E Di Pietro colpisce ancora 5 arresti a Milano e Pavia di Susanna Marzolla

E Di Pietro colpisce ancora 5 arresti a Milano e Pavia E Di Pietro colpisce ancora 5 arresti a Milano e Pavia MILANO. «La de in Lombardia costa due miliardi all'anno: tutti sapevano da dove venivano i soldi per mantenere il partito». Diceva così Roberto Mongini, presidente della de milanese e membro della direzione del partito. A quanto pare la sua conoscenza non era solo teorica. E' stato infatti arrestato per concorso in corruzione: avrebbe intascato una tangente da 400 milioni nella sua qualità di vicepresidente della Sea, la società che gestisce gli aeroporti di Linate e Malpensa. ijja . a Quello di Mongini non è stato il solo arresto di ieri. Il record spetta a Pavia, dove in carcere^ ne sono finiti ben quattro: Luigi Bertone, ex segretario provinciale del pds, e tre membri del consiglio di amministrazione del Policlinico San Matteo: Giancarlo Albini (de), Armelino Milani (pds), Luigi Panigazzi (psi). Per loro le accuse sono molteplici: corruzione, concussione, violazione della legge sul finanziamento ai partiti, abuso d'ufficio. Non solo: per la prima volta viene anche contestata l'associa¬ zione per delinquere, il reato tipico del crimine organizzato. Non si fermano gli inquirenti lombardi. «Io quando colpisco vado a fondo», ha detto il sostituto procuratore Di Pietro. Lo ha detto ieri mattina, nuovamente in risposta alle polemiche sollevate dalle indiscrezioni su Craxi: «E' uno scoop più politico che giudiziario. Io non ho riscontrato alcun elemento penale nei confronti delle persone nominate». E poi: «Così si creano delle vittime, dei martiri». E ancora: «Se dovessimo indagare sui candidati finanziati da persone sospette, in Parlamento rimarrebbero soltanto i senatori a vita-, forse non tutti». Poco dopo però - forse pentito della sua foga, forse impressionato dalle reazioni che le sue parole, subito rilanciate da un'agenzia, stavano provocando - ha smentito le ultime due frasi. Ha telefonato apposta all'Ansa: «C'è stato un equivoco, non ho mai fatto quelle dichiarazioni». Ma intanto il peso delle sue parole resta. Resta soprattutto il peso delle iniziative, sue e dei suoi colleghi. Ne sanno qualcosa i massinmi dirigenti delle imprese, che continuano ad awice darsi in procura: ieri sono stati interrogati Giuseppe Capuano, presidente della Breda Ferroviaria, e Giancarlo Lombardi, ex amministratore della Wabco Westinghouse. Ne sa qualcosa Roberto Mongini che era entrato nell'inchiesta due mesi fa, dalla porta di servizio: quando la procura stava incentrando la propria attenzione sul settore ospedaliero, aveva ricevuto un avviso di garanzia per concorso in concussione. Era sospettato di aver ricevuto i soldi di una tangente (100. milioni) pagata a Vinicio Viecca, membro del consiglio di amministrazione dell'ospedale Fatebenefratelli, un de a lui «molto vicino». L'inchiesta su di lui era cominciata il 6 aprile alle 14, ad urne chiuse. Mongini si era infatti candidato al Senato nel collegio di Lodi: la procura aveva deciso con attenzione la data e l'ora; non prima per non influenzare gli elettori, non dopo per non essere intralciata dall'immunità. Preoccupa- zione inutile quest'ultima, perché Mongini non è stato eletto. Adesso che l'inchiesta si è spostata sul ben più lucroso settore degli aeroporti, per Mongini è scattato l'arresto. Lo hanno fermato mercoledì sera, mentre entrava in pizzeria con la moglie; una notte a San Vittore e ieri, per ore, l'interrogatorio: Mongini avrebbe ammesso le sue responsabilità, spiegando anche come il «sistema delle tangenti» funzionava alla Sea. Ad indicarlo come destinatario di una «bustarella», pagata da un imprenditore che doveva asfaltare le piste per «Malpensa 2000», sembra sia stato Marco Arnioni, membro della commissione appalti della Sea, tuttora in carcere. Arnioni è indicato, nella relazione della procura al Parlamento, come uno di quelli che «hanno presentato un quadro omogeneo sulla distribuzione tra i vari partiti» delle tangenti. Tale «distribuzione» funzionava un po' dappertutto, come dimostra la variegata composizione politica degli arrestati a Pavia, 'atti personaggi noti: oltre a Bertone (che si è già «autosospeso» dal pds), Milani era presidente della Federazione immigrati italiani; Panigazzi è stato senatore e presidente della Provincia; Albini faceva parte della segreteria del ministro Rognoni ed era presidente di Lombardia Informatica. In questa veste aveva già avuto guai con la giustizia: proprio Di Pietro ne ha già chiesto il rinvio a giudizio per truffa. La svolta nell'inchiesta pavese è arrivata dopo l'interrogatorio (a Milano: le indagini sono strettamente collegate) di Luigi Grando, funzionano della Cogefar-Impresit. Aveva raccontato infatti di aver pagato una tangente^ 500 milioni a Giuseppe Girani, democristiano, consigliere di amministrazione del San Matteo. Girani, che prima mexa negato ogni addebito, ha ammesso spiegando di aver passato metà della somma a Giuseppe Inzaghi, pds. Ha ammesso anche Inzaghi e la catena delle chiamate di correo si è allargata. Adesso il consiglio di amministrazione del San Matteo è decapitato dagli arresti. E il ministro De Lorenzo lo ha sciolto d'ufficio. Susanna Marzolla

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