel corridoio, i medici e le infermiere passano svelti, senza dire una parola. E' come se l'attesa per la sorte di Lazzari prendesse alla gola, in questo ospedale dove Vincenzo Gallucci mise il cuore nuovo nel petto di Ilario. Esce il direttore del centro di cardiochirurgia, professor Dino Casarott «Le condizioni del paziente - dice - sono stazionarie. C'è un serio problema respiratorio». Ma il cuore? «Il cuore resiste. Il fatto è che Lazzari è esposto alle infezioni, e non si difende. Devo dire che l'evoluzione del quadro clinico è molto preoccupante». Di quale natura l'infezione che ha messo in crisi Ila- rio? Casarotto allarga le braccia: «Si stanno facendo accertamenti». Anche il cntrollo delle donazioni di sangue che Lazzari ha ricevuto, in particolare delle trasfusioni che risalgono al novembre dell'85. C'era tanta gente, in questo reparto di cardiochirurgia, il 14 novembre dell'85, quando Vincenzo Gallucci uscì dalla sala operatoria dicendo che era andato tutto bene: il falegname di Vigonovo aveva ricevuto il cuore di Francesco Busnello, un diciottenne di Treviso vittima di un incidente stradale. Il sorriso di Lazzari, poco dopo l'intervento, e quella sua fiducia assoluta in chi lo aveva operato. Lui diceva che finalmente respirava come gli altri. E qualche giorno più avanti si fece persino scherzoso: «Voglio la pastasciutta e una donna», disse. Alcuni mesi dopo andammo a trovarlo, nella sua villetta al margine della campagna. Aveva appena fatto un giro in bicicletta per il paese. «Io sto bene - ripeteva - ma proprio bene». Si voltò verso un tavolo del soggiorno, dov'era posata una foto di Francesco Busnello: «Lui mi ha ridato la vita». Nel salotto di casa Lazzari c'è ora anche una grande fotografia in cui sono ritratti lui e il professor Gallucci. Sotto, la scritta: «Buon primo anniversario, Ilario». Vincenzo Gallucci è morto sull'autostrada. Lazzari, adesso, è come se si sentisse solo, anche se ha attorno tanti medici che fanno di tutto per salvarlo. Piange sua moglie, Adelina Limongi: «Perché si parla tanto di Ilario? Per me è soltanto una grandissima sofferenza. Io mi aspettavo di tutto, anche un altro trapianto: ero disposta ad affrontarlo. Ma questa cosa proprio no. Se fossero stati più attenti, Ilario non sarebbe ridotto così. Adesso devo stare dietro a lui. Ilario non sa che cos'ha». Adelina Limongi, accanto al letto, mormora qualche parola a suo marito. «Lui apre gli occhi, mi sorride, mi fa capire che ascolta. Ieri gli ho detto che andava tutto bene, che stesse tranquillo. Però faccio una fatica tremenda a fingere con lui». Vuol essere vicina a Lazzari anche la vedova di Gallucci, signora Luciana. «Ilario è diventato un simbolo per tutti i trapiantati. Considera un dovere vivere, anche per dimostrare che mio marito ha fatto una cosa grande». La gratitudine immensa di Lazzari. «Lui chiamava Vincenzo il mio papà. Venne a trovarci a Natale: mi parve in ottime condizioni. Speravo che potesse continuare così, c'erano tutte le premesse. Invece adesso è in queste condizioni». Davanti alla sala di rianimazione c'è anche Renata Rebeschini, presidente provinciale dell'Aido. «Quello che mi preme, tra l'altro, è che questo caso non venga strumentalizzato, per dire che questi trapianti non servono perché prima o poi sorgono gravi problemi. Insomma, che non si sostenga che uno come Lazzari viene accompagnato verso la morte. Credo che per Ilario questi siano stati anni di vita intensa. Ricordo la festa che gli fecero quando tornò al suo paese, il 13 gennaio dell'86. C'erano tutti, in piazza, c'era anche il ministro della Sanità. Io mi rivolsi a Lazzari e gli dissi: Ilario, lo vedi come sei coccolato? Lo rividi un anno dopo. Mi disse: ho capito l'importanza di mantenere sano il proprio corpo. E adesso ho tanto rispetto per il mio corpo». Giuliano Marchesini La donna in lacrime «Non ho il coraggio di dirgli quanto è grave» Lazzari con la moglie Adelina Limongi e, a destra, con il professor Vincenzo Gallucci, il chirurgo che lo ha operato

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