Copenaghen rilancia di Fabio Galvano

Copenaghen rilancia Copenaghen rilancia «Rinegoziamo subito il trattato» Ma ora c'è paura di restare soli COPENAGHEN DAL NOSTRO INVIATO Il risveglio è difficile. La Danimarca chiederà ai partner della Cee, dopo il clamoroso no referendario che ha bloccato la marcia europea verso l'unione politica e monetaria, di rinegoziare il trattato di Maastricht; ma dagli Undici sono già venuti chiari segnali che l'accordo di dicembre non si discute, che essi sono pronti a procedere da soli sulla strada dell'Unione europea. La richiesta danese e la risposta europea (forse una dichiarazione scrìtta d'intenti) saranno formulate oggi a Oslo, nel corso di una riunione straordinaria dei ministri degli Esteri della Cee, a margine del Consiglio Atlantico della Nato. Ieri, dopo una riunione di gabinetto, il governo ha incontrato i maggiori esponenti dell'opposizione: i socialdemocratici hanno chiesto nuove elezioni, ma le vere forze del no - le sinistre, i piccoli schieramenti antiCee e Ù partito xenofobo - dopo una notte insonne di festeggiamenti lungo i canali di Copenaghen hanno insistito sulla necessità che il governo rimetta Maastricht in discussione. L'Europa non intende lasciarsi paralizzare dalla doccia fredda di Copenaghen. Secondo il presidente di turno, il portoghese Pinheiro, gli Undici sono «unanimi» per superare il no danese e procedere: «La Cee è più che mai determinata a perseguire Maastricht». E da Bruxelles il presidente della Commissione1 Cee, Jacques Delors, insiste che «il processo prosegua nei tempi previsti», perché il trattato di Maastricht «è d'importanza vitale per la costruzione comunitaria». Ma non è facile trovare vie d'uscita. Tanto il primo ministro danese Poni Schlueter quanto il ministro degli Esteri Uffe Ellemann-Jensen hanno ribadito ieri che il loro Paese intende «svolgere regolarmente il suo ruolo nella Cee» e «farà il proprio dovere» quando nel gennaio prossimo dovrà assumerne la presidenza; ma molti si domandano, mentre anche l'Inghilterra tentenna su Maastricht e la Francia decide di diventare il terzo Paese a referendum, dopo Danimarca e Irlanda, quale ruolo la Danimarca possa ancora sostenere, e quale danno potranno subirne le candidature comunitarie degli altri Paesi scandinavi. La Danimarca si sveglia dubbiosa e forse atterrita dopo il suo gesto d'indipendenza; e il governo, abbandonato dal voto popolare dopo essere riuscito in Parlamento a fare approvare Maastricht par 130 voti a 25, è sotto¬ posto a crescenti pressioni per nuove elezioni. Le analisi del giorno dopo spiegano il no con il timore di una Danimarca travolta dal gigante dell'Europa federale che ne limiterebbe la sovranità, costringendola ad accettare norme sociali e ambientali più annacquate; con l'ostilità a una forma di difesa comune vista come «militarizzazione dell'Europa»; anche con la paura della potenza della vicina Germania. Sono la difesa europea e l'unione monetaria che il partito del no chiede di rinegoziare. Sotto il caldo sole di un'estate poco nordica non si parla d'altro: E forse molti «no», di fronte alle conseguenze del loro gesto, sarebbero disposti a cambiare avviso. Ma è troppe tardi. Ieri la borsa è scivolata, i tassi d'interesse hanno dovuto essere innalzati dello 0,5 per cento per proteggere la corona. La Lego, colosso del giocattolo, ha annullato un investimento di 60 miliardi per un nuovo grande stabilimento. Tutti s'interrogano sul domani, ed è vano dire che i sondaggi - sconfitti a Copenaghen - indicano i due terzi dei danesi tuttora favorevoli alla Cee, anche se non alla nuova Unióne. Da ieri la stessa appartenenza della Danimarca alla Cee è in discussione. ■ «La Danimarca non è l'amletico Paese dell'essere "o" non essere», ha detto ieri Schlueter: «E' piuttosto, come diceva il poeta Piet Hein, quello dell'essere "e" non essere. Al tempo stesso. Il no è stato per Maastricht, non per l'Europa. Dobbiamo cercare di stare in un quadro di cooperazione europea che possa ottenere un sostegno in Danimarca: rimanere partner comunitari attivi. Ma molto dipende dalla comprensione degli altri, e in questo mi adoprerò nei prossimi mesi. Non ci consideriamo gli ultimi della classe e spero che alla fine dell'anno la Danimarca sia ancora partner europea nei settori più importanti». «Non abbiamo intenzione di lasciare la Cee», ha tagliato corto Schlueter. Ci sarà un altro referendum? «Potremmo pensarci», risponde con prudenza il primo ministro. Ma Ellemann-Jensen: «No, sarebbe poco rispettoso per gli elettori».. Il ministro degli Esteri non esita a parlare dello «shock» dei colleghi europei, dei problemi che avranno Finlandia e Svezia («I negoziati per l'allargamento Cee non potranno avviarsi fino a quando non sarà risolto il problema di Maastricht»), del «rischio» che gli Undici continuino senza che nulla possa essere fatto per fermarli. Fabio Galvano

Persone citate: Jacques Delors, Jensen, Piet Hein, Pinheiro, Uffe Ellemann-jensen