L'APOCALISSE E' MODERNA di Gianni Vattimo

L'APOCALISSE E' MODERNA L'APOCALISSE E' MODERNA Perché difendo A riders PRENDO spunto da una recensione di Gianni Vattimo al libro di Gunther Anders L'uomo è antiquato (Bollati Boringhieri) per far qualche considerazione culturale e politica di semplice buon senso. Parto dall'articolo di Vattimo non solo perché si tratta di una stroncatura del libro di Anders: le cosiddette stroncature le ritengo, a volte, molto utili. Quello che mi ha colpito è soprattutto il tono annoiato (il nuovo che si sbarazza del vecchio, tanto per cambiare) con cui l'articolo di Vattimo liquida non solo Anders ma anche, mi pare, qualunque riflessione possa avere somiglianza con quelle («apocalittiche») svolte da Anders. Ci sono ottime ragioni per essere prudenti e facili all'irritazione nei confronti di un pensiero tendente all'utopico e all'apocalittico. Giustamente, comprensibilmente, chi sta facendo e chi sta studiando qualcosa di preciso e concreto, con buone speranze di risultati limitati ma utili, si irrita e si spazientisce se incontra un seccatore di utopista declamante o di apocalittico minaccioso. Inoltre può facilmente esserci oggi nell'utopia apocalittica (il Bene che emergerà dalle Rovine) non solo qualcosa di stantio, ma perfino, spesso, qualcosa di maleodorante e di marcio. Trovo intollerabili i marxisti realistici e «scientifici» di ieri, che oggi, non riuscendo più a minacciare i propri colleglli intellettuali con la Classe Operaia e il Comunismo, sono disposti a sposare qualunque fondamentalismo simil-teologico pur di fare la voce grossa. Fra questi neo-utopisti e apocalittici improvvisati ci sono molti di coloro che hanno sempre irriso l'utopia e che hanno sempre trattato da ingenuo, per esempio, un pensatore come Gunther Anders. Come pensatore radicale e apocalittico, però, Anders non è l'ultimo arrivato. Ed è molto meno antiquato di chi lo riteneva tale trent'anni fa. E' da qualche decennio che si considera, e dimostra di essere, uno specialista del tema «fine del mondo». Personalmente ritengo che questa specializzazione, così poco edificante e rassicurante, non sia in fondo da buttare via e sia pertinente ai problemi della nostra epoca (epoca in cui, come sanno anche i bambini, la fine del mondo è tecnicamente a portata di mano ed è praticamente in corso). Non credo, d'altra parte, che sia la radicalità e la globalità dei ragionamenti ciò che infastidisce in Anders. Di guastatori sbrigativi e di ossessivi estremisti in filosofia, anche oggi, ce ne sono parecchi: le scuole di Nietzsche e di Heidegger, i seguaci di Jacques Derrida, tanto per citare sempre gli stessi esempi, lavorano indefessamente con idee e immagini di catastrofe, trasmutazione, epocalità, destino dell'Occidente, fine e inizio, ùber e unter. Gran parte della filosofia accademica di oggi (esiste ancora una filosofia non-accademica?) mi pare che conviva agevolmente con le più spericolate scorribande logiche, ontologiche e linguistiche nel regno dell'estremo. Non deve essere perciò la radicalità, o la conseguenzialità, o la tendenza estremistica ad allarmare in Anders. Ciò che non si tollera, credo, è un'altra cosa: è la fusione di radicalità e senso comune, di osservazioni sociali (a volte di sociologia spicciola) e di ragionamenti che tendono a definire un orizzonte generale. Non si perdona ad Anders (che non è filosofo accademico) una certa semplicità e globalità, la sua pretesa di filosofare a partire dalla vita quotidiana, la sua ruvida schiettezza, il suo impegno a ricordarci l'incombente possibilità, non teorica ma pratica, che si verifichi il peggio, invece che il meglio. Il peggio, infatti, si è già verificato e si verifica di continuo, in diverse occasioni. Se fossi un filosofo come Vattimo, una domanda che non eviterei è questa: il pensiero negativo e apocalittico è davvero meno «realistico» di quello positivo che immagina sempre che tutto sarà risolto al momento giusto? Forse, come si dice, sarà un problema di «prezzi da pagare». Ma pensatori come Anders tendono a vederli sempre chiaramente, e troppo alti, questi prezzi pagati e fatti pagare per il mantenimento indefinito di un apparato tecnico-produttivo dispotico. Chi continua a dire cose che continuano ad avvenire, di solito passa per ossessivo. Ma ossessive sono forse, al primo posto, le comunicazioni di massa. Anders ha una disposizione particolare, candida e infantile, se si vuole, a prendere sul serio le notizie che ci vengono date ogni giorno dai giornali e dalla televisione, per tutta la vita, sullo stato del mondo intero. Come ogni pensatore «impegnato» Anders ha questa ingenuità: sente il dovere di prendere per reali, cioè moralmente e filosoficamente impegnative, queste notizie. (Una soluzione ci sarebbe per starsene più tranquilli: considerare le prime pagine dei giornali come semplice fiction, o non informarsi di tutto con tanta alacrità). Credo che quelle elaborazioni di pensiero che tendono a mostrarci la connessione attuale di tutto con tutto come una «totalità» o un «sistema», vadano considerate non la sola forma, ma una forma legittima e interessante di pensiero. Vattimo dice che la «mancanza di una autentica fondazione concettuale è il vero limite» dell'opera di Anders. Questo rimprovero lo si sente spesso ripetere da parte di filosofi professionali nei confronti di pensatori eterodossi. Ma quanti filosofi moderni, dopo Hegel, hanno dato una fondazione concettuale esauriente a tutte le zone del proprio pensiero? E comunque non cercherei questo proprio in Anders. Fosse anche, quello di Anders, il gesto eccessivo di un vecchio filosofo, formatosi nei primi decenni di questo secolo, e traumatizzato da Auschwitz e da Hiroshima, non gli rimprovererei una fondazione concettuale poco esauriente. Anche Simone Weil, i filosofi universitari la considerano concettualmente poco fondata. Eppure è uno dei massimi pensatori del Novecento: un secolo che sta finendo prima di essere riuscito a leggerla davvero e a riconoscerne il valore. Alfonso Berardinelli Berardinelli risponde a Vattimo: «Ci aiuta a capire il nume) alla fine» Da sinistra: lierardinelli. e didimi iallinio Il filosofo GuntherAnders

Luoghi citati: Hiroshima