Deng abolisce il riso e il pianto di Domenico Quirico

Deng abolisce il riso e il pianto Pechino, il regime teme manifestazioni di piazza in memoria della strage Deng abolisce il riso e il pianto Ttenanmen, decalogo di divieti per l'anniversario «E' severamente vietato piangere o ridere, firmato il governo»: no, non è uno scherzo, è l'ultimo ukaze uscito dalla fantasia dei vecchi mandarini che regnano sulla Città Proibita e su un miliardo e mezzo di cinesi. Con una lucente serie di targhe metalliche che presidiano le immensità della Tienanmen, la più popolosa, te-, nace, inossidabile autocrazia del mondo inventa il crimine di lesa maestà metafisico, inaugura una pedagogia dei sentimenti per decreto imperiale. La Usta delle prescrizioni è lunga: vietato deporre fiori, vietato, naturalmente, affiggere manifesti o «lordare» i muri con scritte, anzi peggio dazebao. Proibito fare riprese televisive o interviste, perché «la presenza di giornalisti sollecita la curiosità dei presenti e può turbare l'ordine». Per poter fare riprese ci vorrà un'autorizzazione, e anche in questo caso «i giornalisti saranno accompagnati da personale che manterrà l'ordi¬ ne». Non sono solo minacce: a gennaio alcuni deputati americani che avevano sparso fiori davanti al monumento degli eroi del popolo sono stati denunciati. Strano che i mandarini rossi abbiano taciuto il divieto più importante: perché domani nella piazza dove la Cina ha festeggiato troppi trionfi autocratici e poche feste della libertà è soprattutto vietato ricordare. Tre anni fa vicino a quei muri, candidi e silenziosi per legge, c'era ben altra confusione, risa e pianti, urla e rumore. Sembrava l'ora in cui si poteva dare la scalata all'impossibile, in cui ragazzi e operai fermavano a mani nude l'invincibile armata rossa e si prendeva «la quinta modernizzazione», la democrazia. La piazza di tutti i sogni è tornata alla ordinata banalità di ciclisti e visitatori. Dei protagonisti di allora qualcuno è ancora in galera, inghiottito dai gulag del Xinjiang che nessun Solzenicyn cine¬ 3 se ha mai raccontato; altri sono tornati all'università ben controllati da torme di agenti in borghese; pochi fortunati rievocheranno, dall'estero, i giorni di quella primavera sfiorita. Tre anni e niente è cambiato: a Pechino la politica ha sempre le cadenze di un'infinita guerriglia tra conservatori e progressisti. Un quarto dell'umanità spia il suo destino lungo il tracciato dell'elettrocardiogramma di un ottuagenario di nome Deng. Eppure il divieto di ridere e piangere è il segno di una paura. «Quando si apre la finestra - è un aforisma di Deng • è inevitabile che entrino i microbi». Tre anni fa la finestra si è appena socchiusa, ma è quanto basta perché non si possa più assassinare impunemente la memoria. «Né ridere, né piangere, ma capire», ammoniva Spinoza; e oggi a Pechino questo non è vietato. Domenico Quirico

Persone citate: Solzenicyn, Spinoza

Luoghi citati: Cina, Città Proibita, Pechino