LINDER, UNO SCERIFFO PER L'EDITORIA di Oreste Del Buono

LINDER, UNO SCERIFFO PER L'EDITORIA LINDER, UNO SCERIFFO PER L'EDITORIA Dominò per decenni il mercato librario VEDETE com'è ingiusta la vita. O la morte, il suo rovescio. Erich Linder ha dominato per decenni il mercato librario italiano, è stato a lungo l'unico agente : letterario con un autentico potere dalle nostre parti, quello che ha regolato le carriere di autori italiani e stranieri, che ha imposto norme di condotta, di reciproco rispetto agli editori, che, insomma, ha applicato la legge, la sua legge, in questo selvaggio West, e oggi, se avessi bisogno di verificare la sua data di nascita o qualsiasi altro suo dato, non saprei a quale fonte a portata di mano ricorrere. Di Erich Linder, infatti, non fa parola l'Enciclopedia Universale Garzanti familiarmente detta Garzantina, non fa parola il Dizionario Bompiani degli autori di tutti i tempi e di tutte le letterature e neppure fa parola il Dizionario bibliografico Einaudi degli autori italiani. Inutile sfogliare questi testi e altri consimili. E' vero che Erich Linder non ha scritto (o almeno non risulta avere scritto) un libro. E, al massimo, gli è attribuibile un'avventurosa traduzione per Bompiani dei Sette pilastri della saggezza di Thomas Edward Lawrence (1888-1935), archeologo e orientalista, agente del servizio segreto britannico, entrato nella leggenda per aver favorito la causa dell'indipendenza araba, e, ovviamente, gli interessi del suo Paese, contro i turchi. E, tuttavia, non è concepibile l'assenza di una qualsiasi notizia sull'attività di Erich Linder in libri che devono affrontare la cultura del dopoguerra in Italia. Se non sbaglio, la prima volta che l'ho visto»; p, per l'esattezza, che l'ho intravisto, è stata in quella libreria che fungeva anche da casa della cultura in via Filodrammatici nell'immediato dopoguerra. La volta che venne a Milano Paul Eduard e Salvatore Quasimodo gli si presentò inchinando cerimoniosamente la testa fulvamente strinata e scandendo il proprio cognome alla francese per essere meglio capito: Kasimodò. Erich Linder era in una specie di divisa militare alleata e molto magro. Ma tutti eravamo magri allora, magri e reduci dall'inferno. Poi l'ho rincontrato che già si occupava, oltre che di traduzioni, di diritti d'autore grazie alle quattro lingue straniere in suo possesso alla Bompiani insediata allora in una traversa di corso di Porta Nuova, quando dovevo firmare il mio primo contratto di traduzione di una scelta di lettere di Van Gogh al fratello Theo. Quel giorno c'era una mezza paradossale tragedia in casa editrice perché la nipote del conte Valentino, Silvana Ottieri, si era d'improvviso scoperta con una scarpa sola e non sapeva se fosse arrivata in ufficio senza quella scarpa mancante o se l'avesse perduta sul posto. O la scarpa mancava alla figlia del poeta* Villaroel, Mariella, che pure lavorava alla Bompiani e che più tardi sarebbe diventata moglie di Erich Linder? E poi lo ricordo in corso Matteotti (che ogni tanto capitava ancora di definire corso del Littorio) all'Ali, l'agenzia letteraria Internazionale fondata da Augusto Foà nel 1898 dove Erich Linder lavorava come aiutante e amico del figlio del fondatore, Luciano. L'Ali era allora un porto di mare e un eldorado. Le case editrici italiane erano impreparate alle novità che arrivavano, e la maggior parte degli addetti all'editoria parlava, al massimo, un poco di francese. L'Ali non solo riforniva le case editrici di novità interessanti, ma anche si preoccupava di reclutare i traduttori e di stimolare, in genere, la gente a imparar l'inglese. Per chi aveva voglia di lavorare quella porta in corso Matteotti era sempre aperta. La varcavamo quasi ogni giorno in caccia di informazioni o di briciole di lavoro. In tempi di fame, anche le briciole hanno un enorme valore nutritivo. L'ascesa di Erich Linder nel ruolo difficile di mediatore culturale è stata relativamente rapida, ma tenacemente voluta, tanto voluta da risultare inevitabile. Erich Linder esigeva da se stesso di leggere tutto e di sapere tutto, interpretava con fervore e rigore quel ruolo di agente letterario che si era assegnato e che in Italia non era neppure legalmente riconosciuto. Ancor più dell'organizzazione propagandistica Usis garantiva tra Vecchio e Nuovo Mondo un contatto intenso, ma non remissivo, non certo sprovvisto dell'orgoglio che gli veniva dal fatto di essere profondamente europeo. Di quale parte esattamente è complicato ricostruire e forse fuorviarne. Era nato a Leopoli nel 1924. A Milano era arrivato con quella specie di divisa alleata che indossavano anche gli intellettuali italiani provenienti dal Sud, quali, Tommaso Giglio, Antonio Ghirelli e vari altri. Ma aveva alle spalle storie più complicate di quelle degli altri, anche se non stava a raccontare al primo che incontrava le vicissitudini della sua sopravvivenza di ebreo nell'Italia occupata dai nazisti. Qualcuno raccontava che a Firenze aveva addirittura sfidato la Wehrmacht, facendo da interprete agli occupanti. Quello che era sicuro era che Erich Linder non pareva avere paura di nessuno. A poco a poco gli