Maggie: «Ha vinto la democrazia»

Maggie: «Ha vinto la democrazia» Maggie: «Ha vinto la democrazia» Gli euroscettici insorgono, anche Londra al voto LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Gli inglesi, o almeno il vociante e numeroso «partito trasversale» degli anticomunitari, reclamano adesso un referendum su Maastricht, invocando l'esempio dei danesi imitato dai francesi. Ma Major resiste alle pressioni e in un tumultuoso dibattito ai Comuni, ieri pomeriggio, è toccato proprio a lui l'inconsueto ruolo di «difensore» del Trattato sull'integrazione europea che il Parlamento inglese ha approvato il mese scorso, con scarso entusiasmo. Il premier e il suo ministro degli Esteri Douglas Hurd, europeisti pragmatici quanto basta per non dissentire platealmente su tutto com'era abitudine della signora Thatcher, sono rimasti sorpresi e choccati dal risultato del voto in Danimarca. E anche preoccupati perché il «no» di Copenaghen ha rilanciato di colpo la diatriba sull'Europa che il governo pensava di essersi gettato definitivamente alle spalle dopo la ratifica parlamentare ottenuta malgrado il fìtto sbarramento di 92 voti contrari. In quella occasione, il 21 maggio, il governo aveva prevalso grazie all'appoggio dei liberaldemocratici e all'astensione dei laboristi. Ma il «fronte del no» era apparso consistente grazie a 23 «franchi tiratori» dello stesso partito conservatore, a 59 laboristi contestatori e agli 11 irriducibili «unionisti» nordirlandesi. A poche ore dalla clamorosa bocciatura di Copenaghen hanno infatti ripreso impetuosamente slancio le velleità secessioniste dei cosiddetti «euroscettici», numerosi sia nelle file del partito di governo che nell'opposizione laburista. Esultante e in trasparente polemica con Major, la signora Thatcher ha dichiarato: «Il popolo danese ha parlato anche a nome di quanti nella Comunità non hanno avuto la possibilità di esprimere le loro idee. Hanno reso perciò un grande servizio alla democrazia contro la burocrazia e il centralismo di Bruxelles». Subito, nei commenti ai giornali, alla tv e poi nel dibattito a Westminster è risuonato il «tam tam» della riscossa degli antieuropeisti. «Bisogna dare alla gente la possibilità di votare su Maastricht. Il referendum sarebbe una prova di democrazia», hanno invocato, per una volta d'accordo, il conservatore Teddy Taylor e il laborìsta Peter Shore. E la loro richiesta è stata sorprendentemente appoggiata dal leader liberaldemocratico Paddy Ashdown, mentre un altro laborìsta, Dennis Skinner, ha chiesto a Major di ammettere che «è fallita tutta la politica europea del governo». Sulla difensiva, Major ha rintuzzato gli attacchi sostenendo che il Trattato di Maastricht votato dalla Gran Bretagna, ossia amputato con la clausola di astensione sulla politica monetaria e sul capitolo sociale, «risponde pienamente agli interessi del nostro Paese. E "questo Parlamento l'ha approvata per tre volte, prima e dopo Maastricht». Poi, spalleggiato dal ministro degli Esteri Hurd, Major ha confermato che «il governo non è favorevole al referendum e non lo proporrà al Paese», suscitando le vivaci proteste dei rumorosi oppositori. Il primo ministro ha dovuto comunque accettare di sospendere «in attesa di chiarezza» l'iter della conversione in legge del Trattato di Maastricht all'esame della Commissione costituzionale prima di passare alla Camera dei Lord. Gli euroscettici intendono approfittarne per ottenere «una completa, sostanziale rinegoziazione del Trattato di Maastricht, ormai decaduto, morto», come hanno sentenziato gli ex ministri conservatori Tebbit e Biffen. Così, alla vigilia di assumere la presidenza semestrale della Cee, a luglio, Major si trova sulla rotta uno scoglio imprevisto. Paolo Paini no

Persone citate: Dennis Skinner, Douglas Hurd, Hurd, Paddy Ashdown, Paolo Paini, Peter Shore, Tebbit, Teddy Taylor, Thatcher

Luoghi citati: Bruxelles, Copenaghen, Danimarca, Europa, Gran Bretagna, Londra