La casa dei muri viventi: una matrioska riempita di spie

La casa dei muri viventi: una matrioska riempita di spie Nel falansterio raccontato da Trifonov pareti doppie e cunicoli pieni di cekisti per tener d'occhio la nomenklatura La casa dei muri viventi: una matrioska riempita di spie Come nella Mosca degli Anni 30 il palazzo controllava i suoi boiardi MOSCA DAL NOSTRO INVIATO Jurij Trifonov l'ha descritta tutta, la «Casa sul liingofiume», nella sua fisionomia e nelle sue atmosfere, liricamente, com'era il suo stile e la sua sensibilità. Ma non potè, neppure lui che la conosceva così bene, raccontare i molti segreti che l'hanno sempre circondata, che, anzi, teneva gelosamente chiusi nelle sue viscere. Ora, insieme a mille altre cose di questo mondo in sfacelo, anche la «Casa sul lungofiume» si denuda, rivelando impudicamente la sua intimità. Era la casa della nomenklatura, di quella dei tempi eroici dell'immediata post-rivoluzione. Fu fatta in soli quattro anni, secondo lo stile costruttivistico allora di moda, su progetto dell'ar- chitetto Jofan. Un colossale falansterio, proprio di fronte alla torre Vodosvodnaja, dall'altra parte del fiume, dove avrebbero abitato i capi e i loro entourage, quelli che vivevano al Metropol e al Nazional e nei palazzi del Cremlino. Così è stato fino agli anni recenti. Ma ora si scopre che aveva un «portone in più», che nessuno conosceva (tranne chi la costruì e chi lo usò). Il portone misterioso serviva per collegare tra di loro i portoni più «importanti», il primo e il dodicesimo, quelli - inaccessibili ai comuni mortali, vigilati dall'Nkvd, giorno e notte, con poliziotti stazionanti su ogni pianerottolo - destinati ai benemeriti del potere comunista. Nel primo portone, ad esempio, abitò Zbarskij, l'imbalsamatore di Lenin, e Lepeshinskij, che di Lenin fu compagno di battaglie dalla prim'ora. E il dodicesimo era ancora più «signorile»: tra i suoi ospiti annovera Shvernik, che fu presidente dei sindacati sovietici; il maresciallo Tolbukhin, l'ambasciatore Puzanov; Poskrebyscev, capo della sezione speciale del comitato centrale del partito. E tanti, tanti altri, poiché - a partire dagli Anni 30 il turnover degl'inquilini divenne sempre più vorticoso. Quando le macchine nere si fermavano sotto quei portoni, gli abitanti sapevano che presto altri inquilini sarebbero arrivati a sostituire gli arrestati. Adesso il portone segreto è stato scoperto. Ancora in buon ordine, anche se gli scalini sono coperti di un palmo di polvere. Allora li percorrevano passi furtivi degli agenti. Ma non c'era soltanto la scala segreta. Certi appartamenti erano stati costruiti in modo speciale. Con intercapedini, tra i muri maestri, abbastanza larghe da lasciar passare un uomo. Allora i microfoni non erano ancora così raffinati. 1 progettisti - istruiti dagli uomini di Stalin - trovarono la soluzione migliore. Far giungere orecchie umane fin dietro il capezzale del letto dei sorvegliati. Ma i muri troppo sottili - e «ascoltatori» non sempre silenziosi - talvolta lasciavano passare informazioni anche in senso opposto. Racconta Olga Lepeshìnskaja - che allora era una bambina - che una notte, svegliatasi all'improvviso, ascoltò distintamente la conversazione dei «turnisti»: «Per oggi basta, andiamocene a casa». Così, anche nella «Casa sul lungofiume», si finì per parlare soltanto sottovoce. O per non parlare affatto. Da dove passassero i «cekisti» nessuno degli inquilini lo seppe mai. Cercare oggi il labirinto delle intercapedini implicherebbe demolire mezzo palazzo. Quando i tempi (e gli inquilini) cambiarono, qualcuno pensò bene di murare i passaggi. Non servivano più guardie stanche e assonnate a ricordare a memoria le barzellette contro Stalin che gli imprudenti si lasciavano sfuggire «tra le mura di casa». Tanto più che la tecnica venne in soccorso dei guardiani. Eppure le tracce della loro occhiuta lungimiranza restano ancora oggi visibili, I sotterranei umidi, trasudanti gli umori della Moscova, sonò un inspiegabile intrico di collegamenti che fa tornare alla mente la «Biblioteca di Babele» di Borges o quella del castello descritto da Umberto Eco nel Nome della rosa. Tutti i portoni della «Casa sul lungofiu¬ me» sono collegati tra loro. E, chi ne conosceva il marchingegno avrebbe .potuto raggiungere ogni appartamento del palazzo senza mai uscire in strada. Una casa segreta viveva in parallelo, come nel ventre di una «matrioska», dentro la casa ufficiale. Adesso ci vivono ancora alcuni dei figli dei figli dei potenti di allora, tornati dopo le repressioni e le riabilitazioni. Scrittori e cineasti di grido, come l'amico Mikhail Shatrov. Gli artefici di questo mostro di cemento sono morti tutti. Chissà cosa penserebbero se sapessero che l'ultimo inquilino arrivato - che nessuno arresterà più - è il signor Mark Werner, direttore e rappresentante permanente in Russia dei «fast food» McDonald. Giuliette Chiesa Tra gli ospiti eccellenti persino l'imbalsamatore di Lenin Jurij Trifonov. Lo scrittore ha descritto il palazzo misterioso dell'alta nomenklatura sovietica nella «Casa sul lungofiume»

Luoghi citati: Mosca, Russia