Bombe e minacce, Belgrado non cede

Bombe e minacce, Belgrado non cede Il comandante delle forze aeree: se ci attaccate avrete un benvenuto con i missili Àncora colpite Sarajevo e Dubrovnik Venti suore in ostaggio dei cetnici ZAGABRIA NOSTRO SERVIZIO Quarto giorno di bombardamenti per Dubrovnik, la storica città dalmata che dall'inizio dell'aggressione serbo-federale, otto mesi fa, sta vivendo i momenti più drammatici. Decine di granate hanno colpito anche ieri le vecchie mura e i palazzi monumentali del centro, danneggiando irrimediabilmente il prezioso patrimonio culturale della perla dell'Adriatico. Là città è stata cannoneggiata una prima volta alle 8 del mattino. Dopo gualche ora di tregua i serbi hanno riaperto il fuoco dalle loro postazioni dì Trebinje, in Erzegovina, ma anche dall'aeroporto di Cilipi, tuttora occupato dall'esercito jugoslavo. Ma il comando dell'Armata federale stazionato a Boka, nel Montenegro, ha negato di avere a che fare con l'attacco, ripetendo l'ormai nota storiella che loro rispondono agli ordini di Belgrado, mentre l'esercito di Trebinje fa parte delle neo Forze Armate serbe della Bosnia. Intanto però hanno rifiutato di continuare le trattative con l'esercito croato i cui rappresentanti chiedono in sintonia con il piano di pace dell'Orni l'immediato ritiro dei federali dalle zone tuttora occupate a Sud di Dubrovnik. Ai ripetuti attacchi militari di ieri i croati hanno risposto distruggendo alcuni dei loro mezzi. Per rappresaglia l'esercito ha incendiato le poche case intatte del villaggio di Mocici, e poi ha ripreso a bombardare Kupari, coi mortai e coi carri armati. Gli abitanti di Dubrovnik sono nei rifugi dal mezzogiorno di venerdì. Lo stesso scenario di morte e distruzione si ripete nella capitale della Bosnia Erzegovina bombardata ininterrottamente dai federali e dalle milizie serbe appostate sulle colline che circondano la città. A mezzogiorno le sirene dell'allarme aereo hanno costretto gli abitanti di Sarajevo a scendere nei rifugi. Ma i due caccia bombardieri che hanno squarciato il cielo non hanno aperto il fuoco. Hanno invece sganciato le loro bombe contro le linee della Difesa territoriale bosniaca nei pressi di Tuzla, e hanno bombardato il vecchio aeroporto militare di Lukavac. Decine di granate sono cadute nel centro di Sarajevo, colpendo nuovamente la sede del Parlamento. Una persona è morta, mentre tre sono state gravemente ferite. La situazione è particolarmente drammatica nell'ospedale principale della città dove più di 200 malati rischiano di morire per mancanza di un preparato indispensabile per le emodialisi. I medici di Kosevo hanno chiesto alle forze di pace dell'Orni di aiutarli a procurarsi il medicinale. Dell'ultimo cessate il fuoco che doveva iniziare alle 6 di ieri pomeriggio non si parla più. La guerra sta infatti esplodendo in città finora risparmiate: Maglaj, Prìjedor, Kozarac, sono state attaccate dalle truppe ser- bo-federali e dai cetnici che massacrano la popolazione musulmana. Nessuno sa il numero esatto delle vittime. Decine di migliaia di persone sono finite nei campi di prigionia in Serbia. Dall'inizio degli scontri sono stati trucidati 56 imam musulmani, mentre 76 moschee sono state completamente distrutte. A Bosanski Aleksandrovac l'esercito serbo-montenegrino tiene in ostaggio 20 monache della congregazione delle Adoratrici del Sangue di Cristo: Dopo il loro rifiuto di andarsene nel giro di 48 ore, le monache non possono più uscire dal convento assediato dai militari. Intanto a Belgrado contano i primi risultati delle elezioni di domenica. Secondo i dati ufficiali l'afflusso alle urne sarebbe del 60 per cento, molto meno del previsto. Ma ciò non impedisce al presidente serbo Milosevic di gridare alla vittoria. «Le elezioni anno chiaramente dimostrato che il popolo vuole decidere da solo della sua sorte, e non vuole metterla in mano agli stranieri» ha dichiarato con fierezza il «padre di tutti i serbi». «Si tratta di una chiara risposta alle pressioni esterne, ma anche alla campagna denigratoria, di alcune forze politiche nostrane. Ma tutti quelli che sono contro la Jugoslavia e contro la Serbia sono stati sconfitti malgrado l'appoggio da fuori di cui godevano». Alla domanda se il mondo crede veramente che la Serbia abbia aggredito la Bosnia, il leader serbo ha risposto: «Il mondo crede a ciò che gli viene detto. Ma quelli che decidono sanno benissimo che noi non abbiamo aggredito la Bosnia, ma che lì è in corso una guerra civile. La cosa più importante adesso è fare arrivare la verità al mondo. Quando crolleranno le bugie non ci saranno più neanche le sanzioni». In nome della tradizionale fratellanza ortodossa i seguaci di Milosevic hanno manifestato davanti alla sede dell'ambasciata russa di Belgrado per protestare contro l'adesione di Eltsin alle sanzioni dell'Orni. Ma il più duro è stato il generale Stefanovic, comandante delle forze aeree serfao-montenegrine. «Respingeremo ogni attacco e combatteremo fino all'ultimo uomo» ha detto il generale riferendosi ad un eventuale intervento militare contro la Serbia. «Belgrado è protetta da sistemi missilistici operativi che non esiteremo ad usare. Sarà il nostro benvenuto a chiunque osi attaccare la capitale jugoslava». Eppure si fanno sempre più forti le voci del dissenso. Gli imprenditori annunciano l'imminente catastrofe economica. Da ieri la benzina è razionata. Mentre il quotidiano Sorba titola in prima pagina «Siamo diventati il ghetto dell'Europa», negli ambienti politici crescono le pressioni su Milosevic affinché si dimetta. Ingrid BjJuriiM Ite Bombe e minacce, Belgrado non cede Il primo segno dell'embargo I voli cancellati all'aeroporto di Belgrado (foto api

Persone citate: Eltsin, Milosevic, Stefanovic