Jùnger: Il Reich mi voleva morto

Jùnger: Il Reich mi voleva morto Lo scrittore racconta. Dalle simpatie naziste all'accusa di alto tradimento Jùnger: Il Reich mi voleva morto Fu Hitler a ordinare di risparmiarlo PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Ernest Jùnger, il patriarca della letteratura tedesca, doveva finire sulla forca nell'autunno '44 per «alto tradimento». Approfittando dell'immensa purga che seguì l'attentato a Adolf Hitler del 20 luglio, Heinrich Himmler e Martin Bormann volevano sbarazzarsi dell'allora quarantanovenne capitanoscrittore. Il loro piano: consegnarlo a Roland Freisler, il Grande Inquisitore nazista che in pochi mesi processò e fece barbaramente giustiziare migliaia di cittadini sospetti. Le sue colpe: l'aver tenuto propositi «disfattisti» presso il quartier generale parigino della Wehrmacht, e la paternità d'un romanzo - Sulle scogliere di marmo - che adombrava critiche anti-totalitarie. . In una lunga intervista esclusiva al Magazine littéraire, apparso ieri in edicola, lo scrittore - oggi novantasettenne - racconta la «sua verità» sui documenti emersi nelle ultime settimane che testimoniano l'istruendo processo Jùnger, congiura di cui non ebbe mai sentore e che solo una persona, in tutto il Reich, poteva sventare: il Fùhrer. Cosi accadde. Quando già tutto era pronto per trascinarlo in aula, il 20 novembre intervenne personalmente Adolf Hitler con una telefonata dal suo Quartier Generale prussiano, la Wolfs-Schanze. Lasciate tranquillo Jùnger, sentenzia il Fùhrer, paradossalmente lo stesso messaggio che Brecht avrebbe indirizzato nel dopoguerra ai comunisti, smaniosi di mettere sott' accusa un intellettuale legato a filo doppio con il nazional-socialismo. Lo attesta una lettera top-secret - che il mensile francese riproduce in fotocopia - inviata da Freisler a Bormann il primo dicembre '44. Costituisce, in pratica, un «non luogo a procedere» contro Jùnger, ma il post scriptum aggiunge sibillino: «Con l'occasione, Le faccio pervenire tre dossier sull'affaire. Il Fùhrer desidera averne comunicazione immediata». Il che lascia presumere un Hitler ancora dubbioso, deciso a «graziare» il popolarissimo Jùnger, e tuttavia perplesso sulla sua reale estraneità ai complotti, tanto da voler visionare i 3 incartamenti (purtroppo non ancora disponibili). Mentre l'Armata Rossa sfonda verso la Pomerania orientale e Berlino rappattuma il Volksturm, una milizia di cinquanta-sessantenni per contrare gli Alleati sul Re no, il Grande Dittatore si china meticolosamente sulla Jùngerstory. Straordinario? L'interessato non si stupisce più di tanto. Nelle trincee della Grande Guerra, il caporale Hitler aveva letto con passione Tempeste d'acciaio e verso l'intrepido, pluri¬ decorato romanziere provava forse ancora una certa gratitudine intrisa - chissà - di soggezione. Dunque lo salvò. Nel crepuscolo finale, risulta tra i pochi superstiti di rango. Oggi apprendiamo che fu Hitler, per motivi oscuri, a risparmiargli la vita. Per Jùnger è una rivelazione: «Comprendo infine come mai, nell'ottobre '44, fui smobilitato su ordine del maresciallo Keitel. All'epoca, molte circostanze mi sembravano inesplicabili. E' che lo sfondo rimaneva nascosto». Wilhelm Keitel fu impiccato a Norimberga il 16 ottobre 1946. Era il braccio armato di Hitler. La sua missione: rendere la Wehrmacht un docile strumento tra le mani del Fùhrer. Per Jùnger aveva previsto una trappola in grande stile. Se fosse rimasto in servizio attivo, il capitano poteva essere deferito solo alla Corte Marnale ordinaria, suscettibile di assolverlo. Invece - racconta nell'intervista - le autorità superiori lo misero a riposo trasformando in «ulcera cronica» quello che era un semplice malessere digestivo psicosomatico. Lasciata Parigi sotto l'incalzare dell'offensiva anglo-americana, trascorreva quelle settimane a Kirchhorst, nella casa avita. Farne un boccone, per Freisler, era semplicissimo. Contro ogni aspettativa, lo scrittore sfugge a una rappresaglia che ormai non si attendeva più, passati i giorni tenibili del 20 luglio. All'Hotel Rafael, nel XVI arrondissement, il capitano Statua di Ghiaccio - così lo ribattezzò la biografa Sanine tramò in effetti per mesi, nella primavera '44, una dissidenza interna. Sono i «raffaelliti» che evoca a più riprese nel Diario di guerra. «Avevamo potuto formare - spiega sul "Magazine littéraire" - un circolo ristretto, fedele allo spirito e ai valori cavallereschi. Dentro la macchina militare, nel cuore stesso del mostro, esercito e partito si davano velatamente battaglia. Tra il Rafael, il Majestic e l'avenue Foch - sede della Gestapo - era una lotta sorda, senza risparmio di colpi. (...) Ricordo bene la visita del tenente von Hofacker il 27 marzo '43. Mi spiegò che bisognava far saltare Hitler per aprire trattative con l'Occidente in previsione d'una catastrofica sconfìtta sul fronte russo. Ma diffidavo degli attentati: la storia mostra che servono generalmente le forze al potere. Si tagliano i germogli, ì rami, e non fanno che crescere più forti. Ero scettico. Alcuni segnali mi facevano già dedurre lo scacco». Da questa fronda salottiera, da Grand Hotel, si rifa il mostruoso apparato giudiziario cui Himmler, munito di pieni poteri, affida la repressione di massa nel dopo-20 luglio. Jùnger narra che un domestico in forza al Rafael, tale Auguste, vuotò il sacco. Ma non bastava. Così i servizi del Reichsfùhrer cercarono prove supplementari in Sulle scogliere di marmo. Il volume era uscito nel settembre '39, mentre i panzer di Guderian travolgevano le difese polacche e Parigi s'impigriva nella «dròle de guerre». Il capitano Jùnger era sulla Linea Sigfrido, a scrutare i suoi dirimpettai, egualmente immobili, della Maginot. Nel libro troviamo un tiranno sanguinario, nemico di ogni cultura, che incendia e distrugge il civilissimo Paese conquistato dalla sua brutalità. In molti lettori evocava - come l'Hinkel di Chaplin - null'altro che la maschera metastorica di Hitler. Dice Jùnger: «Il Reichsleiter Bouhler, responsabile della censura nazionale, se ne lagnò, invano, con lo stesso Fùhrer. (...) I pericoli aumentarono quando gli americani si misero a elogiarlo. Raggiunse prestissimo le 14 mila copie. Una sensazione bella, però inquietante». Malgrado l'imprimatur ufficiale, divenne una piccola bibbia anti-nazista che le autorità tolleravano e la truppa lpggpva quasi rii nasm- sto. Cinque anni dopo, lo scandaloso j'accuse anti-hitleriano poteva spedire al patibolo il suo autore. Altre carte, come il breve appello La Pace, Jùnger le bruciò frettolosamente nel luglio-agosto '44. Ma quelle pagine lo condannavano in anticipo, se appena i giudici avessero voluto scorrerle. Il miracolo tuttavia avvenne. Ma per Hitler, Jùnger non ha riconoscenza: «Forse aveva davvero un debole per me, e l'impressionavo veramente. Il meno ch'io possa dire è che rammirazione non fu mai reciproca». Enrico Benedetto 1 «Una fronda interna era nata fra noi ufficiali Ci incontravamo in alcuni alberghi di Parigi» Himmler a colloquio con Goering e, nella foto grande a sinistra, Ernst J ùnger negli anni del primo dopoguerra. Sotto, Hitler, che nel '44 salvò la vita allo scrittore

Luoghi citati: Berlino, Norimberga, Parigi