Ambasciatore gentiluomo di Sergio Romano

Ambasciatore gentiluomo La morte di Roberto Gaja Ambasciatore gentiluomo R-IOBERTO Gaja, morto a Roma all'età di 81 anni, era troppo malato per assistere al congresso I con cui la Sùdtiroler Vol- kspartei ha dichiarato formalmente chiusa a Merano, sabato scorso, la controversia sull'Alto Adige e ha riconosciuto l'esecuzione del «pacchetto» firmato da Moro e Waldheim a Copenaghen il 30 novembre 1969. Non credo, del resto, che qualcuno l'abbia invitato e sono certo che a Gaja non passò neppure per la mente di ricordare che il «pacchetto» era stato negoziato segretamente da lui e da Mario Toscano. Quella dell'Alto Adige non fu la sola pagina segreta e difficile della sua vita diplomatica. Per molti anni parve condannato a prestare servizio nei punti caldi della politica estera italiana. Nel 1943, pochi mesi prima della disfatta, fu mandato in Corsica, dove l'Italia aveva fatto sino ad allora una sfrenata politica irredentista. Nel febbraio del 1944, dopo un viaggio avventuroso, sbarcò a Salerno dove si era costituita, all'ombra degli alleati, una versione in miniatura del ministero degli Esteri. Era a Salerno in aprile quando Renato Prunas negoziò con Vyshinskij la ripresa dei rapporti italo-sovietici e Togliatti, appena arrivato dall'Urss, dichiarò, con una storica «svolta», che pur di andare al potere avrebbe accettato, per il momento, anche i Savoia. Il suo primo incarico, dopo la fine della guerra, fu a Vienna, pochi mesi dopo la conclusione deH'.accordo Jjje-Gasperi-Gruber. Di lì andò a Trieste, dove gli alleati avevano costituito un effimero «Territorio Libero» e l'Italia era costretta a tenere una Roberto Gaja sorta di missione diplomatica. E due anni dopo da Trieste raggiunse Tripoli dove occorreva ricucire i rapporti con la dinastia senussita e proteggere quello che restava della comunità italiana. Pochi diplomatici ebbero come lui il compito di presiedere alla liquidazione delle ambizioni nazionali italiane, e pochi lo svolsero con altrettanta dignità ed eleganza. Ne fu compensato più tardi quando toccò uno dopo l'altro tutti i maggiori traguardi della carriera: direttore generale degli affari politici, segretario generale, ambasciatore a Washington. Quando lasciò la sua città, Torino, per presentarsi al concorso diplomatico, Gaja era già tenente del Nizza Cavalleria e aveva un'evidente vocazione agli studi. Avrebbe potuto scegliere con altrettanto successo la carriera delle armi e quella accademica. Preferì la diplomazia, ma rimase sempre fedele a tutte le sue vocazioni. Allo Stato, anzitutto, con sei anni di servizio militare e quarant'anni di diplomazia; agli studi, scrivendo con il proprio nome o con lo pseudonimo di Roberto Guidi, i primi saggi italiani sull'uso politico delle armi nucleari; al Piemonte, pubblicando nel 1988, presso Bompiani, una bella biografia del marchese d'Ormea, ministro di Vittorio Amedeo II e gran cancelliere del regno di Savoia; al suo reggimento, infine, dedicandogli due anni fa un lungo racconto autobiografico. Apparteneva a un'Italia desueta in cui la fedeltà era ancora una virtù, e non smise mai di sperare che prima o dopo i giorni della fedeltà e della discrezione sarebbero tornati. Sergio Romano Roberto Gaja