La fine del BOSS

La fine del BOSSIl libro degli agenti Fbi che gli piazzarono microfoni in casa La fine del BOSS w\L 16 dicembre 1985, più I o meno alle diciassette e I quarantacinque, CoI starnino Paul Castellano _*J (Brooklyn 26 giugno 1915), allora il più potente gangster d'America, il Boss dei Boss della mafia, fu stecchito a colpi d'arma da fuoco nel pieno del traffico di Manhattan insieme con il suo autista, guardia del corpo e vice, Thomas Bilotti. La sua sorte era già segnata da tempo, ma lui, per quanto astuto e lungimirante, non era arrivato a rendersi conto che ogni anno che passava a questo mondo gli avvicinava non la sua morte naturale, ma la sua soppressione violenta. Era al vertice della piramide mafiosa dal 1976 (anno della morte naturale del cugino, cognato e capoclan Carlo Gambino), da allora Big Paul aveva diretto e amministrato al meglio la famiglia Gambino, ma doveva continuare a presentarsi in tribunale per un processo dopo l'altro e certi suoi giovani e scalpitanti luogotenenti, primo fra tutti l'irriverente e ambizioso John Gotti, non avevano più paura di lui. Negli ultimi tempi si era screditato abbastanza, anzi avevano paura che la sua età, con l'inevitabile debolezza e decadenza fisica, potesse indurlo a parlare, tra un'andata e un ritorno nelle aule giudiziarie. A settant'anni il pensiero principale per un uomo è quello di sopravvivere, non di fare buona impressione per grinta. Così era stata decisa la sua esecuzione. L'esecuzione non doveva essere segreta, come nel caso del sindacalista Jimmy Hoffa, doveva essere pubblica. Il che voleva dire, nel linguaggio della mafia, che non si trattava di un atto di ribellione di qualche, frangia scissionista del clan Gambino, ma di un atto autorizzato, anzi comandato, dalle cinque maggiori famiglie di Cosa Nostra a New York. Tutti i membri della tribù criminale avrebbero condiviso la responsabilità della soppressione del patriarca, simbolicamente ognuno avrebbe mangiato un pezzo di Big Paul, non più tanto Big ormai, dopo la maledetta storia del microfono segreto. Paul Castellano e Thomas Bilotti si beccarono entrambi sei colpi alla testa e al tronco. Per andar più sul sicuro uno dei tre killer in impermeabile da poliziotto si chinò sul corpo dell'ex Big per sparargli un superfluo colpo di grazia al cranio. Paul Castellano aveva creato le premesse della sua condanna con quella distrazione imperdonabile. Aveva stoltamente permesso che nel marzo del 1983 l'Fbi gli installasse in casa un microfono. Da allora il Bureau aveva seguito la carriera e l'intimità di Paul Castellano, raccogliendo una gran massa di informazioni capitali e di indiscrezioni velenose con cui più che addebitargli nuovi delitti era possibile screditarlo radicalmente presso i suoi più diretti collaboratori. Il potere e il prestigio di Ca- stellano erano irreparabilmente compromessi. Il riuscito piazzamento del microfono non solo aveva fatto perdere completamente la faccia al Boss dei Boss, rivelando la sua cieca tresca ancillare con la colombiana Gloria Olarte, le sue pene amorose di più o meno impotente, il suo ricorso alla chirurgia per un miglioramento dell'attività sessuale, i suoi giudizi sprezzanti e sferzanti su chi lavorava per lui, il suo scarso senso dell'amicizia, la sua mania di seminar zizzania, di metter gli uni contro gli altri, e non solo i nemici ma anche gli alleati, il suo egocentrismo assoluto. Con quelle registrazioni l'Fbi si era dato da fare per minare il terreno al capo della famiglia Gambino, insomma, pur evitando lo scontro frontale, gli aveva inferto una grande spinta verso la rovina totale. «Come prescritto dalla legge, ogni persona contro cui le registrazioni venivano usate come prova aveva il diritto di esaminarne il contenuto: sentendosi vittimizzati dallo spirito caustico di Big Paul, anche i complici precedentemente fedeli gli si rivoltarono contro. Se mai un uomo venne distrutto dall'aver pensato a voce alta, quest'uomo fu Paul Castellano. Noi, autori di questo libro, ci troviamo in una posizione unica per scrivere sulla sorveglianza di Castellano perché l'abbiamo gestita. Siamo entrati nella casa. Abbiamo sistemato il microfono. E abbiamo ascoltato le voci...», affermano gli agenti speciali dell'Fbi Joseph F. O'Brien e Andris Kurins nell'introduzione a Boss dei Boss, un sensazionale libro pubblicato nella versione italiana di Donatella Zanetti Ongaro (pagine 348, lire 30.000) da Longanesi, su come si possa distruggere, usando qualsiasi mezzo legale o illegale a buon fine, la personalità di un uomo. Joseph F. 0' Brien e Andris Kurins sono stati davvero due agenti speciali dell'Fbi e i primi due che entrarono nella Casa Bianca di Staten Island, come si compiaceva di definirla Paul Castellano, per installarvi il microfono sputtanatore. Per quattro anni sono vissuti in sintonia con la loro vittima e possono permettersi