Quattro milioni di danesi processano l'Europa a Dodici di Fabio Galvano

Quattro milioni di danesi processano l'Europa a Dodici COPINAOHEN I «sì» in testa nei sondaggi, ma c'è l'incognita di un'alta quota di indecisi. Donne e pensionati guidano il fronte dei contrari Quattro milioni di danesi processano l'Europa a Dodici Incertezza per il referendum di oggi sulla ratifica degli accordi di Maastricht COPENAGHEN DAL NOSTRO INVIATO L'Europa attende il verdetto. Dopo una campagna elettorale che si è distinta per gli aspetti folkloristici non meno che per il serrato dibattito sul futuro della Cee, quasi quattro milioni di danesi vanno oggi alle urne per decidere se accettare o no il trattato di Maastricht, se affrontare il cammino verso l'unione politica e monetaria o rinunciarvi. Ma il referendum, oltre a determinare le vocazioni europeistiche della Danimarca, tocca l'intera Comunità. Un no sarebbe infatti la condanna per Maastricht, che per entrare in vigore deve avere la ratifica di tutti i 12 Paesi Cee, e renderebbe necessarie nuove procedure (un accordo a Undici, per esempio) per far rivivere il sogno di una nuova Europa. E' finita la campagna a ritmo di rock, così impostata dal partito del no che con la musica e le kermesse goliardiche ha vivacizzato la calda estate di Copenaghen; ed è finito un dibattito europeo a tratti incandescente, talora rabbioso, sempre teso. Un esempio è venuto ieri dalla capitale, dove un pregiudicato di 41 anni ha imbracciato il fucile e ha sparato contro la finestra della casa dei vicini, colpevoli di non essere d'accordo con lui sul futuro deUa Danimarca nella Cee. Fortunatamente, non ci sono stati feriti. Ma quella che non è finita è l'incertezza. L'ultimo sondaggio Gallup indica il sì vittorioso per 44 a 35 e il primo ministro Poul Schlueter, conservatore, esprime la certezza che non meno del 60 per cento dei danesi voteranno per Maastricht, mentre il ministro degli Esteri Ellemann-Jensen, liberale, sostiene che non può esserci altro esito perché «il popolo danese ha troppo buon senso». Ma resta l'incognita - forse determinante - del 13 per cento di indecisi. Non più di una settimana fa i no raccoglievano i favori del pronostico e facevano della Danimarca l'ago della bilancia per il futuro europeo. Era stata una fuga di notizie da Bruxelles a scatenare molte soppresse antipatie comunitarie. Si era appreso, nel dibattito sul futuro allargamento della Cee, che Delors intenderebbe proporre una ridistribuzione delle responsabilità comunitarie, in pratica un taglio dei poteri per i piccoli Paesi, che oggi hanno la stessa voce dei grandi. La piccola Danimarca, da sempre euroscettica, aveva temuto una sgradita sudditanza. Su quei timori - ancora rintuzzati ieri dal commissario europeo Henning Christophersen - s'erano innestate le spinte politiche dei movimenti che già nel 1972 e nel 1986 avevano invano giocato la carta del no ai referendum che determinarono rispettivamente l'ingresso nella Cee e l'approvazione dell'Atto unico. All'insolita coalizione - sinistre quasi compatte, ma anche sei Uste contro l'Unione, più una manciata di gruppuscoli alternativi e il partito del progresso (xenofobo) - si sono uniti vocianti sostenitori: i pensionati, legati ai ricordi dell'invasione nazista e timorosi di nuovi pericoli per l'indipendenza danese; le donne (due su tre contro Maastricht, dicono i sondaggi) preoccupate che l'Europa integrata danneggi la politica sociale danese. Queste forze hanno dato peso concreto alla minaccia del no. Ma per il sì, oltre ai maggiori partiti, si sono pronunciati i sindacati. Un no a Maastricht, ha ammonito Christophersen, potrebbe costare 300 mila posti di lavoro. E la Danimarca, intenta a proteggere le realtà - surplus commerciale e finanziario, bassa inflazione, la più alta produzione industriale prò capite - che ne fanno già oggi uno dei tre Paesi in linea con i requisiti per l'unione monetaria, ha probabilmente deciso che sicurezza e benessere vanno con l'Europa. Resta il fatto che i danesi sono europei sospettosi. Non è casuale, forse, che il recupero dei sì quindi l'impegno a una politica estera e a una difesa comuni - sia avvenuto soltanto quando il primo ministro Schlueter («Non ci saranno mai gli Stati Uniti d'Europa, rinunceremo a parte della nostra sovranità formale ma acquisiremo una maggiore sovranità reale») ha dissipato i timori di un'Europa federale. Ma forse la carta decisiva è un'altra: la prospettiva, dopo la domanda svedese di adesione alla Cee e quella imminente della Norvegia, di una Danimarca isolata non solo dalla Cee ma anche dal mondo scandinavo che era l'alternativa naturale. A cantare lungo i canali, stanotte, potrebbero essere quelli del sì. Fabio Galvano

Persone citate: Christophersen, Delors, Gallup, Henning Christophersen, Jensen, Poul Schlueter