«Il mio calvario nelle carceri Ddr» di Emanuele Novazio
«Il mio calvario nelle carceri Ddr» Condannato per una lite con un poliziotto: nessuno voleva credermi «Il mio calvario nelle carceri Ddr» La storia di un italiano torturato per due anni BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Nessuno gli prestò attenzione quando raccontò due anni di botte e di fatiche, appena rilasciato dal «carcere del popolo» di Berlino Est; vent'anni dopo, un lungo reportage della «Zeit» ripercorre il calvario di Timo Zilli, un immigrato italiano nella Germania Ovest finito in carcere all'Est dopo un alterco con un poliziotto comunista, nel 1970. Senza rancori, dice lui, perché «il perdono è la migliore medicina», ma con ferite indelebili che lo costringono ancora ad affidarsi alle cure di un centro di riabilitazione. La «storia tedesca» di Timo Zilli comincia nel 1962, a diciassette anni: quando decide di lasciare Alesso, il paese in pròvmciacdi Udine 9òv'8!n'àtò, per sfuggire al padre autoritario e al servizio militare. Dopo una lunga «odissea in Europa», nel '65 arriva a Berlino, dove si lega a un gruppo di immigranti italiani della «sinistra non dogmatica». Finché, l'I 1 novembre del '70, ha un incidente con una guardia di frontiera della Ddr. Lo portano al posto di polizia della Alexanderplatz, nel cuore di Berlino Est. Gli dicono che con ventimila marchi occidentali potrà far Natale a casa. Zilli non li ha, per lui c'è la cella 36 del carcere di Pankow, la «cella delle torture» dove deve lottare contro «l'ordine militare prussiano» dei secondini e contro se stesso: Zilli è impulsivo, rinfaccia ai carcerieri di essere «peggiori di chi li ha preceduti», l'accusa più infamante per gli uomini del «regime antifascista». Le conseguenze sono maltrattamenti, botte e una disciplina ferrea, un trattamento che all'inizio stupisce il «prigioniero di sinistra». " Dopo sei mesi il processo: ma è una farsa, dura mezz'ora e viene risolto con la deposizione di una testimone ricattata dalla polizia, una ragazza che Zilli aveva incontrato qualche volta a Berlino Est e che lo accusa di averla aiutata a fuggire all'Ovest. La condanna è severa, tre anni e mezzo da scontare nella prigione di Bummelsburg: Zilli diventa il Numero 856082, per due anni il suo «istruttore» Krause lo tormenta. E' costretto a stare sdraiato ore su un tavolaccio con mani e piedi legati dietro la schiena, il «supplizio del trespolo». Per giorni sopporta l'isolamento in una cella in cui si può soltanto rimanere in piedi. L'incubo finisce il 14 novembre del '72, grazie a un'amnistia per il ventitreesimo anniversario della Ddr. Appena ritornato all'Ovest, Zilli denuncia i maltrattamenti ma non gli credono, a cominciare dai suoi amici di sinistra. Solo la caduta del Muro cambia le cose: ma sono-passati quasi-vent'anni e come nota la «Zeit», «la sua storia arriva troppo tardi, o con una generazione di anticipo». Emanuele Novazio
Persone citate: Krause, Timo Zilli, Zilli
Luoghi citati: Berlino, Berlino Est, Ddr, Europa, Germania Ovest, Udine
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