quindi nell'introduzione una certa ostentazione di ipocrisia e benevolenza: «Crediamo che non ci sia mai stato un libro come Boss dei Boss, un lavoro che racconta dall'interno e in gran parte attraverso dialoghi reali la storia di un Padrino. In un senso è un classico racconto di guardie e ladri... In un altro senso è un trattato sociologico, uno sguardo a una curiosa organizzazione che per certi sorprendenti versi assomiglia a molte altre attività d'affari... Ma al di là di questo, è la storia personale di un uomo, Paul Castellano. Nel corso delle nostre indagini arrivammo a conoscere Big Paul intimamente: forse troppo intimamente, perché spesso l'intimità porta alla comprensione e noi non volevamo provare comprensione per il nostro nemico giurato...». Anche grazie alla collaborazione del giornalista Laurence Shames, dotato di grandi capacità narrative, il protagonista e vittima Paul Castellano appare diverso dal Don Vito Corleone de II Padrino, concepito da Mario Puzo, interpretato da Marion Brando e diretto da Frank Coppola. Anche se, come testimoniano con competenza gli autori, a coloro per i quali il modo in cui parlano i Don della mafia si identifica ormai con la strana voce usata da Marion Brando, la voce di Paul Castellano sarebbe suonata stranamente familiare. No, nel tono e nella cadenza il suo modo di parlare non era così rauco e solenne, assomigliava piuttosto al normale americano di un tassista, di un droghiere, di un poliziotto di Brooklyn. Eppure si avvertiva in lui una qualche mancanza di respiro, una sensazione di forzato passaggio attraverso una gola ristretta. Forse il prototipo del grande gangster adottato dalla narrativa letteraria e cinematografica ha avuto più influenza sulla condotta pubblica e privata di quanto ne abbia la malavita organizzata sulla narrativa letteraria e cinematografica. Via via che si scopre, insieme con Joseph F. O' Brien e Andris Kurins, l'uomo Paul Castellano in tutte le sue debolezze, abbiamo l'impressione di acquisire una maggiore conoscenza della stessa mafia, tra finzione e realtà, tra meschinità e leggenda. Una lettura, questa di Boss dei Boss, non solo avvincente come intrigo d'avventure, ma anche educativa, illuminante e allarmante come riflessione sul mostruoso sistema di corruzione e oppressione vigente a New York e sulla sua somiglianza con quello che siamo costretti a scoprire in questi giorni anche in Italia, a esempio, a Milano. Non sarà identico come non era identica la voce di Paul Castellano a quella di Marion Brando, ma certo gli somiglia molto. Basti la descrizione dell'organizzazione del potere di Big Paul nel mercato della carne a New York. Il mercato della carne si regge su tre fattori - la distribuzione, la vendita al minuto e la manodopera - e Big Paul esercitava una notevole influenza su tutt'e tre. Nel 1970 aveva messo due dei suoi figli a capo di una vendita all'ingrosso che distribuiva carne a oltre trecento macellai al minuto. Tuttavia il grande volume d'affari non veniva dalle macellerie ma dai supermercati e Big Paul aveva stretto rapporti con le catene di grandi magazzini. Il terzo fattore era la manodopera e anche lì Big Paul intratteneva buone relazioni con il vicepresidente del sindacato unico dei lavoratori dell'industria alimentare e del commercio. Considerato in sé ogni aspetto della sua presenza nell'industria della carne era significativo, ma non straordinario. Lo diventava invece quando si consideravano i tre fattori tutt'insieme. Costituivano un'incredibile potenza e ottenevano quel tipo di sinergia di cui i legittimi gruppi di controllo amavano tanto parlare a vanvera e così raramente raggiungono! Tutto sommato era più facile andare d'accordo con il sistema d'affari della mafia considerato che i costi aggiuntivi di queste pratiche di tipo monopolistico erano alla fine sopportati dai consumatori e i consumatori di New York erano così abituati ad essere maltrattati nei modi più vari che raramente pensavano di'lamentarsi. I newyorkesi accettavano lo schifo come parte della loro dieta. Non era solo la paura che rendeva muti gli uomini d'affari apparentemente responsabili. C'era un alto grado di amoralità e cinismo nell'industria, un atteggiamento del tipo: «Al diavolo, stiamo facendo soldi». Perché mettersi nei guai per cambiare le cose, solo perché si dà il caso che siano corrotte? Oreste del Buono Come e perché Cosa Nostra eliminò Paul Castellano ras troppo chiacchierone Nei dossier registrati le pene di un capo impotente. Ricorse alla chirurgia plastica per migliorare le sue prestazioni sessuali Sopra: Paul Castellano detto Big Paul. «Fu stecchito a colpi d'arma da fuoco nel traffico di Manhattan» Di lato: John Gotti e Jimmy Hoffa , giudizchi lavso senmaniametternon soalleatisolutol'Fbi snare imigliaevitanaveva verso «Comogni plt LIl li

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