editori, anche i più tronfi e viziati dal regime fascista, corniciarono ad accorgersi che non gli conveniva combattere Erich Linder. Scoprirono che non potevano fare a meno di lui, che dipendevano da lui e lui li ricambiò schedandoli, classificandoli e discriminandoli secondo attitudini, meriti e demeriti, giudicando e affermando come sua indiscutibile prerogativa decidere quale libro dovesse toccare all'uno o all'altro. Luciano Foà si staccò dall'Ali per andare a Torino, a dirigere la più prestigiosa casa editrice di cultura di allora, l'Einaudi. Erich Linder si sobbarcò la parte di lavoro del socio, ormai non si trattava più di lucida, ma semplice tattica, era l'avvio della grande strategia. L'accordo che salvò l'Einaudi da una delle sue crisi ricorrenti e che fornì alla Mondadori il primo contingente di testi illustri per lo sfruttamento in edizione economica destinato a costituire una preziosa riserva per i futuri Oscar venne discusso tra Erich Linder e Luciano Foà. Da allora l'editoria italiana non fu più la stessa, dovette rinunciare a gran parte dell'anarchia che le era propria per rispettare il piano di convivenza del mediatore. Erich Linder agiva con l'assoluta convinzione di fare il bene altrui, e spesso e volentieri lo faceva effettivamente. Anche le volte che poteva incorrere in un errore, non si pentiva, e magari gli capitava di ribaltare la situazione, di dimostrare che, alla lunga, aveva ragione lui. Padrone dell'Ali e di altre agenzie all'estero è morto a cinquantanove anni nel 1983, precocemente per la sua età, ma non per la sua epoca. L'epoca in cui lui, perlomeno nell'editoria italiana, aveva portato un certo ordine e una certa ra- S'onevolezza, non poteva fritti durare ancora molto. All'estero le multinazionali andavano facendo collezione degli editori per vocazione pur senza sapere esattamente cosa farne. E anche qui da noi il pericolo acquistava sempre maggiore attendibilità via via che s infittiva l'avvento nelle case editrici già a gestione familiare, ora a sconquasso azionario, dei menager delle industrie che presumevano di salvarle. Furbastri di scarse letture, ma ancor più scarsi e furbi che credevano di scoprire perennemente l'acqua calda propendevano a scavalcare il mediatore e a farsi giustizia da soli, accaparrandosi l'autore, il successo, del momento. Se un tempo Erich Linder aveva potuto decidere quali fossero i titoli migliori di un autore straniero da pubblicare in Italia e quali non se lo meritassero, i nuovi capi delle case editrici erano disposti a invadere il mercato con tutti i titoli buoni e cattivi bruciando in breve le possibilità di qualunque autore rispettabile. E gli editori stranieri scoprivano di potere essere in grado di lucrare molto di più, aggredendo direttamente, senza filtro di un esperto, la dabbenaggine dei loro colleghi italiani editori improvvisati e improvvidi. I cattivi libri che uscivano erano sempre troppi e sempre meno erano i libri buoni. I magazzini delle case editrici inguaiate si gonfiavano mostruosamente di rese. Tutti ripetevano successivamente o contemporaneamente gli stessi errori. Nel 1983 la Mondadori sprofondò in una crisi terribilmente simile (nonostante le presunte diversità) a quella in cui era sprofondata la Rizzoli nel 1973. Dopo la scomparsa di Erich Linder, la degenerazione dell'editoria italiana si è aggravata. Erich Linder, infatti, non è stato solo un agente letterario di straordinaria sottigliezza diplomatica, è stato anche il migliore editore potenziale che ci fosse in giro, e non solo in Italia, anche se non teneva affatto a farlo sapere. Gli stessi autori italiani si sono trovati orfani, era lui a confessarli, a correggerli, a incoraggiarli. Aveva i suoi amori, le sue passioni per i libri come per le persone. L impassibilità che era in grado di ostentare, quel sangue freddo o addirittura quella spietatezza con cui conduceva in porto le trattative più difficili non andavano interpretati come segni di aridità. Tutt'altro. Costituivano il comportamento che lui s'imponeva militarescamente e che imponeva agli altri, non accettandone le esitazioni e i tradimenti e le incompetenze, ma nel profondo, è stato l'uomo più romantico, vulnerabile e generoso che si potesse immaginare. Questo era il suo vero mistero di cui a volte s'intuivano involontariamente squarci. E, allora, mentre lui con il compito umorismo inglese che usava nei momenti di abbandono, concludeva: «Le cose vanno a membro di segugio», d'improvviso, con un brivido, si realizzava che quella sua traduzione delle memorie dell'agente segreto britannico Thomas Edward Lawrence non era stata una faccenda casuale, un lavoro qualsiasi. Anche lui, il traduttore e mediatore, era a suo modo, un agente segreto impegnato in una scabrosa missio ne. Quella di cavar sangue dalle rape. Oreste del Buono Dalla Bompiani all'Ali di Foà, dal salvataggio Einaudi agli Oscar Nella foto grande Erich Linder Sopra Valentino Bompiani e Giulio Einaudi. A sinistra Luciano Foà, in piedi E stato a lungo l'unico agente letterario con un autentico potere, ha regolato la carriera di scrittori italiani e stranieri

Luoghi citati: Firenze, Italia, Milano, Torino