Quel comunista un po' troppo «lord»

Quel comunista un po' troppo «lord» Quel comunista un po' troppo «lord» E Cossiga sentenziò: non è né carne né pesce IL PERSONAGGIO L'EREDE PI AMENDOLA Io ronfia case r~ — roma N piedi, un po' curvo, la mano appoggiata sul banco più alto di Montecitorio. Stanco e per una volta tutt'altro che impassibile. Anche questi sono stati giorni di «profondi turbamenti», come dice lui. L'altro ieri ha pianto, il nuovo presidente della Camera Giorgio Napolitano. E mentre legge viene da pensare a quell'accenno così eccezionalmente personale regalato nel febbraio del 1991 alla platea del pei che moriva. «Chiunque è stato comunista per 45 anni ha vissuto in questi mesi turbamenti profondi, anche se - ed ecco il segno inconfondibile del personaggio che parlava di sé in terza persona - non ha ritenuto di doverli esibire». Però, il vocione è lo stesso. E l'aspetto, quasi: la solita pelata, gli occhi neri e mobili. Era solo più paffutello, ai limiti del cardinalizio, il Napolitano che alla fine degli Anni Sessanta sembrava segretamente predestinato alla vicesegreteria del pei, sulla poltrona che fu poi di Berlinguer. Nasce in quegli anni la leggenda, non proprio simpatica, della sua somiglianza con Umberto di Savoia. Figurarsi: l'erede politico di Amendola e quel sosia ingombrante. Né, più tardi, valse a cancellare il marchio quell'istantanea che lo ritraeva con un berrettocarta-di-giornale da muratore. E dire che non è né un re, né un operaio, né una figura da politicaspettacolo, Napolitano. Che pure, da giovane, a Napoli, ha fatto l'attore con molta serietà. «Misurato e forbito» lo ricorda, al Mercadante, Massimo Caprera nel «Viaggio a Cardiff» di Yeats. Del tutto efficace - e per giunta nella parte di un cieco in una commedia in dialetto dell'umbratile Di Giacomo. Remota testimonianza di Luigi Compagnone, che tuttavia lo rammenta fin da allora come «Nu guaglione fatto a viecchio». Serio, cioè, e cauto, forse anche freddo. Adesso lo senti parlare, a Montecitorio, ed è facile da scorrere quella sua lenta, implacabile carriera nel partito: i gruppi antifascisti, la federazione, il Ce, la commissione Mezzogiorno, la direzione, la segreteria, l'ufficio politico, la presidenza del gruppo, la «cui- turale», «l'organizzazione», «gli esteri», il governo Ombra. Quasi tutto, insomma. Stanza a Botteghe Oscure senza ritratto di Togliatti: una stampa napoletana del Seicento e un paesaggio di Germaine Amendola. E si fa presto anche a ripercorrere, sempre schematicamente, le pietre miliari che accompagnano le sue battaglie di comunista (e post): la prospettiva laburista, riformismo di governo, i leali distinguo sul compromesso storico (una volta, inaudito, gli scappò: «Mica l'ho inventato io!»), e poi «l'opposizione propositiva», il raro genere dell'autocritica sul fe¬ nomeno Craxi, il «superamento delle ragioni della scissione del 1921», quel «guado» in cui il pei era in mezzo e poi, forse, al di là. Sempre che si liberi dall'«involucro ideologico». Quindi la fama di «destro», certificata alla fine dalla leadership dell'area «migliorista». Eppure sempre vissuta a disagio, con una decisa ritrosia a intrupparsi. Che in qualche modo è la premessa per condizionare il centro evitando di esporsi in una battaglia in campo aperto. Ecco così il Napolitano degli eterni distinguo, delle garbate puntualizzazioni, dei puntini sulle i. Anche quando Berlin¬ guer rompeva con la solida-! rietà nazionale, Amendola era emarginato, Lama sacrificato, il pei arroccato nella sua diversità. Poco amato dalla base. E qui coglieva il segno una vecchia, diciamo, osservazione di Tango: «Gradito agli intellettuali modernisti, alla Nato, a Veca, al pri, agli imprenditori