Se scoppia l'ira del mite professore

Se scoppia l'ira del mite professore IL PALAZZO Se scoppia l'ira del mite professore UARDARSI dall'ira dei miti. Chissà. Forse vedendoselo sempre così civile, cosi cortese, cosi disponibile, così ragionevole, così rassicurante e perfino cerimonioso, gli astuti dirigenti del pds avevano finito per credere che al dunque si sarebbe piegato, il professor Rodotà. Il compagno di strada che tutti vorrebbero avere. Probabilmente, nel febbraio dell'anno scorso, lo avevano eletto, anzi plebiscitato presidente (427 sì, 15 no) con l'incauto retropensiero che la politica (e quindi anche il potere, quel poco che rimane) l'avrebbero trattata loro, i sagaci occhettiani. Bene, ieri sera il mite - così credevano - professore, a suo tempo celebrato dall'Unità come «moderno illuminista» e «giurista Uberai», ha buttato il tavolo all'aria. Si è dimesso da tutto o quasi. Ha detto addio con rabbia fredda e calcolata, ha tirato giù quel tremendo «non serve a nulla» che va a iscriversi nel ,. .libro nero defipdsj^, fth,Jn I tempi, certo, sono turbolenti per tutti. Però mica succede tutti i giorni che dica «basta», in un colpo solo, un presidente di partito e un vicepresidente della Camera. Che poi l'autore del duplice gesto sia Stefano Rodotà e il partito il nuovo pds rende la cosa tutt'altro che scontata. «Mozart mi piace più dell'Internazionale e la falce e martello non mi mancano proprio»: così, appena eletto, diceva il professore. Indicato al vertice, certo, per le sue competenze giuridiche, per i suoi meriti sul campo dei diritti civili, per il suo passato di intellettuale vicino ai radicali e ai socialisti «buoni» ante-Midas. Fino agli anni della Sinistra Indipendente, inquieta, garantista, un po' prima della classe e spesso in dissenso con il grande fratello pei. Eppure era stato scelto, Rodotà, anche per una questioncina per certi versi simbolica: non era, non è mai stato un comunista. E qui c'è da dire che la priI ma consapevolezza di questa I inconsueta, anche sperunen- tale pre-condizione - con il senno di pdi anche la prima profezia del pasticcio di ieri sera - si deve paradossalmente alla vena poetica-sarcastica-dialettale di uno che non l'ha mai amato, Antonello Trombadori. Il quale, sia pur ironizzando con il cognome di origine albanese, concludeva un sonetto centrando a suo modo il punto. Si rivolgeva al pds e: tC'èpoco da aggitasse e predica /sipe' dà garanzia alle nove scene /je . tocca a srotola co Rodotà*. In una nota la spiega: «Il rifiuto di tutto ciò che nel patrimonio storico del pei vi è di gradualista, riformista e di governo è, net nuovo "presi: dente del pds, totale». Eppure, forse era proprio questo che ci voleva éli,flQi-im misti potevano leggere quell'elezione come una scelta d'apertura, di respiro. Un messaggio vivente. E a suo modo anche una scommessa. Persa malamente, si può dire oggi. Da tutti e due. Al di là delle doppie e irate dimissioni, al di là del gioco sgangherato messo su attorno alla presidenza della Camera, l'abbandono di Rodotà significa un innesto cominciato male e finito peggio. Con il professore quasi sempre a disagio, spessissimo tentato di ritornare all'università (e bersagliato dalle frecciate ossessive di Cossiga). E con il pds che, intanto) io offriva all'esterno come un esempio, una prova di rinnovamento, una specie di trofeo decorativo da premiare, via via,, con incarichi tanto altisonanti quanto inconsistenti dal punto di vista delle decisioni. Poteva continuare? L'astuto Occhetto, forse, pensava di sì. Ieri sera si è dovuto, come dire, ricredere. 8É | Filippo CeccareiH Stefano Rodotà ex candidato alla presidenza della Camera per il pds

Persone citate: Antonello Trombadori, Cossiga, Mozart, Occhetto, Rodotà, Stefano Rodotà