UN MARE D'AMORE

UN MARE D'AMORE UN MARE D'AMORE Per la prima volta in ItaUa il«romanzo» di Michelet «Il mare», scrilla nel 1861 da Jules Michelet, sta per uscire dal Melangolo, in prima edizione italiana (pp. 330, L. 32.000), con introduzioni di Antonio Tabucchi e Jean lioire. Ne anticipiamo alcuni brani. CN coraggioso marinaio olandese, calmo e freddo osservatore, una vita trascorsa sul mare, ammette francamente che la prima sensazione che questo ci trasmette è la paura. L'acqua, per ogni essere di terra, è elemento non respirabile, l'elemento dell'asfissia. Barriera fatale, eterna, che separa irrimediabilmente i due mondi. Non stupiamo se l'enorme massa d'acqua che siamo soliti definire mare, sconosciuta e tenebrosa nel suo spessore profondo, è sempre apparsa temibile all'immaginazione dell'uomo. Gli orientali non vi vedono che il baratro amaro, la notte dell'abisso. In tutte le lingue antiche, dall'India all'Irlanda, il nome del mare ha per sinonimo o analogo il deserto e la notte. Quale tristezza vedere ogni sera il sole, questa gioia del mondo e padre della vita intera, offuscarsi, sprofondare nei flutti. E' il lutto quotidiano del mondo, e specialmente dell'Occidente. Certo abbiamo fatto l'abitudine ad assistere ogni giorno a questo spettacolo: continua a esercitare su di noi la stessa suggestione, lo stesso effetto di malinconia. Se ci immergiamo nel mare a una certa profondità, ben presto la luce scompare; ci addentriamo in un crepuscolo dove persiste un solo colore, un rosso sinistro; poi anch'esso sparisce e si fa notte completa. E' l'oscurità assoluta, salvo forse alcuni impressionanti fenomeni di fosforescenza. La massa che copre la maggior parte del globo, d'estensione immensa e profondità enorme, appare come un mondo di tenebre. E' questo l'aspetto che maggiormente impressionò e intimidì i primi uomini. Si supponeva che la mancanza di luce precludesse ovunque la vita e che, ad eccezione degli strati più superficiali, la densità insondabile, il fondo (se l'abisso ha un fondo) fosse nera solitudine, arida sabbia e ciottob, salvo ossa, detriti e tanti beni perduti di cui l'elemento avaro sempre si appropria e non restituisce mai, nascondendoli gelosamente nel profondo tesoro dei naufragi. La trasparenza dell'acqua di mare non ci rassicura in alcun modo. Non è affatto l'allettante ninfa delle sorgenti, delle limpide fontane. E' opaca e pesante: colpisce con forza. Chi vi si azzarda si sente sollevato con impeto. Aiuta, è vero, il nuotatore, ma lo domina; egli si sente come un bambino debole, cullato da una mano pesante che può anche stritolarlo. Chissà dove un vento improvviso, una corrente irresistibile, potranno condurre la barca, una volta sciolti gli ormeggi? Fu così che i nostri pescatori del Nord, loro malgrado, trovarono l'America polare e riferirono il terrore della funebre Groenlandia. Ogni nazione ha le sue storie, i suoi racconti di mare. Omero, le Mille e una notte ci hanno conservato un buon numero di queste tradizioni spaventose, gli scogli e le tempeste, le bonacce non meno micidiali, dove si muore di sete nel mezzo delle acque, i mangiatori d'uomini, i mostri, il leviatano, il kraken, il grande serpente di mare e così via. La scoperta dei tre oceani Chi ha iniziato gli uomini alla grande navigazione? Chi svelò il mare, indicandone le contrade e le vie? Insomma, chi scoprì il globo? La balena e il baleniere. Tutto ciò molto prima di Colombo e dei famosi cercatori d'oro, che ebbero tutta la gloria, riscoprendo con grande clamore ciò che era già stato scoperto dai pescatori. La traversata oceanica, tanto celebrata nel quindicesimo secolo, era stata compiuta spesso attraverso lo stretto passaggio tra l'Islanda e la Groenlandia, e persino più al largo; i Baschi si spingevano infatti sino a Terranova. Que- sta traversata costituiva il pericolo minore per uomini che in capo al mondo cercavano il pericolo supremo, il duello con la balena. Avventurarsi nei mari del Nord, scontrarsi corpo a corpo con la montagna vivente, in piena notte e, si può ben dire, in pieno naufragio, il piede su di essa e l'abisso sotto: chi faceva questo aveva un cuore abbastanza temprato da vivere con grande indifferenza le ordinarie vicende del mare. Nobile guerra, grande scuola di coraggio. Tale pesca non era come quella di oggi, una facile carneficina fatta tenen¬ dosi a prudente distanza con un mezzo meccanico; si colpiva con la propria mano, si rischiava la propria vita contro quella dell'animale. Si uccidevano poche balene, ma era immenso il guadagno in arte marinaresca, pazienza, accortezza e audacia. Si ricavava meno olio, ma più gloria. Ogni nazione rivelava in questi frangenti la sua particolare indole. La si riconosceva dal modo di cacciare. Esistono