Slovacchi restiamo insieme

Slovacchi, restiamo insieme PRAGA Oggi elezioni politiche, ultimo appello di Havel ai separatisti Slovacchi, restiamo insieme Ipartiti sono 42, lo sbarramento del 5% eviterà un Parlamento alla polacca In testa ai sondaggi i riformisti, salgono le quotazioni degli ex comunisti PRAGA DAL NOSTRO INVIATO Sulla piazza Venceslao, dove si consumarono tutte le passioni di popolo, si susseguono, nell'indifferenza dei più, concertini rock dei vari partiti per attrarre gente e rifilargli volantini densi di promesse: per i comunisti riciclati e per chi vorrebbe metterli al bando per sempre; («un ex comunista è come un ex negro», grida sarcastico e sprezzante un annuncio); per chi vuol cancellare ogni segno del passato regime con la terapia d'urto della rapida privatizzazione integrale; e per chi pur avendo sinceramente mollato il comunismo rimane sgomento davanti al fardello della libertà, all'idea che ognuno debba far da sé. Sono in lizza 42 partiti nelle elezioni di oggi e domani in Cecoslovacchia, per il Parlamento federale e per quelli nazionali; prime vere votazioni dalla rivoluzione di velluto del novembre '89, dopo quelle del '90 che furono di fatto un referendum per sanzionare la fine del regime. Su di esse pesa, come ovunque ora dove le questioni nazionali erano state risolte col totalitarismo, lo spettro del separatismo: slovacco in questo caso, nazionalista e antiriformista. Uno sbarramento del 5 per cento impedirà la formazione di un Parlamento alla polacca, malgrado anche qui sia sorto il partito degli amanti della birra; ma non si avranno maggioranze ben definite, bensì fragili coalizioni. Dalle ceneri di quello che fu il Civic Forum, frantumatosi in mille rivoli, di destra e di sinistra, è emerso il gruppo più deciso sulle riforme: il partito rivivo democratico (ODS), capeggiato dal ministro delle Finanze Vaclav Klaus, favorito dai sondaggi, ma con appena un venti per cento. Dalla Slovacchia soffia una ventata di neo social-nazionalismo che, se anche non arrivasse alla separazione, mette comunque fin d'ora in forse la rielezione di Vaclav Havel dal nuovo Parlamento alla presidenza della Repubblica nel prossimo luglio. I due gruppi avversi saranno in grado di paralizzarsi a vicenda nella formazione di coalizioni per il governo federale. E ciò paradossalmente potrebbe render arbitri i comunisti, in corsa anch'essi sotto nuovo nome. Fino a ieri protetta con una forte industria degli armamenti difficile da riconvertire, la Slovacchia paga il prezzo delle riforme appena agli inizi e della nuova situazione internazionale con un crescente tasso di disoccupazione: il 12 per cento finora, contro una media federale del 7, nel quadro di un crollo del 23 per cento della produzione industriale nel '91. In una tale situazione la maggior formazione politica slovacca è quella capeggiata da Vladimir Meciar, ex comunista ora social-nazionalista: no alle riforme e all'economia di mercato; con in più i temi dell'identità nazionale contro i dominatori boemi e moravi e le ingannevoli fughe in avanti tipo «entrare in Europa da Stato sovrano, non da regione». Senza tinteggiature nazionaliste, ma con pari insistenza sulla necessità di proteggere e assistere pur confusamente volendo anche le riforme, sono i socialdemocratici: con a capo, in Slovacchia, Alexander Dubcek, il vecchio protagonista della Primavera: patetica figura che, fallito il socialismo dal volto umano, continua inconsciamente a demonizzare il sistema borghese cercando un «capitalismo dal volto umano». Sostanzialmente su queste posizioni, a livello federale, altri gruppi emersi dalla frantumazione di Civic Forum: diciamo le sinistre di quel movimento, in cui sono presenti molti ex comunisti che negli ultimi anni avevano preso le distanze dal regime, come il primo ministro Calfa o il ministro degli Esteri, Dnstieber. Uno dei loro personaggi è Valtr Komarek, un economista già consigliere di Che Guevara a Cuba quando era ministro dell'Industria, poi collaboratore di Ota Sik nella primavera del '68: oggi tra i maggiori oppositori delle privatizzazioni su larga scala avviate da Klaus. Questi è diventato il simbolo della liquidazione concreta del vecchio regime: al programma di privatizzazione da lui varato quale ministro delle Finanze, basato su un complesso sistema di azionariato popolare, hanno aderito otto milioni e mezzo di risparmiatori. Sicuro di sé, Klaus deride gli «scenari alternativi» e le «terze vie» come «cascami di una primavera irrevocabilmente fallita, utopie irresponsabili». Con letterari richiami a Kundera, bolla i nostalgici, consapevoli e no, della «leggerezza dell'essere» nell'antico regime, col suo grigiore assicurato per tutti, con le sue uguaglianze verso il basso; e ricorda quanto insopportabile fosse in realtà quell'apparente leggerezza. La partecipazione alle urne è prevista alta, intorno all'80 per cento. Havel ha lanciato al Paese un messaggio auspicando un voto a favore delle riforme e della tolleranza, e contro «il separatismo che aprirebbe un vuoto nel centro dell'Europa». Fernando Mazzetti

Persone citate: Alexander Dubcek, Calfa, Fernando Mazzetti, Guevara, Havel, Kundera, Vaclav Havel, Vaclav Klaus, Vladimir Meciar

Luoghi citati: Cecoslovacchia, Cuba, Europa, Praga, Slovacchia