liberal, a Scalfari. Se fosse gradito anche ai comunisti sarebbe segretario già da un pezzo». E inspiegabilmente si tralasciava quell'altro nefasto favore da parte del psi. Comunque il vuoto l'ha colmato di recente, sotto forma di poesia, Cuore: «Napolitano / verso / Craxi / contento. / Non ha naso, / oppure vive sottovento». Come lui, il nuovo presidente della Camera, possa intimamente reagire a cachinni del genere è un mistero glorioso (o doloroso) che racchiude tutta l'ineffabilità del personaggio. Non che l'uomo sia assolutamente sprovvisto di umorismo. Ieri, dopo l'elezione, è passato in sala stampa e davanti a un tv che ritrasmetteva il suo discorso d'insediamento ha mormorato: «Mi pare di ricordarlo». Semmai ha sbagliato nazionalità. Napolitano, soprannominato anche «Lord Carrington», è infatti tra i soci fondatori àeìl'England watchers club, variante Oxford under the Vesuvio. Dall'anglofilia, notata anche da Cossiga (che in un accesso d'ira lo definì «vegetariano: né carne né pesce»), deriva il pudore dei sentimenti, la puntualità quasi nevrotica, forse anche una certa sobrietà tra il diplomatico e il protocollare. Caratteristiche che a Montecitorio, palazzo un po' sgangherato, potrebbero tornargli utili. Come, del resto, la stranota apertura internazionale di Napolitano: primo comunista a entrare in un kibbutz o ai convegni in Colorado dell'Aspen Institute. Per non dire dei continui viaggi nei quali i compagni hanno finito per identificarlo in una specie di provvidenziale «omino-Valtur» che all'estero sa le strade giuste, conosce i ristoranti degni, tiene i passaporti di tutti, tratta con i portieri d'albergo. Con efficacia, gentilezza e grande felicità. Ad essere pignoli, l'unico elemento in contrasto con il sobrio stile del nuovo presidente pare sia la guida dell'automobile: allegra e con una certa tendenza all'uso disinvolto del clacson, anche a due mani. Per il resto - ma per lui è giustamente molto importante - ha una moglie intelligente, Clio, avvocato della Lega delle cooperative, e due figli grandi. Gli piace Murolo, è ghiotto dei totani che si pescano a Stromboli, dove ha partecipato a un torneo di scopone con il presidente dell'Enea Colombo e con il governatore della Banca d'Italia Ciampi. Se si toglie la presentazione della contessa Marzotto al vecchio eroe triestino della guerra di Spagna, il Vidali detto «Carlos» (poi regolarmente scambiato da Marta per il pericolosissimo terrorista internazionale) anche il versante della mondanità di Napolitano offre davvéro pochi spunti. Più singolare, anzi decisamente degno di nota per via del nuovo incarico, il rapporto con i mezzi di comunicazione. In poche parole Napolitano è il più assiduo, intenso, scientifico e pervicace scrittore di lettere ai giornali. Al punto che tra smentite, rettifiche, precisazioni, chiarimenti, messe a punto (anche per conto terzi) si potrebbe tranquillamente seguirne la biografia. «Caro direttore»: e giù contro i giudizi semplificati, le virgolette inventate, «le tentazioni scandalistiche», «le esercitazioni dietrologiche». Spesso ha ragione. Qualche volta, soprattutto se viste con il senno di poi, queste lettere sono un pochino pedanti. Comunque conclude sempre con «cordialità». Filippo Ceccarelli Dai gruppi antifascisti al governo ombra del pds Ritratto di un leader che aveva messo in un cassetto il ritratto di Togliatti Michele Serra (a sinistra). A destra Giorgio Napolitano. Sotto, Giorgio Amendola In basso, il figlio di Napolitano, Marco con la moglie Clio Napolitano (a sin.) in una foto del 76 fra Giancarlo Pajetta ed Enrico Berlinguer Sopra, il neo presidente della Camera con Occhetto e Rodotà

Luoghi citati: Cardiff, Colorado, Marta, Napoli, Spagna