cento forme di coraggio, e i suoi diversi gradi costituivano una sorta di scala dell'eroismo. Al Nord gli Scandinavi, le razze fulve (dalla Norvegia alle Fiandre), il loro furore sanguigno. A Sud lo slancio dei Baschi e la lucida follia che così bene li guidò attorno al mondo. Al centro, la fermezza bretone, muta e paziente, ma nell'ora del pericolo d'una sublime imprevedibilità. Infine la saggezza normanna, perfettamente organizzata e previdente, il coraggio calcolato che sfida ogni cosa, teso unicamente al successo. Tale era la bellezza dell'uomo, in questa suprema manifestazione del coraggio umano. I bagni di mare Il mare, pur così maltrattato dall'uomo in questa guerra spietata, è stato con lui generoso e benefico. Quando la terra ch'egli ama tanto, la dura terra lo consumava, lo esauriva, questo mare temuto e maledetto l'accoglieva senza nessun rancore, lo riprendeva nel suo seno rendendogli la linfa e la vita. Non è dal mare, infatti, che sorge la vita primitiva? Esso ne possiede tutti gli elementi con meravigliosa pienezza. Perché quando ci sentiamo deboli non dovremmo andare a rifarci alla fonte traboccante che ci invita ad attingere? Il mare è buono e grande per tutti, ma pare più benefico, più generoso verso le creature più vicine alla vita naturale: i bambini innocenti, che soffrono dei peccati dei loro padri; le donne, vittime sociali le cui colpe sono soprattutto d'amore e che, meno responsabili di noi, portano tuttavia in misura ben maggiore il peso della vita. Il mare, che ha un'essenza femminile, si compiace di risollevarli, presta la sua forza alla loro debolezza, ne scaccia i languori, li adoma e li rifa belli, giovani della sua eterna freschezza. Venere, che un tempo ne scaturì, rinasce ancora ogni giorno: non la Venere snervata, piangente e malinconica, ma quella vera, la Venere vittoriosa, nella sua trionfante potenza di fecondità e di desiderio. (...) Amo il popolo ma odio la folla; soprattutto la folla rumorosa dei viveurs che vengono a rattristare il mare con la loro allegria, le loro mode, le loro ridicolaggini. Come! Il mondo non è abbastanza grande? Bisogna proprio che veniate qui a far la guerra ai poveri malati, a involgarire la maestà del mare, la sua selvaggia e genuina grandezza? Un giorno ebbi la disgrazia di viaggiare da Le Havre a Honfleur su di un battello carico, anzi sovraccarico, di questi imbecilli. Durante la traversata, pur così breve, ebbero il tempo di annoiarsi, e organizzarono un ballo. Uno di loro (un maestro di danza?) aveva in borsa una spe¬ cie di violino, e suonava delle contraddanze davanti all'Oceano. E' pur vero che non si sentiva nulla. Solo una piccola nota stridula filtrava attraverso il suono basso, solenne, formidabile che rimbombava intorno a noi. Comprendo perfettamente la tristezza della signora che vede, in luglio, l'amata solitudine turbata da quella invasione: una folla di vanesi, elegantoni, donne chiacchierone e curiose. La libertà è finita. L'angolo più remoto viene raggiunto per tutta la notte dall'eco degli eleganti ritrovi, dei caffè, dei casinò. Di giorno nugoli di farfalloni, in guanti gialli e stivali di vernice, mvadono la spiaggia. Una persona sola non passa inosservata. Sola? Perché? Si avvicinano, vogliono, con la scusa del bambino, attaccare discorso; raccolgono per lui le conchiglie. Insomma, la signora, imbarazzata ed esasperata, rimane a casa o esce soltanto al mattino. Su questo fatto, mille commenti malevoli. Qualcosa le giunge all'orecchio, inquietandola...In nessun luogo più che ai bagni di mare si lavora di fantasia. Le notti di luglio e agosto, ardenti e avare di sonno, sono turbate da questa situazione. Se al mattino lei si addormenta, non ne ricava però autentico riposo. I bagni, lungi dal rinfrescare, aggiungono l'irritazione della salsedine al caldo canicolare. Della giovinezza ha riacquistato non la forza, ma gli ardori. Ancora debole e nervosa, si sente sempre più turbata da quella tempesta interiore. Interiore, ma non nascosta. Il mare, l'impietoso mare, fa affiorare e rivela sulla pelle tutta l'eccitazione ch'ella vorrebbe conservare segreta. La tradisce con rossori e leggere efflorescenze. Questi piccoli fastidi di cui soffrono soprattutto i bambini, e del cui manifestarsi le madri si compiacciono come di un ritorno alla salute, diventano umiliazioni quando sono loro ad esserne afflitte. Temono di essere meno amate. Quanto poco conoscono l'uomo! Ignorando che la grande attrattiva, il pungolo più vivo dell'amore, non è tanto la bellezza quanto il tumulto della passione. Jules Michelet

Persone citate: Antonio Tabucchi, D'amore, Jules Michelet, Michelet, Terranova

Luoghi citati: America, Fiandre, Groenlandia, Honfleur, India, Irlanda, Islanda, Le Havre, Norvegia